Progetti fotografici realizzati con foto trovate, foto anonime, foto di archivio e appropriation art

“Nessuna nuova fotografia finché quelle vecchie non saranno state usate” scriveva nel 1989 l’artista Joachim Schmid, con una frase diventata la definizione della poetica di tanti fotografi e artisti che vogliono riflettere sull’odierna società dell’immagine.

In un’epoca che vede milioni di macchine fotografiche produrre miliardi di immagini, ci sono infatti fotografi che non scattano, ma raccolgono e utilizzano foto esistenti, realizzate da altri. Mettendo insieme la fotografia vernacolare, le pratiche del ready made e dell’object trouvee di Marcel Duchamp, nonché la teoria sulla morte dell’autore di Roland Barthes. Il loro scopo è quello di ricercare l’identità più profonda della fotografia e l’enorme potenziale racchiuso nelle foto non prodotte con un fine artistico, che spesso raccontano di un luogo, di una società e di un momento storico molto più di quello che farebbero i progetti di autori o professionisti della fotografia documentaria.

BOX
Da sapere
Il termine fotografia vernacolare è una traduzione letterale dall’inglese vernacular photography e indica quelle foto ricordo popolari di cui sono pieni i cassetti e gli album di famiglia, scattate da fotografi improvvisati, amatori, dilettanti o professionisti locali che eseguono ritratti o immagini di cerimonie ed eventi vari.

Con il concetto di morte dell'Autore, Roland Barthes (Il brusio della lingua) evidenzia la maggior importanza dell'interpretazione dell'opera da parte di ogni singolo fruitore rispetto al significato attribuito all'autore o dall'autore. Oltre a quest'ultimo, emergono due nuovi protagonisti dell'arte: l'opera e lo spettatore. Secondo Barthes, attribuire un Autore a un'opera “significa imporle un punto fisso d'arresto, darle un significato ultimo”, chiudere l'atto artistico.

Il ready-made (già fatto, pronto all'uso), reso celebre da Marcel Duchamp, è un comune oggetto di uso quotidiano che un artista individua, sceglie, acquisisce e isola, ponendolo in un contesto diverso da quello del suo utilizzo originario e facendolo diventare un'opera d'arte grazie al nuovo significato che gli viene attribuito. Secondo Duchamp l’operazione di
straniamento e defunzionalizzazione dell’oggetto dà al pubblico la possibilità di pensare a un oggetto comune come a un’opera d’arte. La concezione di arte si sposta così dal piano fisico a quello intellettuale.

L'objet trouvé (oggetto trovato) deriva dal ready-made duchampiano, ma con una differenza: l’object trouvé è un oggetto particolare che viene scelto per le sue caratteristiche estetiche, la sua bellezza e unicità (mentre il ready-made è uno qualsiasi degli innumerevoli oggetti prodotti in serie indistinguibili uno dall’altro). Perciò l’objet trouvé implica l’esercizio del gusto nella sua selezione. Così Duchamp intendeva anche
dimostrare l’assurdità dei valori estetici.

“Mi sento molto vicino a quegli archeologi che non si interessano tanto ai gioielli della Corona, quanto alle vestigia della vita di tutti i giorni”, ha dichiarato il già citato Joachim Schmid in un’intervista rilasciata A Mark Durden in ArchivoZine. I progetti che qui vi propongo, fanno esattamente quanto dicono Levi Strauss e Schmid: grazie a un lavoro di ricerca, recupero, riciclo, selezione e organizzazione, riportano l’attenzione su fotografie singole (perdute, dimenticate, buttate o passate inosservate) per toglierle dal flusso continuo spesso generato dal nostro compulsivo scrollare le immagini invece di guardarle; ridanno loro la possibilità di una fruizione umana; riportano l’attenzione sulla vita quotidiana, la cui banalità è rivelatrice di usi, costumi, memorie e quindi di un’epoca, la nostra.

Joachim Schmid: “Bilder von der Straße”
https://www.lumpenfotografie.de/2006/01/01/bilder-von-der-strase-1982-2012

“Bilder von der Straße (Immagini dalla strada) è un progetto trentennale, iniziato nel 1982 e terminato nel 2012. Durante questo periodo ho raccolto mille fotografie perdute o abbandonate sui marciapiedi di tutto il mondo. Il progetto documenta l’uso e l’abuso delle fotografie da parte delle persone: quasi tutte le foto della collezione raffigurano persone e più della metà di queste immagini sono state strappate o deturpate in qualche modo. Questo atto di scartare o distruggere singole fotografie sembra indicare il desiderio di eliminare i ricordi di momenti specifici della vita delle persone. Incoraggiando gli spettatori a immaginare le storie delle persone raffigurate, il progetto solleva interrogativi sugli eventi emotivamente carichi che potrebbero giustificare tale distruzione. Considero questa raccolta un documentario sociale composto sia da artefatti visivi che da documenti umani. Prodotto in modo sistematico, è un inventario di fotografie e ricordi perduti che alludono ai misteri della vita privata delle persone e ai loro tentativi di documentarla e distruggerla.
(Joachim Schmid
)

