Uso e abuso degli allarmi

 “Repubblica” ha dato risalto a un articolo in cui si dice che il capo della Polizia lancia l’allarme di una diminuzione della sicurezza a causa dei troppi tagli di personale. Per farne uno scoop, il giornalista ha condito l’articolo scrivendo che “le parole del numero uno della Polizia italiana si incrociano con i dati, ancora top secret, del Viminale”. Il “top secret” starebbe nelle percentuali di aumento dei reati che fornisce il segretario dell’Anfp, Enzo Letizia.

di Salvatore Palidda
prof. dr. DISFOR-Università di Genova

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Non è la prima volta che si parla di allarme per la diminuzione del personale e delle risorse allocate al comparto sicurezza e che si dica che a questo corrisponderebbe l’aumento dei reati. In tutti i paesi quando si reclamano finanziamenti per le polizie si dice che sono aumentati i reati. E in Italia non è la prima volta che i funzionari di polizia entrino in agitazione per timore che i militari intercettino più risorse (ma nessuno dice che la lobby militare-industriale conta di più della polizia per le sue connessioni dirette e indirette con gli affari non sempre limpidi di Finmeccanica, dell’Eni e di altre multinazionali nostrane –vedi anche puntate di Report).

Ma come qual è veramente la situazione? C’è un effettivo aumento dei reati? Abbiamo in Italia un’effettiva insufficienza di personale delle polizie? Le percentuali fornite dal dott. Letizia (dell’associazione dei funzionari) non sono confortate da dati statistici ufficiali e come tutte le percentuali possono dar adito a false interpretazioni.

Esempio: se in una città si passa da 5 omicidi a 20 rispetto all’anno precedente, l’aumento in percentuale è del 300%, ma è possibile che qualche anno prima ci siano stati 20 omicidi. Lo stesso si può dire per quanto riguarda rapine e altri reati. In altre parole l’andamento dei reati può essere irregolare e le percentuali dell’andamento (diminuzione o aumento) rischiano sempre di falsarne l’interpretazione soprattutto quando si tratta di piccoli numeri. Le statistiche ufficiali di questi ultimi decenni ci mostrano che c’è stata una diminuzione dei reati. Nella classifica mondiale, l’Italia è uno dei paesi con meno omicidi (1), questo non toglie che in alcune città nel 2012 o nel 2013 ci possono essere stati più omicidi che nell’anno precedente, ma si tratta di fatti specifici che non possono essere considerati come prova di una tendenza consolidata e comunque di piccoli numeri. Solo le statistiche ufficiali su periodi relativamente lunghi (di almeno dieci anni ma meglio di più decine di anni) possono permettere di capire le tendenze (tralascio qui le varie precauzioni che vanno prese in conto nel trattare di statistiche che misurano sempre ciò che le polizie vogliono e possono misurare, ossia innanzitutto la loro “produttività” per giustificare la loro stessa esistenza e le richieste di risorse o carriera). In altri termini, le percentuali del dott. Letizia non possono essere considerate prova di un effettivo aumento dei reati se non sono confortate dai dati quantitativi completi e soprattutto dal confronto su periodi relativamente lunghi. E affermare che ci sia una relazione diretta fra calo del personale e aumento dei reati è assai arbitrario, poiché, ammesso e non concesso, tale calo non s’è avuto improvvisamente in un solo anno. Usare tale genere di ragionamenti su dati presunti comparabili per creare allarme appare poco responsabile se non del tutto strumentale.

Proprio a proposito del calo del personale, non sarebbe opportuno ragionare, ora più che mai, sulla necessaria razionalizzazione democratica delle forze di polizia in Italia? Non è forse vero che fra i paesi democratici siamo il paese con la più alta quantità di personale delle polizie e il suo più alto tasso per abitanti?

Mi limito qui al raffronto con la Francia che attualmente appare come il paese che sta praticando l’attività di polizia più “muscolosa”, con un ministro (Valls) che vuole “fare meglio” di Sarkozy che aveva inventano il sarkometro (cioè la misura degli arresti per operatore di polizia e quindi premi o sanzioni a chi non rispettava gli “obiettivi”). La polizia di stato in Francia conta su 142.317 dipendenti (2013), la Gendarmeria (equivalente dell’Arma dei Carabinieri su 98.155; le polizie locali o municipali su circa 19.000. Non esiste in Francia la Guardia di Finanza e i militari non sono impiegati per l’ordine pubblico o il controllo del territorio. Ricordiamo che la popolazione della Francia è di poco più numerosa di quella italiana. Lo stesso dicasi per il Regno Unito che conta solo su una polizia (quasi interamente ancorata agli enti locali) con un totale di 158.299 dipendenti. E lo stesso si può dire per la Germania. In altre parole, in questi paesi come in altri e anche negli Stati Uniti e in Canada, il totale del personale delle polizie pubbliche (dello Stato e degli enti locali) costituisce un tasso per abitanti assai più basso di quanto sia quello italiano. Nel 2012, infatti, il personale delle polizie del comparto sicurezza in Italia era: 105mila per la polizia di stato, 118 mila Carabinieri, 68 mila Guardia di Finanza, 46 mila della polizia penitenziaria, 8,5 mila guardie forestali, ossia 576 su ogni 100 mila abitanti (senza contare le polizie locali che in Italia si stimano in circa 50mila, con questi si arriva a un tasso di personale di polizie pubbliche per abitante superiore a 680. Ammesso che ci sia una riduzione di 15mila per la Polizia di Stato e di altrettanti per i Carabinieri, si passerebbe a un tasso di 630. Tale tasso in Francia è di 390, in Germania di 305, nel Regno Unito di 263, in Spagna di 488 e negli Stati Uniti di 360.

