Pendolari, figli di un’Italia minore

Da Bologna verso l’Abruzzo, un viaggio estenuante, simbolo delle due velocità di un Paese che investe in alta velocità senza saper garantire il diritto dei cittadini al trasporto pubblico

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/07/149443_1453084330719_6152780_n.jpg[/author_image] [author_info]di Alessio Di Florio, da Chieti. Attivista di varie associazioni e movimenti pacifisti e ambientalisti abruzzesi e responsabile locale dell’Associazione Antimafie Rita Atria e di PeaceLink – Telematica per la Pace. Collaboratore delle riviste Casablanca – Storie dalle Città di frontiera, de I Siciliani Giovani, di Libera Informazione e di altri siti web che si occupano di pacifismo, denunce ambientali(tra cui speculazione edilizia, gestione rifiuti, tutela delle coste, rischio industriale e direttive SEVESO), diritti civili, lotta alle mafie e altre tematiche[/author_info] [/author]

“A due velocità”. Quante volte negli anni abbiamo sentito questa frase. Per anni ci hanno raccontato di un’Italia “a due velocità”, nelle analisi sulla crisi economica c’è chi ipotizza in futuro un’Europa o soltanto un euro “a due velocità”. E’ un termine, velocità, che rimanda allo spostamento, al viaggio, ai trasporti. Come quelli ferroviari. Vediamo in tv, mentre navighiamo sul web, nei cartelloni pubblicitari stradali e sui giornali esaltata la velocità e l’efficienza di Italo, delle Frecce bianche e rosse.

E questi treni supermoderni, superveloci, superefficienti nelle nostre stazioni. Ogni pendolare, utente dei treni “regionali”, sa che davanti alle Frecce ci si ferma, si attende, bisogna dar la precedenza perché la velocissima corsa di questi supertreni non può essere fermata o rallentata. E c’è la TAV, il progetto strategico del nostro governo che va avanti nonostante costi immensi crescenti e l’opposizione di centinaia di migliaia di cittadini e cittadini. E’ il progresso che avanza. O almeno così ci raccontano.

treno_su_ponte

Mercoledì 17 luglio, s’avvia a conclusione (l’orologio segna ormai le ore 19) un’afosa e dura giornata. Un pendolare giunge in stazione, pronto al viaggio per tornare a casa. Accanto a lui un signore attende lo stesso treno, torna da Bologna e doveva essere giunto a destinazione. Un’ora dopo quella di arrivo è invece ancora in attesa, e lo attendono altri 45 minuti buoni di viaggio. Almeno così crede, così come il nostro pendolare. Con qualche minuto di ritardo (ma è la norma, riflette a voce alta il nostro pendolare rassegnato) il treno parte. Decine di persone costrette in piedi, stipati nei vagoni come sardine in scatola, dopo un paio di minuti i viaggiatori si accorgono che il treno procede lentissimo. E sull’altro binario sfreccia improvviso un “Freccia bianca”.

L’abbiamo già scritto all’inizio, davanti ai supertreni bisogna “dar la precedenza”. Dopo si potrà continuare il viaggio con la normale tabella di marcia. O almeno così si sperava. Arriva alla stazione successiva il treno e improvvisamente si ferma. E le porte restano ferme. Un bambino comincia a dar segni di irrequietezza, l’aria non è proprio salubrissima. Uno, due minuti. E non riparte. Cinque, dieci minuti. Si riparte finalmente, ma ancora con estenuante lentezza. E, in aperta campagna, torna a fermarsi. Si ripete lo stesso copione. Si riparte ancora, un’altra stazione viene raggiunta e superata. E ormai a pochi passi la quinta stazione. Mancherebbero pochi minuti ma il treno torna a fermarsi. Questa volta sotto una galleria.

Se ci fosse un malato di cuore o un claustrofobico vivrebbe minuti di vero terrore. Per fortuna non è così e c’è solo il bambino di prima. Oltre al viaggiatore di ritorno da Bologna. Stanco, ormai stremato, che alla fine riesce ad avere informazioni sul perché di tutti questi stop-and-go dal personale: c’è un “problema di trasmissione sulla linea”(riporto testualmente), ma dopo la prossima stazione si potrà ripartire speditamente. E’ oltre un’ora che si è sul treno, oltre un’ora di un viaggio ancora a metà che invece doveva durare al massimo 50 minuti.

Qualcuno potrebbe pensare che è una serata storta, una casualità più unica che rara. Non è così. Quanto stiamo raccontando è la norma per gli abituali pendolari. E, mentre si attende la ripartenza, durante la sosta in aperta campagna e in galleria, la mente del nostro pendolare ricorda i tanti episodi degli anni scorsi. Come quella sera, era il 15 marzo 2006, quando sul treno partito da Termoli scoppiò un’incendio. Mentre a Pescara il giorno dopo dal treno che stava per partire una scintilla preannunciò una serata degna di Odisseo.

A cui seguono, nei due giorni successivi, ritardi di almeno trenta minuti e viaggi in vagoni dove si è così stipati che è praticamente perdere l’equilibrio, si cadrebbe addosso ad almeno una decine di persone. Situazioni identiche si ripetono negli anni, e memorabile resterà la settimana precedente alla Pasqua 2012.

Il 20 Aprile il nostro pendolare è stato testimone oculare di un’altra gravissima disavventura. Questo il brevissimo racconto di quel pomeriggio: “Il treno è partito da Pescara alle 13,52. E’ pieno di pendolari. A un certo punto, ci siamo accorti che un vagone era colmo di fumo. Un ragazzo è rimasto chuso dentro. Sono stati alcuni amici a liberarlo, forzando la porta, che era bloccata. Il treno si è fermato prima alla stazione di Fossacesia-Torino di Sangro, poi è ripartito per fermarsi di nuovo in aperta campagna dove, se fosse accaduto qualcosa, nessuno ci avrebbe potuto aiutare prontamente” e, dopo che il nostro pendolare è sceso a terra, il viaggio è proseguito attraversando anche una galleria di 7 chilometri.

Dopo gli stop-and-go e la lentissima marcia che abbiamo raccontato, il 17 luglio scorso il treno ha proseguito la sua corsa, giungendo a destinazione che poco meno di un’ora di ritardo.

Sfreccia Italo, si spendono miliardi e miliardi per la TAV, l’altissima velocità “europea” corrono velocissime le Frecce bianche e rosse. E al verde rimangono i pendolari, i viaggiatori dei treni regionali. Questo è un racconto dall’Abruzzo, ma in ogni regione centinaia (se non migliaia) di persone potrebbero raccontare identica sorte. E’ l’Italia “a due velocità”, una corre, l’altra marcia lentissima…



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