Intervista a Serena Sinigaglia, regista di uno spettacolo in scena fino al 9 marzo al teatro Ringhera di Milano.
di Stefania Culurgioni
7 marzo 2014 – Questo è uno spettacolo che non bisogna perdere. Primo, perché è un classico, secondo perché non lo è del tutto, e terzo perché è al Teatro Ringhiera di Milano, che già di per sé è tutta una storia. Si chiama Eros e Thanatos e lo porta in scena la regista Serena Sinigaglia, 40 anni, fondatrice e direttrice artistica della compagnia Atir nonché una delle più importanti voci al femminile della drammaturgia italiana.
“In Eros e Thanatos parto dalla tragica morte del mio migliore amico per arrivare all’urlo terribile di Achille di fronte alla morte di Patroclo – spiega Serena Sinigaglia che, sul palco, è la narratrice che racconta, introduce, collega, suggerisce ai due attori protagonisti, Sax Nicosia e Sandra Zoccolan – Questo il prologo. Poi, attraverso la rievocazione del mio esame di greco alla maturità, arrivo alle agognate vacanze in Grecia, all’incontro casuale con i profughi albanesi che, proprio in quel momento, primi anni ’90, scappavano a migliaia dal proprio paese. A quel punto l’incontro con Baccanti, la possibilità davvero fortunata di metterlo in scena per il Festival dell’Olimpico di Vicenza, la decisione di andare in Albania per trovare il coro, tutta l’incredibile avventura mia e della compagnia nell’Albania di allora, il ritorno in Italia, lo spettacolo al festival, e naturalmente il mio impatto con due figure straordinarie quali Dioniso e Penteo nel testo di Euripide. Baccanti è l’ultimo testo della tragedia attica, con esso si chiude per sempre il grande ciclo della cultura ateniese. È un testo che non finisce di illuminarci e di porci nel cuore delle contraddizioni dell’uomo e delle sue società. Il finale l’ho affidato ai miei due attori e ad Euripide: vediamo Agave con la testa mozzata del figlio Penteo arrivare alle porte di Tebe e chiamare il padre, Cadmo, perché gioisca di quella che, nella sua follia, considera una grande impresa di caccia”.
Lo spettacolo resta in scena fino a domenica 9 marzo, il teatro è il Ringhiera di via Boifava, Milano. Un teatro di periferia, nel quartiere Gratosoglio di Milano. È lì che abbiamo incontrato la regista.
Che cosa racconta questo spettacolo?
Eros e Thanatos racconta di un amore profondissimo e sincero per i classici e in particolare per i classici greci e però va detto che parte da un presupposto particolare: per me la cultura non va disgiunta dalla vita reale che ognuno di noi vive, non c’è cultura se non c’è una compartecipazione concreta, il sacro e il profano si spiegano insieme e quindi io per raccontare questo mio amore racconto la storia vera di un lungo viaggio che feci in Albania negli anni novanta per riuscire a mettere in scena Baccanti di Euripide con un coro di ragazze albanesi e tutte le avventure roccambolesche che mi capitarono per arrivare alla fine di quella folle e meravigliosa impresa.
Un mito della classicità greca, un episodio di attualità (l’ondata di immigrazione della popolazione albanse in Italia negli anni novanta) e la tua biografia: mettere insieme questi tre livelli è la formula giusta per rilanciare il teatro?
Io penso che il teatro si occupi proprio della relazione più profonda tra il mio io e il mio tempo presente, tra il mio io e il mio tempo passato, tra me e gli altri. Come fai a capire te stesso e la realtà che ti circonda se in qualche modo non crei delle relazioni che ti chiariscano le cose? D’altronde anche grandissimi intellettuali, diversissimi come formazione, come Calvino o Pasolini dicevano che era importante mettere in relazione i fatti tra loro. Io sono una regista, ti racconto una storia ma essa ti serve per decodificare quello che ti sta accadendo. In questa Italia della crisi spesso non ci capisce cosa sta succedendo.
Perché il teatro Ringhiera?
Perché stare ai confini dell’impero ti consente una grande libertà di pensiero e di movimento, per cui chi viene qua si può fidare che tutto quello che gli diciamo è proprio vero ed onesto perché siamo fuori da qualsiasi gioco. Qui si respira l’odore della libertà, della gioia e allegria che mancano tanto a questo mondo, in barba a tutti quelli che credono che servono i soldi per essere allegri.
Fare teatro in Italia: sei giovane, come fai?
Non sono giovane.. cioè, sono giovane qui in Italia, ma in assoluto no perché ho 40 anni. Quanto al teatro.. diciamo che le due parole cultura e Italia sono due concetti difficili da mettere insieme. Guarda in che stato sono le rovine di Pompei e Paestum.. se fossimo la Francia avremmo un indotto culturale stratosferico, invece siamo abituati ad avere tanta bellezza e altrettanta noncuranza della stessa. La politica è importante e la politica si serve di strumenti culturali anche quando sembra non farlo e il ventennio berlusconiano ha cambiato il concetto di “valore della cultura”. Oggi sembra quasi che se il valore della cultura siano le trasmissioni Fininvest piuttosto che una gita a Paestum. Il teatro che è la figlia più povera tra le arti, la più antica, la meno tecnologica e la meno trendy ovviamente è stata penalizzata e, io credo, anche combattuta volontariamente perché il teatro prevede un’aggregazione di persone che si ritrovano insieme a pensar delle cose, quindi in qualche modo è un focolaio di rivoluzione. Se pensiamo che nei pub c’è sempre la musica sparata ad un volume pazzesco, se pensiamo che nelle strade in Italia è vietato berti la birra coi tuoi amici.. si capisce che questo è un paese che in qualche modo allontana dai giovani la possibilità di aggregarsi. Ma se non c’è aggregazione non c’è rivoluzione.