Dahiyeh: “Ai tuoi ordini Nasrallah”

Gli attentati a Beirut colpiscono la roccaforte sciita, ma Hezbollah gode del convinto sostegno della popolazione

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/10/229849_10151136474881443_324773262_n.jpg[/author_image] [author_info]di Chiara Calabrese. Dottoranda in Scienze Politiche all’ Università di Tarragona in Spagna. La sua ricerca porta sul militantismo nell’Hezbollah libanese nella periferia sud di Beirut. E’ stata affiliata come ricercatrice al CAMES (Center for Arab and Middle Eastern Studies) all’Università americana di Beirut ( 2009-2011). Ha lavorato inoltre come corrispondente da Beirut per l’Ansa e Adn kronos international (2007-2009). Collabora inoltre con varie riviste italiane e francesi[/author_info] [/author]

23 gennaio 2014 – La gente a Dahiyeh, la periferia sud di Beirut o Beirut sud, ha iniziato a contare le esplosioni e gli attacchi suicidi che ormai qui si fanno frequenti dopo il sostegno militare che Hezbollah sta dando al régime siriano combattanto accanto all’esercito.

Si contano anche tutte le volte che qualcuno è riuscito per un pelo a farla franca. Come Samih che l’ha scampata solo perché si era addormentato e aveva dimenticato di avere un appuntamento con un suo amico proprio nel caffè che è stato distrutto. Come Soha che invece a quell’ora sarebbe dovuta andare a ritirare un orologio in un negozio lì vicino, ma poi ha fatto tardi perché una sua vicina le ha voluto per forza offrire una tazza di  caffè.

Per Maria Jawhari e Alì Bashir invece, due ragazzi di 18 e 17 anni, non è stato lo stesso. Sia Maria che Alì sono morti perché quando è avvenuta l’esplosione si trovavano davanti al loro computer in un caffè, aperto solo da pochi mesi, quando l’attentatore si è fatto esplodere prima ancora di parcheggiare l’auto.

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Il 2 gennaio scorso, data della penultima esplosione sempre nella stessa strada al-Aridi, Maria in un twitter che adesso sta facendo il giro sui social network, diceva: “E’ la terza esplosione alla quale scampo, non so se sopravviverò alla quarta”. Adesso la mamma di Maria è disperata e ripete: “E’ la prima volta che mia figlia andava in quel caffè” e vuole che qualcuno le spieghi il perché sua figlia, a 18 anni, che “sognava di fare la casalinga”, è morta in quel modo.

Negli ultimi tempi ogni strada che da Beirut porta a Dahiyeh è controllata con dei check-point da uomini di Hezbollah o del movimento Amal, i due partiti che si dividono l’egemonia politica in questa parte della città. Nella municipalita di Haret Hareik , dove Hezbollah ha la sede dei suoi uffici, la sede della maggior parte delle sue associazioni e dove vive una gran parte della leadership e dei militanti del partito, ad ogni palazzo i servizi d’ordine (indibat) controllano la strada e gli ingressi e alcune strade interne sono del tutto  inaccessibili a chi non è residente, come la strada che per esempio dalla moschea al-Qa’im, controllata dal partito di Dio, porta alla Sala Sayyid Shuha’a (la sala del Signore dei Martiti, Huseyn), dove il partito svolge la maggior parte delle commemorazioni di Hezbollah in questa periferia e dove nel mese di novembre Hasan Nasrallah, segretario generale del partito, era apparso in pubblico in una delle sue rare apparizioni. Ma nonostante i controlli, l’auto Kia guidata dall’attentatore ancora ignoto, si apprendre in queste ultime ore, aveva passato il check-point di Ghobeiry senza problemi.

Alcuni residenti di Ghobeiry e di altre municipalità hanno interrotto con pneumatici in fiamme tutte le strade in segno di protesta.

Secondo il risultato delle ultime indagini, l’auto che è stata usata nell’attacco era stata rubata da Nabil al-Moussawi e poi venduta a un membro del gruppo di Ahmad Taha, un palestinese del campo profughi di Burj Barajne ed ex membro di Hamas. Secondo delle fonti citate dal quotidiano libanese al-Akhbar, il primo attentatore di Haret Hreik, Qutaiba al-Satem, e l’attentore di Hermel, la cui identità non si conosce ancora, appartengono a questo gruppo.

Sempre fonti vicine al gruppo dello Stato Islamico dell’IIraq e delle Siria, citate da al-Akhbar, suggeriscono un lavoro in coordinazione in Libano tra il gruppo e il Fronte al-Nusra, un gruppo ritenuto vicino ad al-Qaeda,  che ha rivendicato anche quest’ultimo attacco. Con un video si annuncia: “Con l’aiuto di Dio, abbiamo risposto alle atrocità organizzate dai collaboratori iraniani in Siria. Il nostro martirio ha condotto l’operazione sotto il loro naso nel sud di Beirut”.

Pochi giorni prima dell’esplosione del 2 gennaio scorso, Zeinab che vive in quel quartiere mi aveva confidato la sua preoccupazione per tutti quei combattenti di Hezbollah che stanno morendo in Siria ma nello stesso tempo sosteneva che questa era una lotta giusta.

“Peccato per tutti i nostri combattenti che stanno morendo in Siria. Ma cosa vuoi, è la stessa lotta, la lotta contro gli estremisti, come dice il sayyid Nasrallah: se noi non li fermiamo in Siria, loro verranno qui e infatti guarda tutte queste esplosioni. Ah tu credi che c’è un regresso (takhalof) piu di questo? Questo non e’ Islam! Adesso per esempio i nostri ragazzi stanno difendendo il santurario di Sayyida Zeinab, a Damasco. Come possiamo lasciare sola Sayyida Zeinab, la nipote del profeta Muhhamd? Lo sai cosa hanno scritto sulle mura del santurario? “Te ne andrai col regime” (sawfa tarhali ma’al nizam). No, Sayyida Zeinab non se ne andrà, perche noi la difendermo. Questa e la lotta sul camino di Huseyn”.

Pochi minuti dopo l’esplosione del 21 gennaio, come dopo quella del 2 gennaio, la folla mentre aiutava i feriti e i soccorritori gridava: “Labayka Nasrallah, labauyka sayyida Zeinab (Ai tuoi ordini Nasrallah, ai tuoi ordini Zeynab)”.

Un motivo in più per credere alle parole del loro segretario generale, quelle di giustificare la guerra in Siria come una guerra sul cammino di Huseyn. Alì, un combattente che appena ritornato dalla Siria, mi raccontava quello stesso giorno: “ Ritornerò anche a costo di morire, perché nessuno tocca Zeynab”.



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