Piazze in rivolta e scienza delle città

La folla dei cittadini si muove e prende possesso di una zona della città, in genere una piazza, trasformandola da spazio pubblico “neutro”, puramente geometrico diciamo, in spazio pubblico di autorganizzazione aperto a tutti i cittadini, un formidabile mescolatore sociale tra ceti, generazioni, sessi, opinioni.

di Bruno Giorgini

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Guardo in televisione Maidan – la piazza di Kiev – densa di folla ancora con le barricate mentre i palazzi del potere appaiono svuotati di ogni potere. Qui  il 22 Novembre 2013 cominciò l’occupazione della piazza, che continua ancora oggi, in un confronto prima duro poi trasmutato in uno scontro durissimo, infine in una vera e propria guerra di piazza tra cittadini/e e potere costituito con  molte decine di morti. Ma non è bastato: il potere della piazza non ha ceduto, forse non ha vinto, ma certo non ha ceduto, anzi con l’andar del tempo l’autorganizzazione della folla è cresciuta, diventando via via più complessa. Sono nati un servizio sanitario, un ospedale da campo, un refettorio, una rete di comunicazione urbana, quindi nazionale, gruppi di propaganda e comunicazione, fino a un servizio d’ordine e d’autodifesa in armi, proprie (poche a quel che si sa) e improprie, moltissime. Non entreremo qui nel merito della partita politica che si gioca in Ucraina, certamente tra Putin e Obama ormai sempre più conflittuali, con l’Europa a fare il vaso di coccio, tra oligarchi e partiti, tra destra nazionalista che molto ha contribuito alla rivolta e forze europeiste, e quant’altro, nè faremo ipotesi sul futuro, se gli sviluppi della guerra di piazza saranno libere elezioni e un nuovo equilibrio politico, forse statuale, democratici, magari con una separazione consensuale tra territori, oppure l’avvio di una vera e propria guerra civile a bassa o alta intensità.

Qui ci interessa  investigare la dinamica urbana soggiacente l’occupazione di Maidan. Prima di tutto annotando che le piazze della rivolta sono molte. In un rapido e  incompleto elenco negli ultimi tre quattro anni:  Piazza Tahrir al Cairo,  Piazza Taskim a Istanbul, Puerta del Sol a Madrid, Piazza Syntagma a Atene,  le piazze di Tuzla, Mostar e Sarajevo in Bosnia, la zona di Phan Fa a Bangkok, nè può mancare Occupay Wall Street a New York. Ogni volta ci sono questioni specifiche che entrano in ballo, ma anche una comune dinamica: la folla dei cittadini si muove e prende possesso di una zona della città, in genere una piazza, trasformandola da spazio pubblico “neutro”, puramente geometrico diciamo, in spazio pubblico di autorganizzazione aperto a tutti i cittadini, un formidabile mescolatore sociale tra ceti, generazioni, sessi, opinioni.

Spesso questo spazio occupato diventa un nodo da cui dirama una rete che può arrivare a coprire l’intera città, ma anche estendersi ad altre città, se non a intere nazioni con la partecipazione di una più o meno larga parte del popolo. Si tratta non di una manifestazione sia pure di protesta e dissenso anche aspri rispetto ai  governi in carica, ma di un esercizio diretto del potere dei cittadini. Per dirla con Ian McHarg: Una città occupa un territorio e costituisce una forma di potere. Lo stesso fanno i cittadini che occupano una piazza alzando le tende quando non le barricate, e in qualche modo erigono un “nuova” città, cioè un “nuovo” potere, spesso antagonista a quello in vigore.

