Habibi

Graphic novel di Craig Thompson, tra orientalismo e islamofobia, edita da Rizzoli Lizard

di Francesco Zoroastro Fusillo, tratto da Comicsblog

9 settembre 2014 – Rizzoli Lizard ha continuato il “cammino” ideale iniziato con la ri-pubblicazione (in un formato molto bello, tra l’altro) di Blankets per “finire”, come andremo a vedere, con la prima apparizione italiana di Habibi, ultima graphic novel del pluripremiato artista/autore Craig Thompson.

E, per me, la recensione di questo Habibi ha assunto il “sapore” di una sfida: leggerlo e rileggerlo, pagina per pagina, è stato un lavoro davvero molto intenso e interessante e, solo dopo un’attenta riflessione, sono riuscito a trovare le parole giuste per poter narrare, in poche righe, la complessità di quest’opera. Complessità che, a quanto pare, è stata il recepita in maniera abbastanza particolare da molti recensori d’oltreoceano (e non) che, da quand’è uscito fino ad oggi, hanno riversato su Habibi fiumi e fiumi d’inchiostro. E, per Thompson e la sua opera, questi “fiumi” sono stati a volte di lode (Lisa Shea di Elle ha detto che “Thompson is the Charles Dickens of the genre… [and] Habibi is a masterpiece that surely is one of a kind“) e a volte, purtroppo, di profonda critica (come Nadim Damlujidell’Hooded Utilitarian che ha detto su Habibi “an imperfect attempt to humanize Arabs for an American audience“, criticando inoltre l’assoluta “non padronanza” della lingua e scrittura araba da parte dell’autore).

E, per la prima volta da tanto tempo, penso proprio che sia le recensioni positive che quelle negative “convergano” su un unico, ineluttabile, punto: Habibi è un’opera “ambigua”. Ambigua sia perché tratta il sesso e “l’approccio” ad esso in un contesto che è a metà tra il fiabesco e l’apocalittico (che è, poi, la critica “maggiore” rivolta verso Thompson e Habibi) e sia, a dire molti, perché Thompson non ha “impresso” (come fatto su Blankets) il suo “pensiero” sulle tematiche qui trattate. Ma sarà vero?

 

Process-Gallery-Habibi

 

Senza andare a raccontare nulla di compromettente ai fini della lettura di Habibi, sono proprio le vicende della giovane Dodola prima (e del piccolo Zam poi) che, probabilmente, sono da interpretare come le “note autobiografiche” che in molti ricercavano nell’opera. E il rapporto tra Dodola e Zam, nella sua evoluzione narrativa, può essere paragonato a quel desiderio, quasi “viscerale”, che ognuno di noi potrebbe avere circa la propria “donna ideale”…una donna bellissima, intelligente, affettuosa…una donna che è anche una madre!

E che Dodola sia, in effetti, quella donna che tutti noi potremmo desiderare è, in Habibi, la “chiave” del “Thompson pensiero”: facendoci innamorare di Dodola e delle peripezie che attraverserà (in un Medio Oriente che, ripeto, è a metà tra “l’apocalittico” e “il fiabesco”), l’autore si “introduce” nella vita personale del personaggio da lei descritto nella figura di Zem, l’orfanello che la giovane donna crescerà in condizioni molto particolari. E ogni gesto, ogni storia narrata da Dodola, ogni passaggio tra una vicenda e un’altra è solo “funzionale” al finale (che, ovviamente, non sto qui a raccontarvi)…finale che, sappiatelo, può essere facilmente “previsto” se si è grado di interpretare un paio di metafore che il saggio Thompson ha inserito, in due blocchi molto “particolari”, proprio all’inizio e a metà di Habibi …

Ovviamente, per narrare un’opera di cotanta complessità, Thompson ha ben pensato di adattare (o ri-adattare, decidetelo voi leggendolo e paragonandolo a Blankets) il suo stile di disegno (ovviamente bianco e nero) che, pur essendo “figlio” della sua mano, qui assume delle forme veramente astratte e poetiche: il “nero”, forte più che mai, viene usato dall’artista per donare ornamenti o decadimento, a seconda di come Dodola, Zam o i mille personaggi ivi descritti interagiscano tra loro o i paesaggi dell’opera. Il “bianco”, invece, ha il difficile compito di “ammorbidire” sia la durezza del tratto (a volte molto “marcato”) sia, soprattutto, di “annotare” i dettagli dei paesaggi che, ovviamente, sono per la maggior parte desertici e orientaleggianti.

Nulla da eccepire per l’edizione italiana realizzata da Rizzoli Lizard che, come già fatto in Blankets, decide di optare per un bel cartonato “solido”, con pagine semi-ruvide e “pesanti” che ne favoriscono una lettura molto piacevole e scorrevole. Una scelta stilistica perfetta che, fidatevi, vale da sola tutto il prezzo dell’opera (35 euro).

Concludendo, penso che Habibi sia un’opera che vi darà parecchio “filo da torcere” perché, oltre alla complessità generale della stessa, una volta richiuso il volume per l’ultima volta avrete davanti a voi una non facile domanda: mi è piaciuto o no? E la risposta, questa volta, dovrete darvela da soli perché, pur risultando prolisso, è proprio nella complessità delle tematiche e delle vicende che dovrete ricercare il vostro giudizio su Habibi. Io l’ho trovato “emozionalmente complesso”…ora sono curioso di sapere cosa ne pensate voi!

 

 

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