L’ex pugile Rubin Carter è morto, ma immortale resta la vicenda giudiziaria che lo ha coinvolto, monito per i diritti civili dei neri afroamericani negli Usa degli anni Sessanta
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di Christian Elia
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21 aprile 2014 – Il 17 giugno 1966, a Paterson, nel New Jersey, la notte è illuminata da colpi d’arma da fuoco. Sono le 2.30 del mattino, poca gente in giro. Ma qualcuno chiama la polizia; al bar Lafayette Bar and Grill è successo qualcosa di brutto.
Poco dopo, o poco prima, elemento che non venne mai stabilito con certezza, in una discoteca alla moda della zona Rubin Carter, detto Hurricane, è lanciatissimo. La vita si stende ai suoi piedi come un tappeto, le donne si stringono attorno a quel corpo di acciaio, gli uomini fanno a gara per essergli vicino.
Pochi dubbi, sarà lui il prossimo campione del mondo dei pesi medi. Negli Stati Uniti, per un nero, è un passaporto per il paradiso. A suon di pugni, cercando in strada, in palestra e sul ring quel riscatto che una società razzista non è pensata per immaginare possibile.
HURRICANE, DI BOB DYLAN
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Torniamo al bar Lafayette. Quando la polizia arriva, a terra ci sono i cadaveri di due uomini crivellati di colpi, una donna è agonizzante e morirà poco dopo. Solo un altro uomo si salva, perdendo un occhio, dichiarando fin dall’inizio di non essere in grado di identificare gli autori della rapina.
In discoteca, intanto, si è fatto tardi. Hurricane deve tornare a casa, ma meglio che non guidi, ha bevuto parecchio. Uno degli avventori, suo fan sfegatato, si offre di guidare la sua berlina bianca. Che onore per il giovane John Artis: il grande Carter gli concede di portarlo a casa. Non ci arriveranno mai.
Perché qualcuno è pronto a giurare che sono stati due neri a fare la strage, scappando a bordo di una macchina bianca. La polizia li ferma, li porta dentro. Una donna che non vede bene, un paio di pregiudicati, un vecchietto mezzo sordo dicono che forse si, forse no, sono stati loro.
Inizia un calvario giudiziario per Rubin e John, testi che ritrattano e giurie dove non c’è neanche un afroamericano. Rubin paga il suo passato, perché lui la testa non l’abbassa mai. Questo gli è costato l’odio di un bel po’ di poliziotti della zona. Dentro e fuori dal riformatorio, nonostante la sua non fosse una famiglia disagiata, gran casini anche al militare in Germania.
Sotto le armi e dentro le prigioni Rubin ha incontrato la boxe. Uno degli incontri classici per uno sport come quello, dove se devi soffrire nella vita, almeno conosci le regole. E Rubin non ci stava a dire ‘sì signore’. Solo che questa volta lo accusavano di qualcosa che non aveva commesso.
Per lui si mossero in tanti, anche il grande Bob Dylan, che scrisse una canzone intitolata Hurricane. “A Paterson questo è il modo in cui vanno le cose se sei negro è meglio che non ti faccia nemmeno vedere per strada o ti incastrano”, canta Bob.
DENZEL WASHINGTON INTERPRETA RUBIN CARTER NEL FILM HURRICANE -IL GRIDO DELL’INNOCENZA DEL 1999, DEL REGISTA NORMAN JEWISON
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Ci vollero venti anni di carcere e tre processi per dimostrarlo. Rubin non ha mai mollato, scrivendo e gridando la sua innocenza. Anche quella del povero John, che pensava di aver fatto bingo la sera che il campione gli ha concesso di portarlo a casa.
Dopo il secondo processo, però, sembrava finita. Fino a quando un ragazzo di colore, in affido presso una coppia in Canada, non legge la sua storia. Non decide di provare ad aiutarlo. Lesra Martin, si chiama. Ed è un eroe. Perché è grazie alla determinazione di questo ragazzo e dei suoi amici che la Corte Suprema ordina la scarcerazione di Rubin e John.
Ieri, 20 aprile 2014, un tumore si è portato via Rubin. Alla stampa lo ha detto John, che è accorso al suo capezzale, in un intreccio di vite che una notte ha reso indissolubile. Rubin è morto a testa alta, passando il suo tempo a lottare per i diritti dei detenuti. Anche se, come raccontò una volta, la possibilità di lottare per il titolo di campione del mondo nessuno potrà restituirgliela. “Ma non ho abbassato la testa. Mai. In fondo, ho vinto – diceva – perché nessuno può fermare un uragano”.
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