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In nuce siamo di fronte a nuove forme costituenti della democrazia urbana, sorta di agorà che sembrano collocarsi lungo una curva di sviluppo che va dalla democrazia ateniese alla Comune di Parigi. E in qualche caso i/le cittadini/e si dotano di strumenti di democrazia diretta come il Plenum di Tuzla, il cui proclama del 7 febbraio ricorda nel tono solenne il famoso discorso sulla democrazia di Pericle. Vediamone la premessa e  i primi tre punti:

Oggi a Tuzla si crea un nuovo futuro! Il governo [cantonale] ha dato le dimissioni, col che è soddisfatta la prima richiesta dei dimostranti e si sono create le condizioni per risolvere i problemi esistenti. (..) Ora, in questa nuova situazione, vogliamo che rabbia e collera si indirizzino verso la costruzione di un sistema di potere produttivo e utile. Ci appelliamo a tutti i cittadini perchè appoggino la realizzazione delle seguenti richieste:

1)    Mantenimento dell’ordine pubblico grazie alla collaborazione fra cittadini, polizia e protezione civile, così da evitare qualsiasi criminalizzazione, politicizzazione e qualsiasi manipolazione delle proteste.

2)    Costituzione di un governo tecnico, composto da membri esperti, apartitici e non compromessi, che non abbiano finora ricoperto nessun mandato a qualsiasi livello di potere, che guidi il Cantone di Tuzla fino alle elezioni del 2014 [ottobre]. Questo governo avrà l’obbligo di sottomettere settimanalmente il suo piano di lavoro e una relazione sul lavoro svolto, e di realizzare gli scopi assegnati. Il lavoro del governo è seguito da tutti i cittadini interessati.

3)    Soluzione, per via urgente, della questione della regolarità della privatizzazione delle ditte: „Dita“, „Polihem“, „Poliolhem“, „Gumara“ e „Konjuh“ così che:
Si coprano i contributi e si assicuri l’assicurazione sanitaria ai lavoratori
Si processino i crimini economici e tutti gli attori che vi hanno preso parte
Si requisisca tutta la proprietà acquisita illegalmente
Si annullino i contratti di privatizzazione
Si proceda alla revisione delle privatizzazioni
Si rendano le fabbriche ai lavoratori e si mettano sotto controllo degli organi pubblici al fine di preservare l’interesse pubblico, e si dia inizio alla produzione nelle fabbriche in cui ciò sia possibile.
(…)
Questo Proclama è emanato dai lavoratori e cittadini del Cantone di Tuzla, per il bene di tutti noi.

Dove emergono  il rifiuto delle privatizzazioni e il bene pubblico, compreso l’ordine pubblico, come orizzonte da compiersi con la partecipazione dei cittadini.

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Ma al di là del più o meno compiuto percorso politico democratico/rivoluzionario, insurrezionale violento o non violento, ecc.. “una piazza” piena di una fitta folla che si autodefinisce e autorganizza come un potere delle masse, sembrava confinata al secolo scorso, un residuo d’altri tempi, quelli in cui appunto si occupavano spazi pubblici, si alzavano barricate, si tiravano sassi. Figuriamoci se nell’era di internet,  dei social network virtuali, della civiltà digitale ancora potevano prendere corpo masse tumultuanti. Le stesse metropoli di terza generazione sembravano inibire cose obsolete come il contatto dei corpi in una piazza. Oggi, secondo quanto scrive Richard Sennett su Lettera Internazionale 118” dedicato a “Corpo Umano, corpo urbano”, “La città è diventata una mappa sempre più chiara di funzioni distinte in spazi segregati (..) la nostra epoca si configura come quella in cui la forma urbana non favorisce la vivacità dell’esperienza dei sensi” Una città “dove la gente non ha consapevolezza fisica nè delle altre persone, nè delle scale nè delle panchine o degli edifici presenti nella strada. Questa mancanza di connessione fisica trasmette l’idea hogartiana di disordine nello spazio urbano”, fin quando, contro tutti i pronostici, arriva l’ordine nuovo delle piazze in rivolta dove si è immersi in una folla, nella folla ritrova piena identità il corpo singolo.

