Afghanistan, gioco a tre

Gli Stati Uniti annunciano l’avvio di negoziati a Doha con i Talebani. una sede di rappresentanza talebana è stata aperta in Quatar e da giovedì fonti diplomatiche statunitensi affermano che inizieranno i contatti e che sarà solo l’inizio di un percorso molto lungo. Questa mattina, però, Aimal Faizi, portavoce del presidente Hamid Karzai, ha annunciato che il presidente ha sospeso senza preavviso i colloqui con gli Stati Uniti in merito all’Accordo Bilaterale sulla Sicurezza, un trattato che consentirebbe alle truppe Usa di rimanere nel Paese centro-asiatico anche dopo il 2014, quando sarà completato il ritiro delle forze della Nato. La decisione presa in disaccordo sul passaggio dei negoziati diretti di Doha.Rapporti di forza e mosse di una partita che, se mai dovesse reggere, vedrà i protagonisti impegnati a cercare di ottenere il massimo di agibilità dopo la data del 2014. Tutto è ancora prematuro, ma Alfredo Somoza, in questo post del suo blog, che aveva intitolato ‘Una ritirata senza prospettive’, ci racconta anche perché gli usa devonom imparare a temere i libri di Storia.

 

[author] [author_image timthumb=’on’]https://fbcdn-sphotos-e-a.akamaihd.net/hphotos-ak-prn1/30586_117755678246365_6400426_n.jpg[/author_image] [author_info]Alfredo Somoza è presidente di Icei, direttore di dialoghi.info e collaboratore per Esteri, Radio popolare. www.alfredosomoza.com[/author_info] [/author]

Ormai mancano pochi mesi alla fine della presenza di truppe straniere in Afghanistan. Il calendario annunciato del presidente Obama, ritiro entro la fine del 2014, sarà rispettato anche dagli alleati ancora impegnati su quel fronte: Germania, Regno Unito, Italia. Il conflitto, iniziato nell’ottobre del 2001 con i resti delle Torri Gemelle ancora fumanti, aveva come obiettivo distruggere i campi di addestramento, dare la caccia ai massimi vertici di Al Qaida e spazzare via il regime dei talebani.

Obiettivi tutti mancati, nel senso che i leader della fantomatica rete del terrorismo islamico, quando sono stati raggiunti, erano quasi sempre nel vicino Pakistan. E i talebani, diventati nel frattempo la punta più acuminata della resistenza afghana alla presenza straniera, sono ora gli unici interlocutori politici con i quali gli USA stanno trattando la transizione verso un governo del quale sicuramente faranno parte.

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Questo nelle intenzioni di Washington, luogo nel quale di solito la Storia è poco studiata. Dimenticano, al Pentagono, la fine dei soldati inglesi che nel gennaio del 1842, durante la prima guerra anglo-afghana, si ritirarono da Kabul in base alla parola data da Mohammed Akbar Khan: il leader dei ribelli afghani aveva promesso che non sarebbero stati toccati durante l’evacuazione verso l’India.

Alla fine, ben pochi dei 16.000 soldati e familiari della guarnigione di Kabul arrivarono in India. In parte furono vittime del gelo, ma soprattutto caddero durante gli agguati tesi dalle varie tribù appostate lungo la strada. Di tanto in tanto Akbar si faceva vivo rassicurando il generale Elphinstone che stava facendo tutto il possibile per tenere sotto controllo le tribù locali: vi fu, però, chi riferì di aver udito il capo afghano esortare i suoi combattenti a risparmiare gli inglesi in persiano, lingua conosciuta da alcuni di questi ultimi, e a massacrarli in pashtun, lingua parlata solo dagli afghani.

[blockquote align=”none”]L’Afghanistan è questo. Un coacervo di etnie organizzate in modo tribale che dà vita a un Paese definito tale solo per convenzione geografica. Più che uno Stato, infatti, questo lembo d’Asia è il teatro di continue lotte per la supremazia tra i gruppi locali; lotte nelle quali, a intervalli regolari, si inseriscono potenze straniere che finiscono regolarmente sconfitte. Britannici, sovietici e ora statunitensi hanno imparato a spese proprie quanto l’Afghanistan sia imprendibile e soprattutto ingovernabile.[/blockquote]

In quest’ultima tornata, il costo umano è stato di 3100 soldati occidentali e circa 12.000 civili morti. Quello economico di 30 miliardi di dollari annui per gli USA e 800 milioni di euro annui per l’Italia.

Il bilancio della politica estera armata dell’ultimo ventennio, e cioè da quando la fine della Guerra Fredda ha permesso di tornare a utilizzare le armi, è totalmente fallimentare. I Paesi nei quali si è registrato l’uso della forza da parte di potenze straniere, come l’Iraq, l’Afghanistan, la Libia, sono a brandelli, balcanizzati e in mano quasi sempre a forze integraliste. Dalla guerra evidentemente non nasce la democrazia, eppure la diplomazia internazionale ha smesso di esplorare le vie pacifiche per mettere alle strette i regimi totalitari e farli eventualmente crollare.

Oltre l’embargo non c’è nulla di nuovo: la forza rimane lo strumento principe, con interventi militari sempre meno regolamentati e gestiti quasi esclusivamente dalla Nato. La guerra afghana non insegnerà nulla oppure sì, ma questo lo sapremo in futuro. Nel frattempo, la fornitura di armi sempre più tecnologicamente avanzate non si ferma.



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