Tangeri, aprile

Un incontro speciale, tra i vicoli della medina, nel cuore del Mediterraneo 

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/05/foto.jpg[/author_image] [author_info]foto e testo di Tano Siracusa, da Tangeri (Marocco). Fotografa dagli anni ’80. Ha collaborato con numerose testate ed è stato direttore della periodico Fuorivista. Attualmente è coordinatore di redazione di Gente di Fotografia. Ha realizzato numerose mostre in Italia e all’estero. www.tanosiracusa.it[/author_info] [/author]

8 giugno 2014 – La città, dicevano, è molto cambiata negli ultimi venti anni, è difficile riconoscerla. Ma arrivando con la nave nel nuovo porto e uscendo fuori dalla stazione vastissima, funzionale e semivuota, in questo periodo di bassa stagione turistica, Tangeri semplicemente non c’è.

È a 40 chilometri. E quando comincia ad apparire, a manifestarsi nelle sue prime propaggini, sembra davvero un’altra città.

La prima impressione è quella di uno sviluppo urbanistico tumultuoso e bulimicamente vorace di suolo.

La città si disloca fuori e lontano da se stessa: già a 20 chilometri. Dalle sue estreme periferie si annuncia con insediamenti residenziali di centinaia di fabbricati condominiali, identici, seriali, nel nulla della campagna primaverile, verde e gialla di fiori selvatici.

Oppure, ma già in periferia, con gigantesche costruzioni che viste da lontano ricordano le magnifiche casbeh berbere della Valle del Dades, solo che questi qui sono smisurati alveari in cemento armato, dove possono abitare migliaia di persone senza mai incontrarsi.

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Non è diverso il paesaggio urbano arrivando a Tangeri da Asilah, piccolo centro sull’ oceano, con magnifica Medina andalusa e fino a venti anni fa una grande spiaggia oggi scomparsa. Al suo posto alcuni chilometri di terra nuda, di polvere, il nulla. Il nuovo porto, dicono.

Lasciando Asilah, a circa metà strada da Tangeri, a 15 chilometri, sorge un villaggio di  costruzioni nuove vicino al mare, su terreni paludosi. Ci saranno un migliaio di appartamenti, alcuni abitati, altri vuoti, alcuni che sembrano già logori, in malora. Una ventina di palazzine non sono state neppure ultimate, forse perché si sono accorti che la palude è ormai lì, a un paio di metri. Ma l’impulso a edificare sembra uno dei segni più appariscenti del nuovo Marocco.

Il re in persona, Mohamed VI, è venuto in aprile a Tangeri per annunciare l’ambizioso piano: 8000 nuovi alloggi per il ceto medio e la fascia più povera della popolazione, quella che vive con meno di 200 euro al mese. Prestiti agevolati, defiscalizzazioni, impegno finanziario dello Stato e guerra dichiarata alle costruzioni ‘insalubri’.

Il centro moderno di Tangeri è un vanto di Mohamed VI, simbolo del Marocco proiettato nel futuro.

“I locali di qui non hanno nulla da invidiare ai migliori locali europei”, dice il tassista, mentre attraversa il centro della città sfavillante di vetrine e riflessi, di eleganti palazzi in vetro e acciaio, di ristoranti e hotel sfarzosi.

Eppure la futura metropoli marocchina del XXI secolo si dissolve sul lungomare, ai piedi del colle dove bianca, incrostata come un granchio, sorge la Medina con il vecchio porto disteso davanti. Si capisce allora che il moderno e il passato qui si affiancano, non si mescolano.

Alle nove di mattina al porto è tutto un agitarsi, un vociare, uno scintillare di pozzanghere e di pesci, un dondolare di pescherecci e aggrovigliarsi di reti; e quell’odore di sale, petrolio e di marcio che eccita i gabbiani e sembra stordire di soddisfazione una moltitudine di gatti sonnolenti.

A quell’ora su in collina le saracinesche dei negozi sono ancora abbassate. Un po’ tutti  nella Medina si lamentano per il mancato arrivo delle navi cariche di turisti che ormai sono un ricordo. Si lamentano rassegnati i negozianti, i proprietari dei piccoli hotel, si lamentano le ‘guide’, che offrono le sistemazioni più economiche, e ragazze e droghe a poco prezzo.

