Majd Kayyal: “Io, che ho realizzato il sogno di 1,3 milioni di palestinesi”

L’intervista di Haaretz al giornalista palestinese, arrestato dallo Shin Bet dopo essere tornato da un viaggio in Libano – paese “nemico” di Israele – con il sospetto di essere un collaboratore. Il sogno di Beirut e l’emozione di visitarla. E poi il pianto ininterrotto all’aeroporto, “perché sai che non potrai mai più tornarci”

 

di Gideon Levy e Alex Levac – Haaretz

tratto da NenaNews

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5 maggio 2014 A un certo punto, uno dei suoi interrogatori gli disse che anche lui era stato a Beirut, durante la guerra del Libano del 1982. Pochi minuti dopo, senza batter ciglio, lo stesso si era scagliato contro di lui: “Sai che non è legale andare in Libano!”. A quel punto lui, la persona sospettata di essere in contatto con un “agente straniero “e di “andare illegalmente ” in Libano – e forse anche il dio della storia – rise silenziosamente tra sé e sé.

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Questo è stato solo uno dei momenti di ironia della saga allucinatoria della visita, il mese scorso, del giornalista (palestinese, ndt) con cittadinanza israeliana Majd Kayyal nella capitale libanese, per partecipare a un convegno promosso dal quotidiano per cui scrive, as-Safir. Una volta tornato, è stato arrestato e trattenuto in incognito per cinque giorni e sottoposto a interrogatorio da parte del servizio di sicurezza Shin Bet senza che gli fosse nemmeno permesso di incontrare un avvocato fino al suo rilascio. Questo martedì, dopo che Kayyal era stato liberato dagli arresti domiciliari, lo abbiamo incontrato negli uffici di Haifa di Adalah, il Centro legale per i diritti delle minoranze arabe in Israele, dove lavora come redattore del sito web della ONG.

Il 23enne residente ad Haifa è un giovane uomo avvincente. La sua più grande paura dopo essere stato arrestato, spiega, era che sarebbe stato incarcerato per mesi, durante i quali la vibrante intensità dell’esperienza della sua visita a Beirut sarebbe svanita prima che potesse condividerla con amici e lettori. “Desideravo tanto raccontare la storia – dice – è stata un’esperienza così incredibile”.

[…] Kayyal è cresciuto in una famiglia molto orientata politicamente. Sua madre, che lavora con ragazze a rischio, è dal villaggio di Arabeh, nella Bassa Galilea; suo padre, un attivista sociale, è figlio di profughi di Al-Birwa (villaggio distrutto da Israele nel 1948, ndt) in Galilea occidentale. Vivono ad Halissa, un quartiere povero di Haifa. Kayyal ha studiato filosofia e scienze politiche presso l’Università Ebraica di Gerusalemme. Negli ultimi due anni ha lavorato per Adalah e come editorialista per l’importante quotidiano libanese as-Safir. L’ultimo articolo inviato prima del suo viaggio era sulla legge “Capra Nera”, la legislazione israeliana dimenticata dal 1950 che vieta l’espansione delle aree di pascolo soprattutto ai pastori beduini.

Come molti altri palestinesi di Israele, Kayyal ha sempre sognato di visitare il Libano. “Beirut è la città che mi interessa di più. Sono cresciuto con la sua storia, ed è il luogo che mi ha influenzato di più. I miei eroi d’infanzia venivano da Beirut” dice. “La partenza dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina da Beirut ha cambiato la politica palestinese. Questi sono gli eventi che hanno caratterizzato la mia personalità. Non solo: c’è anche una ricca scena culturale a Beirut. E un giorno ricevo un invito per l’evento che segna il 40esimo anniversario di As-Safir “.

L’invito ha scatenato la sua fantasia e lo ha commosso profondamente. Insieme ad altri otto giornalisti – provenienti da diversi paesi arabi – che lavorano per il giornale gli è stato chiesto di parlare del suo pronostico per quello che sarà il mondo tra 40 anni. “Gli iracheni sono stati gli unici a non aver visto niente oltre a un tragico destino”, osserva.

