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L’affaire marijuana tra le aperture di Barack Obama e l’imminente pronunciamento della Corte Costituzionale sulla Fini – Giovanardi

di Alessandro Ingaria

 

21 gennaio 2014 – “Non credo che la marijuana sia più pericolosa dell’alcool, in termini d’impatto per l’individuo consumatore”. Un concetto banale che ha permesso a Barack Obama di guadagnare le prime pagine dei giornali italiani. Un tormentone destinato ad alimentarsi per qualche giorno, per poi sgonfiarsi sino alla prossima occasione.

Il problema droghe leggere dovrebbe invece essere al centro di dibattiti parlamentari seri, in un Paese serio. Venti milioni di italiani hanno fumato cannabis almeno una volta nella vita, tre milioni la consumano abitualmente, ottocentomila persone sono incorsi in procedimenti di vario tipo per possesso di droga e sono ventottomila i carcerati per violazione della legge sugli stupefacenti. Perché numeri così importanti, descrittivi di una vera e propria guerra, non alimentano finalmente una discussione senza ipocrisie?  In Italia, a nessuno sorge il dilemma che anima il presidente Obama: “Non possiamo mettere in galera ragazzi, quando probabilmente chi ha scritto quella legge per cui sono in arresto ha fatto la stessa cosa. I ragazzi del ceto medio non vanno in galera per droga, ci vanno quelli più poveri, che spesso sono afro-americani e latini e hanno meno risorse per evitare di essere puniti” ?

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Nel dibattito appaiono chiari i due schieramenti opposti. I motivi addotti dal fronte antiproibizionista sono noti, e più o meno condivisi da buona parte della popolazione. Numerosi sono anche i riferimenti al carattere medico terapeutico dei cannabinoidi. Un amico colpito da cancro e sottoposto a chemioterapia, qualche tempo fa mi raccontava che la raccomandazione all’uso di “erba” come anti emetico gli arrivasse direttamente dall’oncologo, sottovoce, perché ufficialmente non si può dire. Il recente referendum proposto dai radicali per  l’abolizione del carcere per alcuni reati riferiti all’uso di sostanze stupefacenti, come la coltivazione domestica, non ha raggiunto un sufficiente numero di firme. Un disinteresse generale anche di chi dice di avere a cuore il problema, come la sinistra radicale italiana e i tre milioni di consumatori che non hanno firmato la proposta di referendum.

 

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Più stimolante analizzare le motivazioni del fronte dei contrari alla liberalizzazione. Un’ interessante puntata de “La città di Radio 3” ha presentato agli ascoltatori un acceso dibattito tra un parlamentare e il capo del dipartimento delle Politiche antidroga della Presidenza del Consiglio. Lo svolgimento della puntata è stato sintomatico dell’atteggiamento dei pubblici funzionari responsabili di strutture pubbliche che si confrontano con il fenomeno droga. Dopo essersi ampiamente schierato contro ogni provvedimento di alleggerimento delle pene della Fini-Giovanardi, accusando i giornali di troppa esposizione mediatica sull’argomento, con motivazioni tipo “anche solo accennare alla legalizzazione causa un arretramento della lotta contro le sostanze stupefacenti”, il funzionario si è palesemente contraddetto dichiarando che “la produzione casalinga della marijuana può essere riconsiderata” ed esclusa dal novero delle fattispecie punite.

 

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Considerando che la battaglia per la liberalizzazione punta proprio ad autorizzare la produzione casalinga, queste contraddizioni dei funzionari pubblici, prima negazionisti, poi possibilisti, ben evidenziano il caos istituzionale sul tema. Un argomento tabù, in cui il presidente degli Stati Uniti può tranquillamente dichiarare che non ostacolerà il processo di legalizzazione dei cannabinoidi, mentre un politico leghista di second’ordine crea un caso nazionale per aver dichiarato di condividere quanto fatto in Uruguay. L’unica evidenza è il conflitto di interesse tra chi lavora nelle politiche antidroga e viene assurto ad esperto del tema, quando goffamente tenta di difendere il ruolo direttivo acquisito. Come spesso evidenziato nelle inchieste statunitensi sull’argomento, chi è maggiormente a favore dello spaccio illegale e non regolamentato, è chi lo combatte, trovando ragion d’essere della propria esistenza in contrapposizioni dualistiche manichee.

L’Italia è il primo paese occidentale per uso di droghe leggere e il 12 febbraio la Corte Costituzionale dovrà deliberare sulla legittimità della legge Fini – Giovanardi. In linea di massima si tratterà di questioni di diritto, ovvero sull’abuso della decretazione d’urgenza con lo scopo di equiparare droghe leggere e pesanti. La Corte potrebbe tuttavia smuovere un po’ il fradicio terreno della discussione che sta franando sulla testa di ottocentomila inquisiti e ventottomila carcerati. Dopo un secolo di politiche proibizioniste, il 12 febbraio si potrebbe aprire una nuova era per lo stato di diritto.

 



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