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Questa folla, come tutte quelle delle piazze in rivolta, possiamo tentare di comprenderla come il risultato di un insieme di connessioni molecolari tra persone e di trasformazioni microscopiche, nonchè microfratture tra i cittadini e il potere,  in larga misura invisibili, ma che operano in profondità, fino a che la frattura diventa macroscopica e irreparabile mentre la folla si coagula impastandosi insieme menti e corpi, desideri e volontà. In quelle piazze si grida si canta si combatte gomito a gomito, ci si tiene per mano, si spartisce il pane, la paura, la sofferenza fisica, si sta direi l’uno nelle braccia dell’altro, e probabilmente anche ci si ama. Per questo i/le cittadini/e di Maidan non sono scappati nemmeno di fronte ai cecchini, e faceva impressione seguendo la diretta su rai news 24, vedere la folla in larga parte del tutto disarmata entrare in quella piazza mentre si sentivano granuole di colpi d’arma da fuoco.

Essi gli occupanti erano diventati un corpo unico composto da migliaia di singole persone talmente coese, ciascuna nella sua individualità, che la politica della decimazione perpetrata dai tiratori scelti del regime non poteva smembrare.

Per riuscirci ci sarebbe voluto l’intervento dell’esercito e la strage dell’intera piazza, ma l’armata si rifiutò e pure contò, alla fine della giornata dei 75 o cento morti, l’arrivo a Kiev dei ministri degli esteri della UE, nonchè l’impressionante numero di molotov tirate in risposta. Strage dell’intera piazza che nel 1989 ebbe luogo in Cina, a Piazza Tien An Men, dove i giovani studenti uccisi furono incontabili, e il massacro avvenne al riparo dagli sguardi indiscreti delle telecamere, nè ancora proliferavano i telefonini che riprendono e fotografano, inviando direttamente in rete le immagini e i video. E forse non è senza significato il fatto che Tien An Men fu la prima delle piazze in rivolta.

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Ma torniamo in città. Possiamo pensare che le rivolte urbane vengano dal cielo, oppure assumere una delle tante teorie del complotto in circolazione, secondo cui “i disordini” sarebbero opera di personaggi loschi, mestatori e/o provocatori e/o rivoluzionari di professione e/o agenti segreti, meglio se al soldo di potenze straniere e/o finanziatori occulti, che subornano le folle, usandole come carne da cannone, oppure infine possiamo cercare una spiegazione razionale. Il rasoio di Occam ci suggerisce l’ipotesi che le rivolte urbane siano inscritte nelle dinamiche sociali proprie alle città.

Possiamo considerare la rete globale dei sistemi urbani  sempre più connessi come una sorta di cervello, di cui le città costituiscono i macroneuroni,  con un suo sistema nervoso, che permea il pianeta. Cervello e sistema nervoso, sempre più complessi e sensibili mano a mano che le loro funzioni cognitive, sociali, economiche e percettive si ampliano, mentre la governance politica dei poteri diventa sempre più fragile e rugginosa, fin quasi ottusa.

Nel contempo i cittadini hanno ovunque ormai un ampio accesso alle più varie fonti di informazione, nonchè capacità e strumenti di comunicazione orizzontale tra loro, fino a pochi anni fa impensabili. Le elites dominanti erano un tempo definite, tra l’altro, dal quasi monopolio delle fonti d’informazione, mentre oggi anche quelle più riservate vengono messe in rete, come la storia di wikileaks insegna, il che rende il singolo cittadino non solo più informato, ma in potenza molto più autonomo dal potere, e quindi incontrollabile, io preferisco: libero dai suoi vincoli. Ovviamente il discorso sarebbe lungo, ma per finire qui questa puntata, l’estrema sensibilità del sistema urbano fa sì che la classica farfalla che batte le ali in Brasile possa provocare un tornado in Texas, questa ormai non essendo più una imaginifica metafora per spiegare il caos determinista a una classe di studenti, ma sempre più la realtà in cui siamo immersi; tra l’altro non solo a livello sociale delle rivolte urbane ma anche in senso stretto per quanto attiene il clima.



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