Infijar

Impressioni di un’economista a Beirut

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/08/Clara-Capelli-NFC-Tunis-2013-Picture.jpg[/author_image] [author_info]di Clara Capelli, da Beirut. Dottoranda in economia dello sviluppo con la passione per la lingua araba, si occupa di mercato del lavoro in Nord Africa e Medio Oriente. Ha lavorato in Cisgiordania, Libano e Tunisia, ma non ha ancora capito quale Paese le piaccia di più. [/author_info] [/author]

10 febbraio 2014Infijar, esplosione.  Vedo la parola scorrere sullo schermo della televisione di un bar poco lontano dall’università dove lavoro. È lunedì sera, sto tornando a casa. Ma quella parola mi inchioda di fronte alla vetrata. È successo di nuovo, un’altra esplosione in una zona controllata da Hezbollah.

E ti ricordi improvvisamente che sulla tua quotidianità gravano le dinamiche della storia e della politica. Gruppi terroristi sunniti sono ormai in tutto il Libano, uno stillicidio spietato di autobombe e attacchi suicidi per indebolire il nemico sciita Hezbollah e costringerlo a ritirare il suo sostegno a Bashar el-Assad in Siria.

Beirut è impregnata di imminenza: si è sempre sull’orlo di qualcosa, tutto potrebbe succedere  e si può solo stare a vedere, sperare per il meglio se si vuole. Oppure si può fare finta di niente, scrollare le spalle, abbracciare il fatalismo e restringere il proprio orizzonte al presente. Fino all’infijar successiva.

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Ci sarà una nuova guerra civile in Libano? È davvero imminente? Bisogna vedere se e in che modo Hezbollah risponderà. È necessario capire la strategia e i piani dei vari gruppi terroristi, dal Fronte Nusra all’ISIS. Occorre aspettare la formazione del nuovo governo e degli equilibri che ne risulteranno. Si devono osservare i prossimi sviluppi del conflitto siriano. Tutti hanno la loro opinione, tutti sono smarriti e intanto ti domandi se la situazione precipiterà.

La televisione continua a trasmettere immagini del luogo dell’attentato. Si tratta di Choueifat, cittadina a sud-est di Beirut. Due giorni prima un’altra bomba aveva colpito Hermel, nel nord del Paese. Nel locale alcuni studenti stanno studiando, non badano alle notizie. Forse sono concentrati e non hanno sentito.

La noncuranza di molti libanesi di fronte a questi eventi mi ha sempre stupita, sin dalla mia prima esperienza a Beirut. Libnan hek habibti, questo è il Libano tesoro, che ci vuoi fare, ci sono cose più grandi di noi: varie forze sono in lotta fra loro per il potere, sfruttando le divisioni settarie e i problemi socio-economici del Pese. Che ci puoi fare? Niente, vai avanti. E tu rimani perplessa di fronte a ciò che percepisci come un miscuglio di incoscienza, fame di vita e (forse) disimpegno sociale. Ma ti senti anche rassicurata, perché Libnan hek, che sarà mai.

Anche la televisione del mio fruttivendolo di fiducia mi sbatte in faccia cosa è successo. Non è si trattato di un’autobomba. L’attentatore si è fatto saltare in uno dei tanti taxi collettivi che sopperiscono alla mancanza di trasporto pubblico in Libano. Da quello che so i controlli a Dahiyeh, il quartiere sciita di Beirut, sono diventati sempre più rigidi. Probabilmente la tattica dell’autobomba è diventata più difficile da applicare.

Chiedo se ci sono state vittime. No, ayouni, nessuna vittima. Ma non devi avere paura, perché tu abiti a Hamra, in quartiere residenziale. Tu sei un’ustadha ajnabiyya, un’insegnante straniera, a te non succede niente. Loro sono sciiti. Tradotto: sei un’occidentale (quindi benestante), non frequenti i quartiere sciiti. Loro sono le vittime, non tu. Non noi, perché stiamo a Hamra, la zona sunnita.

Mentre cerca di rifilarmi a tutti i costi dei broccoli, vorrei spiegare al mio fruttivendolo che in realtà a me interessa. Che non so nemmeno immaginarmi cosa possa volere dire vivere a Dahiyeh in questo momento, consapevoli che la prossima (imminente?) infijar potrebbe colpire te o i tuoi cari. Ho ancora in mente la storia di Maria Jawhari, diciottenne che pochi giorni prima si chiedeva su Facebook se la volta successiva sarebbe toccato a lei.

Vorrei chiedergli se ha paura che l’esplosione della violenza diffusa sia davvero imminente, perché allora non sarà granché importante dove si vive. Non si tratterà più di qualcosa che accade agli altri, sciiti di Dahiyeh, profughi siriani, palestinesi ghettizzati nei campi.

Lascio perdere. Domani ci si butterà alle spalle anche questa infijar e l’imminenza di qualcosa di orribile e ignoto. Nei cantieri si lavora a pieno ritmo per costruire altri palazzoni. Nuovi ristoranti e bar vengono aperti in centro e bisognaassolutamenteprovarli. Domani in università devo presentare agli studenti il programma del corso per questo semestre. InchAllah.

 



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