Una casa per teatro

Sesto San Giovanni è un paese di vecchi. Negli anni è diventato un paese per vecchi. «A loro il teatro non interessa», dice il responsabile di un centro anziani, mentre facciamo un giro per promuovere la nostra iniziativa. Non lo vogliono fare e non gli interessa assistervi. Punto


di Teresa Sala
foto:Teresa Sala (contuttoamore) e Giorgio Mazzeri (WP)

 

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14 giugno 2014 –
Stiamo facendo questo giro per i centri anziani perché abbiamo vinto un bando europeo per promuovere l’invecchiamento attivo. Non lo abbiamo vinto da soli: c’è un’altra associazione, Lavoro e Integrazione, e il Comune di Sesto San Giovanni, settore Servizi alla Persona. Noi, Opus Personae, ci occupiamo di teatro. Io, veramente, vengo coinvolta nel progetto quando il bando è già stato vinto: non ho partecipato alla stesura.

Dunque, per questo progetto Opus organizza due laboratori teatrali per over 55 e una rassegna: Teatro delle case.
Non nelle case, delle case. La differenza sembra sottile, ma è sostanziale. Non semplicemente un teatro fatto in casa, ma un momento per parlare di cosa è una casa e di cosa possa essere. Una casa aperta, accogliente. Un luogo di condivisione e non di fuga. Una rassegna che è anche una visione di teatro, che è anche un progetto politico. Perché oggi, in una realtà frammentaria e isolata, lavorare sul senso di comunità è un atto politico. Non è nuova questa idea di teatro, anzi. Il nostro merito è di portarla qui: nel paese per vecchi.

Il teatro si fa nelle case: quattro spettacoli all’anno (per due anni) per quattro case diverse. Chiediamo a persona anziane di aprire la loro casa per una sera, di aprirla a estranei e a una compagnia teatrale, di farne un luogo d’incontro. Chiediamo a queste persone di aprire il loro spazio di rappresentazione quotidiana, perché, per una sera diventi il palcoscenico di altre storie. Non è facile aprire la propria casa in un clima generale di paura e diffidenza, in cui sembra che la casa debba essere un bunker di sicurezza contro i mali del mondo. Accettare che sconosciuti entrino nella tua casa e quindi nella tua vita è un grande atto di fiducia.

Ma a loro il teatro non interessa. O forse sì, perché qualcuno la sua casa ce l’ha aperta. Non solo, qualcuno (più di uno) ha anche deciso di iscriversi ai laboratori teatrali: persone che non avevano mai fatto teatro in vita loro e che non hanno sogni di gloria tardivi. Per due ore alla settimana si sono messi in gioco, hanno sfidato i propri limiti, hanno accettato di mettere in discussione loro stessi, con risultati davvero emozionanti. Come quando Pinuccia racconta al pubblico, in un monologo scritto da lei, il giorno in cui sua madre, vedova di guerra, decise di risposarsi. Pinuccia, allora bambina, l’aveva capito che quel uomo non sarebbe mai stato un buon padre e un buon marito, quindi propose alla madre: invece di lui, sposa me. Vorrei potervi trasmettere l’orgoglio nel vederla raccontare questa storia, perché so quanto le è costato dirla e quanto tempo ha dovuto aspettare per poterla raccontare. Il teatro serve anche a questo, a creare un luogo sicuro in cui i partecipanti possano esprimere sentimenti e storie che non possono tirar fuori altrove. Sto dicendo banalità, me ne rendo conto, ma forse ci fa bene ricordarcelo ogni tanto.

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Dicevo prima che io questo progetto non l’ho scritto, ci tengo a dirlo perché all’inizio ero un po’ scettica. Sì, mi dicevo, il progetto è carino, ma siamo onesti: non è il caso di parlare di valenza sociale o, ancor più, politica. Poi ho visto e vissuto questi incontri. Come la prima sera della rassegna, quando accolgo il pubblico sul sagrato della chiesa di Cascina Gatti: mentre aspettiamo gli ultimi arrivi le persone cominciano già a scambiarsi qualche battuta pur essendo dei perfetti estranei. Non si evita il contatto lo si cerca. Sembra una comitiva di amici di vecchia data. Lo spettacolo inizia già sulla soglia di casa, con grande stupore del pubblico, con l’accoglienza di Francesca, che apre Con tutto l’amore del mondo una produzione di Qui e Ora residenza teatrale. Dopo lo spettacolo c’è un piccolo buffet all’aperto. Questo è il momento che mi fa capire cosa può essere davvero il teatro delle case. Vedere persone serene, che chiacchierano tra di loro, con le attrici, con la padrona di casa, ti fa sentire che un altro modo di vivere la città è possibile. Non si può negarlo: in questo incontro il cibo gioca un ruolo fondamentale. Il cibo ha il potere di favorire gli incontri e la condivisione: è per questo che lo usiamo per tutti gli appuntamenti della rassegna. Speriamo se ne ricordi anche la città di Expo quando sarà il momento.

Tra un bicchiere di vino e un pezzo di formaggio ho capito che è così la città che vorrei: piena di rischi, d’incertezze e di possibilità. Una città dove esci la sera, dove ti permetti di scambiare quattro chiacchiere con gli sconosciuti, dove le case sono aperte.

Il teatro delle case prova a dare un piccolo contributo in questa direzione. Ma se abbiamo qualche merito lo dobbiamo alle nostre attrici, e soprattutto, ai/alle padroni/e di casa.

Comincio a pensare che a qualche anziano il teatro possa interessare.

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