Ferite a morte

Scritto e diretto da Serena Dandini, il progetto teatrale sul femminicidio, per dar voce alle vittime

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/07/anna.jpg[/author_image] [author_info]di Anna Maria Volpe, da Bruxelles. Già collaboratrice di Peacereporter et E-Il mensile, dopo aver diverse esperienze radiofoniche e tanto scrivere di arte e teatro, fa la valigia e va a Bruxelles dove lavora nel settore della cooperazione allo sviluppo. Tra le altre cose, cura il blog Déclinaison féminine, per il giornale belga La Libre.be, in cui tratta temi disparati in un’ottica di genere. Curiosa, viaggiatrice, con un biglietto aereo sempre in tasca e qualche nuova idea che le frulla per la testa.[/author_info] [/author]

7 dicembre 2013Ferite a Morte, il progetto teatrale sul femminicidio, scritto e diretto da Serena Dandini, ha debuttato a Palermo il 24 novembre scorso, alla vigilia della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, e successivamente ha fatto tappa a Bologna, Genova, Milano, Firenze, Roma, Torino, passando per il festival del Giornalismo d’Inchiesta di Marsala e il salone del Libro di Torino. Dopo essere stato presentato anche al palazzo di vetro dell’ONU, proprio il 25 Novembre, lo spettacolo è andato in scena a Bruxelles il 28 Novembre scorso.

Nella capitale belga, donne affermate e note al grande pubblico, per una sera, hanno dato voce alla vittime di femminicidio. Le ministre Joëlle Milquet e Evelyne Huytebroeck, la Presidente della Corte d’Appello Karin Gérard e la Presidente del Parlamento Francofono Julie De Groote, la principessa Marie-Esméralda del Belgio, la deputata Viviane Teitelbaum, le cantanti Malika Ayane, le attrici Beverly Jo Scott e Nina Miskina.

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“Mi avevano avvertito di cambiare la serratura. Non ho avuto tempo di farlo, mi ha ucciso prima che mi decidessi”. Inizia cosi, “Ferite a Morte”. La prima storia giunge come un secchio di acqua gelido che scuote, indigna. Fa venire i brividi. Questa sensazione non lascerà mai lo spettatore, si rafforzerà anzi, tra una storia e l’altra, scuotendo e interpellando la coscienza.

L’evento teatrale narra un immaginario racconto postumo delle vittime. La struttura del progetto è quella di un libro, una antologia di monologhi, sulla falsariga della nota Antologia di Spoon River di Edgar Lee Master. Ogni pagina del libro è una storia diversa. Il minimo comun denominatore è sempre lo stesso: la morte di donne uccise da uomini. Molto spesso dai loro uomini. Il femminicidio è tristemente declinato in tutte le possibili accezioni.

C’è la storia della donna uccisa da un compagno che non poteva più sopportare il fatto che lei avesse una carriera più brillante della sua.

Viviane Teitelbaum racconta la storia di sposa-bambina, morta a nove anni durante il parto. E ancora: la giovane studentessa uccisa dai Talebani, le donne messicane di Ciudad de Juarez, sparite chissà dove, e le croci rosa che sorgono tra la sabbia e i cactus per ricordarle. Simboli di un’atrocità che si consuma ogni giorno, senza fine e senza che vi sia giustizia alcuna. Un pugno alla coscienza. C’è la storia della giovane immigrata, uccisa da un padre che non può sopportare di vedere la propria figlia innamorata di un italiano.

Spesso si tratta di morti annunciate, erroneamente etichettate come i soliti delitti passionali, fattacci di cronaca nera, liti di famiglia. La realtà è che di passionale in tutto questo non c’è nulla. La realtà che ciò che accomuna di più tutte le donne del mondo è l’uccisione a seguito di violenza pregressa subita nell’ambito di una relazione d’intimità. La realtà è che ancora oggi manca una cultura capace di decodificare e analizzare tali atti per quello che sono: violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna «perché donna», per citare la definizione data da Diana Russel nel 1992.

In un periodo in cui, in Italia, tutti parlano di femminicidio, in cui il tema della violenza sulle donne rischia di diventare l’argomento “acchiappa-consenso”, in cui c’è il rischio che un tema così delicato sia banalizzato, “Ferite a morte” si presenta come un’occasione di riflessione, un tentativo di coinvolgere l’opinione pubblica, i media e le istituzioni.

Come spiega Serena Dandini nel sito di Ferite a Morte “Tutti i monologhi ci parlano dei delitti annunciati, degli omicidi di donne da parte degli uomini che avrebbero dovuto amarle e proteggerle. Non a caso i colpevoli sono spesso mariti, fidanzati o ex, una strage familiare che, con un’impressionante cadenza, continua tristemente a riempire le pagine della nostra cronaca quotidiana. Dietro le persiane chiuse delle case italiane si nasconde una sofferenza silenziosa e l’omicidio è solo la punta di un iceberg di un percorso di soprusi e dolore che risponde al nome di violenza domestica. Per questo pensiamo che non bisogna smettere di parlarne e cercare, anche attraverso il teatro, di sensibilizzare il più possibile l’opinione pubblica”.



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