Da parte sua, Kayyal ha elaborato uno scenario futuristico per uno stato binazionale in Israele nel 2054. Ha cercato di immaginare i conflitti che si sarebbero generati con il ritorno dei profughi palestinesi del 1948. Non solo tra di loro e gli ebrei, ma anche tra i rifugiati e gli arabi israeliani che vivono nelle loro case. Ha parlato di ebrei e veterani arabi israeliani contro i “nuovi” rimpatriati palestinesi, nuove coalizioni e le lotte che nessuno sta ancora contemplando.

Per partecipare all’evento, ha ottenuto un lasciapassare per una sola volta da parte del Ministero della Cultura palestinese; i suoi ospiti gli hanno mandato il visto per il Libano. E’ partito per Amman il 23 marzo in direzione Beirut, senza dire quasi a nessuno il suo segreto. Ha detto ai suoi genitori che stava andando in Tunisia, perciò non si sono preoccupati. Era la stessa storia che aveva usato in passato, quando si era unito alla Freedom Flottilla verso la Striscia di Gaza. Sul volo per Beirut una hostess gli ha offerto una copia di as-Safir, e per la prima volta nella sua vita Kayyal tenuto in mano l’edizione cartacea del giornale. Il suo nome compariva all’interno del quotidiano come uno dei partecipanti alla conferenza. E ‘stato il preludio dei 20 giorni nella città dei suoi sogni.

“Beirut – spiega Kayyal – assomiglia moltissimo ad Haifa, e io amo Haifa così tanto che non potrei mai vivere altrove. Non smetti mai di pensare, a Beirut . Non puoi dire: ‘ La politica non mi interessa. ‘ La politica è lì , ovunque, ed è molto impegnativa . Incontri persone nei caffè – scrittori , artisti , poeti – le persone che avevi solo sentito nominare nella vita, e qui sono seduti di fronte a te. Puoi andare in un negozio di alimentari e incontrare [ la cantante ] Fairouz . Senti storie che tutti conoscono, ma che nessuno scrive, sui tuoi eroi dell’infanzia”.

Altrettanto emotive sono state le sue visite a Sabra e Chatila (i campi profughi palestinesi in cui si è verificato nel 1982 il massacro dei residenti da parte dei cristiani locali, ndr); altri campi profughi sono off – limits per i visitatori (sic). “E ‘stato molto doloroso. Ho incontrato molte persone di Haifa lì . Ho incontrato alcuni dei miei vicini. Questo è stato probabilmente l’evento più bizzarro: a Chatila ho incontrato la famiglia Saloum. E abbiamo vicini di casa della famiglia Saloum ad Haifa. Le stesse inflessioni vocali, lo stesso modo di stare seduti”, ha spiegato il giornalista.

Ma Kayyal aggiunge che era stato attento durante la visita a evitare situazioni che avrebbero potuto poi metterlo nei guai in Israele. Non ha visitato il quartiere Dahiye a Beirut, roccaforte di Hezbollah, e non si è avvicinato ai villaggi del sud del paese, dove avrebbe potuto incontrare militanti di Hezbollah, anche se solo per caso. I suoi ospiti lo hanno tenuto d’occhio, per assicurarsi che non incontrasse qualche giornalista iraniano, per esempio. Per la prima volta nella sua vita, Kayyal è stato malmenato da un poliziotto arabo.