Michael Wolf: “A Series of Unfortunate Events”
https://photomichaelwolf.com/#asoue/1

“Michael Wolf nel 2011 ha ricevuto una menzione d’onore al concorso World Press Photo per le fotografie scattate a scene bizzarre che ha scoperto mentre girava per il mondo tramite Google Street View. Il progetto di Wolf (come molti dei suoi altri progetti) provoca un certo disagio voyeuristico simile a quello che si sperimenta guardando film come Blow-Up di Antonioni o La finestra sul cortile di Hitchcock. E senza dubbio, il mondo dell’arte è pieno di appropriazione del lavoro degli altri, di autoreferenzialità e di introspezione. Quindi arte, appropriazione, sociologia visiva, giornalismo? La serie di Wolf provoca riflessioni e discussioni, con ripercussioni ben oltre l’individuazione di stravaganti eventi sfortunati. Il mondo (e la nostra stessa mancanza di privacy) sta cambiando, che ci piaccia o no, e chi meglio di un ex fotoreporter intelligente può sottolinearlo?”
(Jim Casper/Lens Culture)

Jaqui Kenny: “Agoraphobic Traveller”
https://www.instagram.com/streetview.portraits/


Jacqui Kenny è un’artista neozelandese che attualmente vive a Londra. Nel 2016 ha creato
The Agoraphobic Traveller, che potete trovare su Instagram all’indirizzo
@streetview.portraits. The Agoraphobic Traveller è una raccolta di screenshot ultraterreni scattati in località remote tramite Google Street View. Inizialmente concepita come una via di fuga dalla sua lotta contro l’ansia e l’agorafobia”, in un solo anno ha raccolto più di 27mila immagini: dalla loro visione risulta un’estetica minimalista, in cui l’elemento umano compare quasi sempre immobile e solo.


Vaste Programme: “The Long Way Home of Ivan Putnik, Truck Driver”
https://vimeo.com/439744147/abfe2e7675?share=copy

https://yogurtmagazine.com/portfolio/the-long-way-home-of-ivan-putnik-truck-driver-vaste-pr ogramme/


“The Long Way Home of Ivan Putnik, Truck Driver è una raccolta di fotografie e appunti sui dintorni di remote strade e città siberiane. Presentate come l’archivio di un camionista di nome Ivan Putnik, le fotografie sono in realtà realizzate da vari fotografi dilettanti che hanno caricato le loro foto su Google Street View.
Affascinato dalla varietà visiva, il collettivo artistico italiano Vaste Programme ha cercato, scelto e ricontestualizzato le immagini per creare una storia immaginaria. Oltre a mostrare la vita in un’area remota del mondo, l’editing delle foto presenta preoccupazioni ambientali universali come l’inquinamento, l’estrazione di combustibili fossili e la trasformazione del paesaggio. Anche se le immagini disponibili provengono da un sottoinsieme specifico della popolazione, non amplificano l’immagine archetipica della vita in Siberia, ma piuttosto forniscono al lettore una combinazione di luoghi classici e insoliti. Dalla bellezza della natura incontaminata ai grotteschi progetti industriali, dalle monolitiche periferie dell’era sovietica agli interni stranamente affascinanti. The Long Way Home evidenzia ciò che spesso viene trascurato e si concentra sulle gemme nascoste della fotografia vernacolare.” (The Eriskay
Connection
)

“The Long Way Home of Ivan Putnik” racconta, in forma di diario visivo, la storia di un camionista russo in viaggio per tornare a casa dalla sua famiglia. Attraversando tutta la Siberia da est a ovest, Ivan Putnik ha scattato centinaia di foto, scrivendo note e commenti accanto alle sue immagini. In Siberia, a nord del circolo polare artico, Google Street View è quasi completamente assente. La cosa che più gli si avvicina sono le fotografie sferiche scattate da utenti comuni, caricate sul server e geolocalizzate. Una pratica significativa, su cui abbiamo deciso di concentrarci, setacciando queste aree su Google Maps. In realtà Putnik è un personaggio immaginario, e tutte le immagini del progetto sono screenshot che abbiamo ricavato da queste foto a 360° scattate da cittadini russi. Ci abbiamo costruito una storia intorno, incrociando le pratiche di appropriazione e di risignificazione delle immagini con quelle della fiction. Ma ciò che emerge ulteriormente dalle immagini sono le conseguenze della politica sull’ambiente. Sebbene l’opera sia nata dal puro piacere di meravigliarsi per queste immagini e sebbene sia nata senza alcuna intenzione di protesta, sono poi sorte ulteriori questioni degne di nota. Tra tutte la scoperta di
territori oggi estremamente rilevanti negli equilibri geopolitici e ambientali del pianeta.
Gasdotti, porti, miniere, sfruttamento incontrollato delle risorse e circolazione di merci e materiali sono così diffusi che basta cliccare a caso su Google Maps per trovarli davanti a
noi.
(Vaste Programme)


