Nord Africa in fiamme

Bengasi, Tunisi, il Cairo. Un filo rosso sangue unisce il Nord Africa in queste ore, in quella che sempre più sembra a peggior evoluzione possibile delle rivolte arabe

 di Christian Elia

 Il 2011 è stato un anno gravido di speranze, un anno donna, emozione di speranza. Ben Alì, Mubarak, mesi dopo anche Gheddafi. Le sommosse infiammavano tutto il mondo arabo, ma solo il Nord Africa aveva ottenuto – con le rivolte popolari – la rimozione di satrapi che parevano monumenti eterni alla mancanza di libertà.

In Yemen è finita in farsa, in Bahrein la protesta è stata soffocata nel sangue e nell’indifferenza per la rabbia sciita, in Siria è finita in una guerra sporca e che è già costata la vita a 100mila persone. In Iraq e in Arabia Saudita le opposizioni sono state soffocate nella culla. In Nord Africa, invece, pareva tutto in movimento. Una società, finalmente, liquida si riversava nelle strade, come un’onda rabbiosa, multicentrica e imprendibile.

Supporters of ousted President Mohamed Mursi shout slogans in Cairo

MANIFESTANTI PRO MORSI AL CAIRO

Da quel magma non poteva che emergere l’unica forza realmente organizzata, l’unica realtà inquadrata, compattata da anni di repressione: gli islamisti. Che in Tunisia ed Egitto, con limpide elezioni, mentre in Libia con processi meno trasparenti e democratici, prendevano il potere.

Commettendo, di sicuro, l’errore di pensare che la vittoria elettorale coincida con il dominio assoluto. Perché questo è stato un passo falso, in quanto negava proprio la ricchezza maggiore di quei movimenti: la capacità di unire tutte le forze di opposizione in questi paesi: studenti e disoccupati, laici e religiosi, vecchi e giovani, uomini e donne.

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MANIFESTAZIONI A BENGASI PER L’OMICIDIO DI ABDESSALEM AL-MESMARY

Detto questo, come non notare che un orologio rotto segna l’ora giusta almeno due volte al giorno? Gli islamisti si trovano a gestire, nel cuore di una delle più drammatiche crisi economiche mondiali, paesi per anni nelle mani di ristrette elìte di potere. Non era facile per nessuno. Il popolo ha fame, vuole riforme, aspetta il cambiamento promesso, quel rinnovamento che ha spinto tutti a mani nude contro i blindati.

Era dura, a prescindere. Adesso, però, con gli apparati che rialzano la testa, diventa quasi impossibile governare. Quello che succede deve far riflettere. A Tunisi, la stessa pistola che ha ucciso Chokri Belaid, spara a Mohammed Brahmi. In pochi mesi due delle figure più influenti dell’opposizione laica e progressista vengono assassinati. A Bengasi, città libica dove la rivolta contro Gheddafi è iniziata, è stato assassinato l’avvocato Abdessalem al-Mesmary, oppositore laico, figura di spicco della rivoluzione.

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FUNERALI DI MOHAMMED BRAHMI IN TUNISIA

Nelle stesse ore l’Egitto brucia. Fonti militari e dei Fratelli Musulmani rilanciano il numero delle vittime, ma di sicuro il sangue scorre. Sfugge la situazione generale: cosa spingerebbe i Fratelli Musulmani, nelle varie declinazioni nazionali, ad incendiare in contemporanea la situazione in Tunisia e Libia, proprio mentre in Egitto il presidente Morsi è agli arresti domiciliari? Altro aspetto inquietante, perché il generale al-Sisi ha preso l’assurda iniziativa di chiamare in piazza gli anti-islamisti? E’ stato come buttare un fiammifero acceso in un pagliaio.

La primavera araba, da tempo, si era rivelata più povera delle sue premesse. Adesso si scivola verso un inverno di violenza. Le reponsabilità sono molteplici. I salafiti, in primo luogo. Gli islamisti, nel tentative di rafforzare il loro potere ma non scontentando i finanziatori occidentali, hanno tenuto lontano dal potere le frange più radicali dell’Islam politico. Adesso, finanziati dall’Arabia Saudita, se li trovano nemici. Allo stesso modo, non fidandosi, hanno provato a controllare i militari, a piegare i laici. Non ci sono riusciti. Nessuno può prevedere quello che accadrà, ma sarebbe miope non rendersi conto che l’unica forza in campo con una struttura organizzativa è proprio quella dei Fratelli Musulmani. Rovesciare i loro governi con la forza, e non con processi elettorali e democratici, non potrà che aprire la porta al caos.



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