L’insostenibile inconsapevolezza del bello

Ieri ero a cena con degli amici. Un tedesco, un olandese e una svedese. Lo so… l’incipt è quello di una barzelletta, ma a parte l’allegria della compagnia e quella regalatami da qualche bicchiere di vino, gli argomenti affrontati non mi hanno fatto ridere. Anzi, mi hanno portato a fare delle amare riflessioni e la notte non mi ha affidato alle cure di un sonno tranquillo.

di Nicola Sessa, da Berlino

Una premessa fondamentale: quando si è a tavola con degli stranieri e tu sei l’unico italiano, allora è inevitabile che si parli di Italia. Si comincia da cose frivole, dai racconti delle vacanze – perché qualcuno è appena tornato da un viaggio in Italia o sta programmando di andarci – fino alla cucina o al cinema. A proposito, La Grande Bellezza di Sorrentino sta spopolando.

Poi si arriva alla politica: ma sono vaccinato. Sono pronto a rispondere su tutto e le visioni, in genere coincidono. I temi sono sempre gli stessi: 1. Perché Berlusconi ha un elettorato così vasto; 2. Ma, la Sinistra che fa? (qui è facilissimo cavarsela con un: “Sinistra?”); infine, 3. Ci si può fidare di Grillo? Tutto ordinario. Qualche volta se la discussione si scalda troppo ho imparato come spegnerla: la miglior difesa è l’attacco. Comincio ad attaccare io i punti deboli dell’Italia e come per magia, le parti in causa si rovesciano: da grandi ammiratori dello Stivale, diventano i migliori avvocati della povera Italia. Per me è galvanizzante: sentire tutto il meglio sul mio Paese e il sorriso ritorna padrone del mio volto. Snocciolano nomi di poeti e artisti del Rinascimento che neanche io conoscono (se non di nome), di luoghi che neanche io, da italiano, ho mai visitato. Mi raccontano storie e aneddoti della Roma di Caravaggio, della guerra stilistica consumatasi tra Francesco Borromini e Gian Lorenzo Bernini culminata in trecento metri di strada, nelle chiese di Sant’Andrea al Quirinale e San Carlino alle quattro fontane; mi pregano di smettere di parlare male del “paese più geniale” al mondo, che sono un ingrato e bla, bla, bla… ecco in quel momento io ho vinto e la serata finisce là commentando con l’ultimo bicchiere di vino il troppo caldo o il troppo freddo che avvolge Berlino.

ritratto ignoto marinaio

Ieri però c’è stato un corto circuito. Il copione ha subito una variazione. Sarà che il mio amico Oberg, il tedesco, di mestiere fa lo sceneggiatore. Scrive per il cinema e per il teatro e quindi ha una certa dimestichezza con i copioni. Sull’ultimo sorso di grappa (una molto buona e molto vecchia che ho rubato a casa di mio di padre – che tanto è astemio), Oberg ha schioccato la lingua e ha agitato l’indice in aria come un Fra Cristoforo qualsiasi: “come potete permettere che chiuda il museo Madralisca di Cefalù? Siete davvero incredibili, voi italiani. Per voi è normale avere l’Eden dell’arte sotto casa, vero? Non ci fate neanche caso”. Fossi stato un Don Rodrigo, avrei risposto a quel Fra Cristoforo della Renania: “escimi di tra i piedi, villano rincivilito!” .

Avrei raggiunto così due obiettivi: 1. Avrei tagliato corto la discussione e avvicinato le mie membra, non proprio composte e coordinate ormai, al luogo deputato: il letto; 2. Avrei così dissimulato la mia ignoranza: io non avevo mai sentito parlare del museo Madralisca (che poi con uno sforzo si immaginerà come possa suonare all’orecchio il nome Madralisca, pronunciato da un tedesco). I miei occhi sbarrati e immobili, sono stati divorati da quelli ancora più grandi e sbalorditi del mio commensale: aveva capito che io non sapevo nulla. Non solo della notizia della chiusura del museo, ma neanche che esistesse un museo con quel nome… Mi sono sentito in un angolo, speravo – ho pregato – che si ricominciasse a parlare di Berlusconi o della Salerno-Reggio Calabria o degli stereotipi sugli scippi a Napoli ai danni dei turisti. Ma niente. Ho pensato: “dove diavolo è il mio dannato Iphone?” Il dio Google mi avrebbe tolto dall’imbarazzo. Ho alzato bandiera bianca: “Mi dispiace, non so proprio di cosa tu stia parlando”. Alla mia ammissione di colpevolezza, Oberg è stato conquistato da un atto di clemenza: a grandi passi si è diretto verso il monitor del computer.

L’abbiamo seguito: non c’era bisogno che c’invitasse. E www.fondazionemandralisca.it. Eccolo il museo. Il sito non è bellissimo, ma in alto, al centro della pagina riconosco un famoso dipinto di Antonello da Messina: Il ritratto d’ignoto marinaio. Meraviglioso. “Lo conosco!”, ho esclamato. Ma il mio credito aveva subito un drastico hair cut. Non potevo biasimarli e ho incassato in silenzio il sorrisino sarcastico degli astanti. A quel punto, ho preso i comandi del computer e ho fatto qualche ricerca.