Nessuno può dire che la Francia, la Germania e gli altri paesi sopra citati siano meno sicuri dell’Italia. Allora perché con un personale delle polizie pubbliche in Italia più numeroso che in altri paesi dovremmo avere meno sicurezza? Si tratta di una scarsa produttività? E se sì, a cosa sarebbe dovuta? A una cattiva organizzazione di queste forze? A “troppi imboscati” come dicono alcuni? A paghe troppo miserabili ? (al pari di quelle del resto della pubblica amministrazione vedi insegnanti). Oppure, anche, alla scarsa quantità di operatori sociali?

Un esempio assai eloquente: in Francia per circa 70 mila detenuti ci sono solo 26mila guardie carcerarie e le carceri francesi non sono meno sicure di quelle italiane, ma vi sono anche circa 26mila operatori sociali che lavorano in carcere con un ruolo assai importante nella gestione dei detenuti. In Italia abbiamo circa 46mila guardie carcerarie ma tutti lamentano l’insufficienza di questo numero; ci si dimentica che abbiamo solo circa 4mila operatori sociali e quindi una grave lacuna di “ammortizzatori” nella gestione dei detenuti. Lo stesso vale per il controllo del territorio: dal 1990 in Italia gli operatori sociali dipendenti delle pubbliche amministrazioni (cioè assistenti sociali, educatori di strada, operatori socio-sanitari e psicologi) sono stati progressivamente ridotti e s’è privilegiato il subappalto a cooperative oppure al volontariato con risultati spesso deludenti se non fallimentari (basti pensare alla situazione dei tossicodipendenti, dei barboni o dei malati di mente).

Ha assolutamente ragione il capo della polizia a dire che sarebbe anche incostituzionale favorire l’aumento dell’impiego dei militari nelle attività che competono alla polizia di stato. Ma perché non si affronta una seria discussione per la razionalizzazione democratica dell’impiego delle forze di polizia e per meglio equilibrare questo con l’attività che dovrebbero svolgere gli operatori sociali? E che fine ha fatto la riduzione degli stipendi degli alti dirigenti a cominciare dal capo della polizia che con Manganelli era di 621mila euro annui e con Ionta, capo del Dip. Amm.ne Penitenziaria (DAP) era di 543mila euro? (“coerente” con le condizioni delle carceri …).

Solo l’equilibrio cioè l’articolazione fra: tutela delle vittime / prevenzione sociale e anche sanitaria/ prevenzione delle diverse agenzie di controllo e delle polizie / repressione / sanzionamento e penalità/ reinserimento / recupero / risanamento, può assicurare un governo della sicurezza di uno stato di diritto democratico senza ignorare le troppe insicurezze che colpiscono la maggioranza della popolazione e quindi le loro vittime.

Il governo della sicurezza non lo garantiscono solo le polizie ma tutte le “agenzie” e istituzioni sociali che possono svolgere un ruolo cruciale innanzitutto nella prevenzione (a cominciare dalle famiglie, dalle associazioni, le scuole, i sindacati, gli ispettori del lavoro e delle Asl, gli operatori ecologici e quelli socio-sanitari). L’Italia non ha bisogno di più personale delle polizie, più videosorveglianza, più militari, ma di più prevenzione sociale e protezione civile per far fronte ai troppi rischi di disastri sanitari e ambientali e alle nuove-schiavitù delle economie sommerse. Perché non s’è mai voluto stabilire una netta e definitiva ripartizione dei compiti e dei territori di competenza fra le polizie? A che serve (o a chi serve) avere tante sovrapposizioni di forze per una stessa attività nello stesso territorio? C’è voluta la strage di Prato per sollecitare qualche operazione di polizia come quella a Reggio Emilia in cui la polizia di stato (fatto assai raro) ha “scoperto” una fabbrica ad alto rischio incidenti con 40 cinesi. Le svariate realtà delle attività “sommerse” sono note a chiunque abita nei territori in cui si esercitano ma sinora le polizie locali e nazionali sono state spesso “distratte” cioè spinte a perseguire rom, immigrati, barboni e marginali. I lavoratori che in Italia oscillano fra precariato, semi-precariato e nero totale sono circa otto milioni (italiani e stranieri). Sono queste le principali vittime delle insicurezze ignorate dalle polizie, dal governo e dagli enti locali anche di sinistra che però invocano la lotta all’evasione fiscale. E’ proprio con la tutela delle vittime e la regolarizzazione della loro situazione di lavoro e di alloggio che si può effettivamente contrastare l’evasione fiscale. Allora, speriamo che la sensibilità sociale degli operatori democratici delle polizie si manifesti nel combattere questa distrazione di forze per stare a fianco dei lavoratori come auspicavano i padri della riforma del 1981.

 

1) Nel 1991 furono recensiti 1.918 omicidi (di cui 700 attribuiti alla criminalità organizzata); nel 2010 sono stati 526. Già nel 2004 gli omicidi della criminalità comune riconducibili a scopi di furto o rapina si sono ridotti a 53 su 621 (8%) (fonte: Rapporto Ministero dell’Interno, 2011). Il tasso degli omicidi volontari su 100.000 abitanti nel 2009 è stato di UNO su 100 mila (Istat). Nel 2011 in Italia gli omicidi volontari recensiti sono stati 550, 526 nel 2010. Come mostra il grafico Istat solo in Austria, Slovenia, Germania, Spagna, Malta, Svezia, Rep. Ceca si ha un tasso di omicidi inferiore a quello italiano (da 0,5 a 1 per 100 mila). Nella classifica 2006 degli omicidi di tutti i paesi europei (compresi i non-UE) l’Italia figura al 21° posto. Negli Stati Uniti, nel 2011 il tasso è stato 5,3 (cioè 5,3 volte più che in Italia –e questo prova anche che la pena di morte non produce alcuna deterrenza).



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