Arianna Arcara e Luca Santese: “Found Photos in Detroit”
https://www.cesura.it/shop/found-photos-in-detroit/

“Abbiamo trovato queste foto per le strade di Detroit. Le abbiamo prese e abbiamo iniziato a setacciare le migliaia di polaroid, lettere, stampe di prove fotografiche.Questa è una selezione delle foto trovate nell’archivio di Detroit nel 2009-2010”.
(Arianna Arcara e Luca Santese)
“Sembra che Arcara e Santese si siano resi conto che le loro stesse fotografie, non importa quanto forti, non avrebbero mai potuto eguagliare la bellezza e il potere di questi resti di vite vissute e colpite da una città che sta implodendo. Spesso usandole come un sillabario o una narrazione incompleta, ci è permesso di dedurre e generare le nostre interpretazioni e riflessioni attraverso le storie di queste figure senza nome”.
(Vladimir Gintoff/ASX)

Leonardo Magrelli: “West of Here”
https://www.leonardomagrelli.com/pictures-2

“A prima vista West of Here sembra una classica ricognizione fotografica di Los Angeles, che segue le orme dei tanti grandi fotografi che hanno lavorato in quella città. Ma guardando più da vicino, l’opera rivela di più. Tutte le immagini provengono infatti da Grand Theft Auto V, un videogioco ambientato a Los Santos, uno scenario “open world” che ricorda molto da vicino Los Angeles e i suoi dintorni. (…) Invece di fotografare direttamente “nel gioco”, però, le immagini vengono intenzionalmente raccolte dal web – da numerosi screenshot, sfondi e video originariamente presi da diversi giocatori in tutto il mondo. Questo processo serve a gettare ulteriore luce sull’onnipresente proliferazione della creazione di immagini, creando al contempo un’unica narrazione a partire da una “memoria collettiva” di un luogo che non esiste. In effetti, è possibile fotografare un posto del genere? E cosa significa farlo? Con quale luce scriviamo? (…) Esplorando le possibilità e i significati del fotografare un luogo virtuale, il lavoro affronta ulteriori questioni, come la veridicità della fotografia e la nostra fede in questo mezzo come traccia della realtà. Raccolte dal web, montate, ritagliate e trasformate in bianco e nero dall’autore, le immagini perdono la loro evidenza virtuale e offuscano la distinzione tra falso e reale”.
(Leonardo Magrelli)


Claudia Corrent: “Garbatella”
https://claudiacorrent.carbonmade.com/garbatella-1


“Il progetto fotografico si muove in questa direzione: dare memoria al tempo andato cercando di attualizzare il passato, lasciando correre la reverie, il sogno, a seconda delle suggestioni raccolte nelle conversazioni avvenute nei cortili interni, nelle case private, nei giardini condominiali [nel quartiere Garbatella a Roma. Ndr]. (…) Le fotografie create sono quindici ma potrebbero essere molte di più perché le possibilità di creare e intrecciare storie sono potenzialmente infinite. L’uso del collage diventa un modo per mettere insieme frammenti, ritratti, paesaggi, segni, in un movimento continuo cercando di dare risposta alla propria domanda”.
(Claudia Corrent)

Sedici: “Album². Fotografie salvate dall’acqua” (ongoing project)
https://www.sedici.org/album-fotografiesalvatedallacqua


“Cosa ne sarà di tutte quelle fotografie che erano racchiuse nei nostri garage, nelle cantine, nei sottoscala, nelle taverne delle nostre case sommerse dall’alluvione del 2 novembre 2023? In poche ore le piogge hanno causato allagamenti ed esondazioni in ampie aree della Toscana e lasciato sott’acqua abitazioni, cose e – purtroppo – anche persone. Ora che questa tragica pagina della nostra storia sembra essere alle nostre spalle ci siamo chiesti quale memoria visiva resta di ciò che l’alluvione ha distrutto. I nostri cellulari hanno registrato per sempre le immagini di ciò che stava succedendo, mentre tutte le memorie di carta contenute in album di famiglia e archivi privati sono state riversate nelle strade in mezzo ai detriti. Solo alcune di queste sono state salvate e recuperate per quanto possibile con una disperata pulizia dall’acqua e dal fango. Abbiamo pensato che, con l’aiuto di chi vorrà partecipare, sarebbe stato importante e prezioso creare un racconto di ciò che ha resistito, di quelle immagini che non potevano in alcun modo andare perdute.
Hai anche tu delle foto (su carta o su pellicola) che hai salvato dall’alluvione del 2 novembre? Portale in uno dei Circoli indicati oppure nella nostra sede di via Genova, dove sarà presente un/a referente che si incaricherà di custodirle. Grazie anche al tuo materiale potremo costruire il nostro racconto di comunità, da restituire alla città nei prossimi mesi. Tutte le foto saranno riconsegnate ai proprietari non appena concluso il percorso collaborativo”.

SEDICI è un gruppo indipendente di fotograf* e studios* nell’ambito delle arti visive con sede
a Prato; produce e promuove eventi di fotografia contemporanea.