Ho trovato questo articolo su Il Giornale, di Vittorio Sgarbi. Non c’è dubbio: quando Sgarbi prende la penna per scrivere d’arte e inveire contro “i caproni” che non fanno nulla per prendersene cura, non si batte. Sgarbi dice, e io gli credo, che non ci vogliono molti soldi per evitare la chiusura del museo… molti di meno di quelli che si spendono per pagare “un artista alla moda” – è Sgarbi che lo chiama così – per disegnare i tombini delle fogne di Cefalù. Evito di tradurre ai miei ospiti questa invettiva di Sgarbi: mi incarterei ancora di più e le lancette sono andate ben oltre un orario ortodosso. Accompagno alla porta i miei amici e li saluto. Mi accendo una sigaretta. Erano settimane che non fumavo. Da maggio per l’esattezza, quando Chicco era venuto a trovarmi per scrivere la story line di un documentario a cui abbiamo lavorato insieme. Mi sono seduto a capo tavola: volevo darmi dei pugni in testa.

Sgarbi ha scritto: “L’ignoranza è la madre della cattiva politica”. L’ignoranza, credo io, alla fin fine è innocente. A volte è uno scudo per ripararsi dai dardi avvelenati del quotidiano. La leggerezza, la superficialità, l’arroganza. L’inconsapevolezza. Queste, sono colpevoli e responsabili del degrado culturale di un popolo che si riflette nell’arida e fangosa palude di chi governa. Io mi sono sentito profondamente ignorante e mortificato. Perché un tedesco che vive a duemilacinquecento chilometri da Cefalù sa dell’esistenza di un gioiellino qual è il Mandralisca e io, no? Eppure mi vanto – che crepi la modestia – di essere un uomo interessato alle cose. Io che non so, divento un punto debole della società. Io che non so, non posso difendere le cose e i valori che meritano di essere protetti. Scaricare questo compito su chi dovrebbe fare qualcosa, delegare, non serve a molto. Perché siamo noi a dover agire. L’arte, il patrimonio culturale è nostro.

berlin-wall

Pensavo a quel che avevo visto qualche tempo fa. In Bernauerstrasse, dove è possibile visitare e documentarsi (come solo i tedeschi sanno fare) sulla sezione del Muro che divideva la città, ho visto un gruppo di giapponesi affacciarsi in una buca protetta da una recinzione e da un vetro trasparente e pulitissimo. La guida spiegava al gruppo con delicatezza e solennità il contenuto di quella buca. Mi sono avvicinato, incuriosito: c’era una canalina di cemento – ricostruita come un mosaico dopo che gli scavi l’avevano danneggiata – e quelli che sembravano dei fili elettrici. Ho aspettato che i giapponesi si allontanassero per leggere la tabella descrittiva: “Fili elettrici dell’impianto di illuminazione della zona della morte, 1970, circa”. Trattenere una risata fragorosa, fu cosa impossibile. E purtroppo alle mie spalle c’era un cimitero e a pochi metri da me il memoriale delle persone che hanno perso la vita nel tentativo di fuga.

Ecco, era da stronzi averci riso su. Adesso lo so. La serata con Oberg e gli altri mi ha insegnato che non sono ridicoli i tedeschi che circondano un reperto di quarant’anni fa o gli americani che piantonano una pietra del 1800. I ridicoli siamo noi. Noi che abbiamo il più grande patrimonio culturale al mondo e ne facciamo scempio abbandonando millenni di storia a loro stessi o trasformandoli in discariche. Penso a Pompei, a Oplonti, a Bacoli dove se si vuol visitare un esempio magnifico di cisterna romana – la Piscina mirabilis, la più grande della romanità – bisogna essere fortunati a trovare la vecchietta che è “custode” del luogo. Nessuna biglietteria, nessuna guida per uno dei siti più magici al mondo. E Sibari? Duemilacinquecento anni di storia! A gennaio scorso il fiume Crati (di cui già Erodoto ne parlava) è esondato e ha sommerso il presidio greco e i resti romani più recenti (si fa per dire). Quando il Crati (da Kratos, il potere) si è ritirato, il fango è rimasto a coprirne le preziose vestigia. Sono trascorsi otto mesi da allora. Tutto è come prima, meno i trecentomila euro spesi con scarsi risultati. Leggo che Bruxelles ha stanziato dei finanziamenti ma, come spesso accade, manca un progetto e il rischio è quello di perdere accesso ai fondi.

piscina mirabilis

Non ci ho dormito la notte. I minuti trascorrevano tra un elenco lunghissimo di cose che non vanno. Ho pensato alla mia ultima visita al Maxxi, il museo della Melandri che adesso chiede una giusta retribuzione (per cosa?). Ricordo la fila, lunga, per presentare commenti e reclami. Mi ci misi anche io: parlai con una ragazza canadese che viveva a Verona dove insegnava l’inglese. Era venuta a Roma solo per il Maxxi con un treno notturno (sorvolo sulla descrizione del viaggio): “Chi gestisce questo posto? Ce l’ha un direttore?”. Si lamentava, sembrava che avesse subito uno sgarro personale… “Non c’è un’indicazione per capire da quale lato comincia il percorso di una mostra; le persone si muovono come un gregge senza cane; mancano le schede descrittive e il personale altro non sa dirti che “signorina, non si può fotografare!”. Sono convinti che così ci si prende cura dell’arte, impedendo di fare una fotografia… Sai cosa penso? Ma non offenderti, però”, mi disse con un simpaticissimo accento. Già sapevo cosa stesse per dirmi e feci le spalle grosse per sopportarne il peso. “Penso che in Italia sia nata l’arte, il bello si è nutrito in Italia. Ma penso che questo sia il paese meno adatto a conservare tutta questa bellezza”. “Signorina” – le dissi svuotando completamente i miei polmoni e prendendo tempo – “non si tratta di essere adatti o non adatti. La nostra colpa è quella di essere cresciuti nel bello e pertanto siamo arroganti, superficiali, frivoli e inconsapevoli di possedere questa bellezza”. Siamo inconsapevoli e perciò colpevoli.



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