“Eravamo sulla strada per la sede del giornale quando abbiamo visto una manifestazione. C’era qualche motivo per non fermarsi a dare un’occhiata? I dimostranti erano davanti alla società elettrica libanese. Li abbiamo raggiunti. Non avevo idea di dove stessero andando. Poi ci siamo ritrovati davanti a un muro della polizia: eravamo finiti davanti al palazzo del Parlamento. ”

Kayyal dice che è stata un’esperienza elettrizzante essere in grado di partecipare a una protesta e non essere discriminato in quanto arabo, come accaduto durante le proteste sociali a Tel Aviv nel 2011, e anche non sentire il disagio di marciare sotto una bandiera israeliana, come nelle manifestazioni studentesche contro gli aumenti tasse universitarie. “Questa era la prima volta che sentivo di essere povero, e non un povero arabo”.

Durante la sua permanenza in Libano, ha riferito le sue esperienze sulla sua pagina Facebook, non nascondendo il fatto di essere a Beirut. Suo padre era sconvolto, e Kayyal gli ha detto via Skype: “Sono già qui, dimmi almeno una buona parola.”

L’ultimo giorno a Beirut, Kayyal racconta di essere scoppiato in lacrime all’aeroporto. “Ho pianto come non avevo mai pianto in vita mia. Piangi così quando sai che non potrai mai più tornare in quel posto”. Ha incontrato la madre ad Amman – era tornata da una visita ai campi profughi siriani in Giordania – e hanno viaggiato verso il confine israeliano (palestinese, ndt). Agenti dello Shin Bet lo stavano aspettando. Aveva pensato che nulla di spiacevole sarebbe successo.

“Ho pensato – racconta Kayyal – che (gli agenti israeliani, ndt) fossero abbastanza intelligenti da non trasformarmi in un eroe. Solo uno stupido potrebbe mettere nei guai una persona che ha realizzato il sogno di 1,3 milioni di persone. Ho anche pensato che fossero abbastanza intelligenti da non arrestarmi, e dire invece: ‘Guardate questo ragazzo che è andato a Beirut e che abbiamo lasciato andare’ – [lasciando che il pubblico tragga la conclusione che] devo essere un collaboratore.

“Ho anche pensato che fossero abbastanza intelligenti da darmi un senso di sicurezza, di modo che avrei potuto osare di più [in futuro] e poi magari fare qualcosa che veramente mi avesse messo nei guai. Ma non hanno fatto nulla di intelligente. Solo cose stupide. A volte pensiamo che siano così intelligenti, ma non lo sono”.

Ammanettato e bendato, il giornalista è stato tenuto in detenzione ad Haifa . La sua casa è stata perquisita e il suo computer e altri oggetti – compreso un quaderno di quando era in quarta elementare – sono stati confiscati. Ha subito cinque giorni di interrogatori nella prigione Kishon, nel nord del paese. Non era preoccupato, perché sapeva che non aveva nulla da nascondere. Gli inquirenti gli avevano chiesto se sarebbe stato più comodo per lui essere interrogato in arabo, e lui aveva risposto : “Io non voglio stare comodo con voi. “

Gli è stato chiesto se avesse mai lanciato sassi nelle recenti manifestazioni dei beduini in Israele o partecipato alle manifestazioni arabe dell’ottobre del 2000. Ha risposto che allora aveva nove anni. Gli interrogatori gli hanno dato un test poligrafo relativo a reati di cui non era sospettato – terrorismo, posizionamento di bombe – e, naturalmente, il verdetto è stato che Kayyal diceva la verità. Volevano sapere se aveva tradito Israele. Kayyal ha risposto: “Si può tradire solo qualcuno che ami”.

Infine è stato rilasciato. Gli è stato impedito di entrare in contatto via internet con le persone che vivono all’estero per 21 giorni. La normativa che rende illegale entrare in uno stato nemico si chiama “legge di infiltrazione”, che, come osserva Kayyal “in realtà esiste per impedire l’infiltrazione in Israele”. “Così il cerchio si chiude. Il mio sogno di andare a Beirut è esattamente lo stesso sogno del rifugiato di tornare qui. Tutto è collegato. “

Proverai ad andare di nuovo? “Sì”. 

(Traduzione a cura della redazione di Nena News)

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