Si lamentano un po’ tutti nella vecchia città che vede il flusso turistico intercettato e in gran parte assorbito dalla città moderna, che la affianca e la precede sulla rotta del porto nuovo e del futuro del paese.

“Non è Fes la capitale culturale del Marocco, ma Tangeri: Fes è la capitale spirituale”. Lo afferma a bassa voce ma con sicurezza Mohammed, che ama la letteratura araba e occidentale, ha 37 anni e vive per strada. Un clochard colto, che non ha rinunciato alla voglia e all’ambizione di scrivere e che si illumina parlando di Choukri, l’autore di ‘Pane nudo’, a 20 anni ancora analfabeta ed esemplare scrittore maudi cresciuto nella Medina di Tangeri. È scomparso nel 2002 e qui tutti sembra che lo abbiano conosciuto.

Mohammed vuole scrivere dei racconti, diverse storie intrecciate, anche divertenti, bizzarre. Non vuole, come Choukri, scrivere la sua autobiografia. Sarebbe troppo doloroso: la famiglia con cui ha rotto tanti anni fa,  il sogno europeo, gli studi universitari interrotti in Francia, il grande amore per l’Italia, e poi  la deriva della la strada. Le cattive strade, i centri di accoglienza in Bulgaria, in Grecia, la fame, i freddo, il carcere, le droghe, quelle chimiche che bruciano il cervello.

Adesso si sente spaesato, straniero. Non gli piace il Marocco, non gli piacciono i marocchini, il loro modo di pensare e di vivere.

È qui a Tangeri da cinque mesi, e non si sente ancora pronto per tornare nella sua città, Casablanca. Sta meglio, ma non ancora abbastanza bene per cercarsi un lavoro, per guadagnare, pagarsi casa, ricominciare a scrivere. In Grecia, mentre era detenuto, sentiva delle voci. Una voce che gli diceva di uccidersi. Adesso sta meglio, ma non ancora abbastanza.

Possiede solo gli abiti che indossa, che si vanta di tenere puliti, e un coltello, di quelli che usano nei ristoranti.

“Mi fa sentire più sicuro”, dice. Ma ammette anche che rischia di rendere più aggressivi. Città di scrittori e di coltelli Tangeri, come quello che lui tiene nascosto nella logora casacca o come quello che la sera prima ha rischiato di uccidere un uomo proprio all’ingresso della Medina, con l’ambulanza arrivata un’ora dopo l’aggressione e nessuno che accompagnava con la sua auto il disgraziato in ospedale. Tienen miedo, paranoia, spiegavano.

M. li conosce bene, l’accoltellatore e l’accoltellato, due idioti sostiene, ma preferisce parlare in un buon italiano del primato culturale di questa città di frontiera. “Qui, dice, alla fine del ‘400 si è riversata con la cacciata di musulmani ed ebrei dalla Spagna la grande civiltà andalusa, che poi proviene da Baghdad. Nel secondo dopoguerra, gli scrittori della beat generation hanno solo consacrato un antico primato culturale di Tangeri”. Lo dice sottovoce, nel piccolo caffè incistato nel labirinto della Medina dove tutti fumano hashish. Per lui che qui è come uno straniero, la sua casa, almeno di giorno, è questo caffè. L’alcol è chiassoso, l’hashish predilige il silenzio. L’unico a non fumare è il proprietario, un signore elegante, ma anche lui taciturno e con gli occhi azzurri.

“È di Tangeri”, dice Mohamed, “ma  è andaluso da molte generazioni”. La nuova Tangeri, la futura metropoli del  Regno, da qui è lontana. Per quelli come Mohamed, i più poveri, quelli che vivono e dormono per strada Tangeri è fra il vecchio porto e la Medina.

Sarebbe inimmaginabile Mohamed fra gli eleganti palazzi del centro o fra gli alveari condominiali della periferia.

“Ieri notte al porto in meno di cinque minuti mi sono fatto un buon letto”, dice sorridendo. Gli mancano dei denti a 37 anni, ma quando tornerà a guadagnare se li farà sistemare, perché così, dice, mi prendono per un drogato.

Il proprietario andaluso del caffè che passeggia silenzioso nella penombra deve essere una brava persona. “Una sera che stavo male, particolarmente male”, dice Mohamed, “qui mi hanno aiutato”.

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