Negli ultimi tre anni di proteste in piazza la violenza sulle donne ha raggiunto livelli endemici. Quasi sempre le aggressioni restano impunite
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/03/Sara.jpeg[/author_image] [author_info]di Sara Lucaroni, @LucaroniS. Nata ad Arezzo nel 1980, giornalista professionista, si è laureata con una tesi sulla metafisica cartesiana. Si occupa di sociale, lavoro, politica, storie di sport. Ha collaborato con Italia7, TV2000 e Globalist. È coautrice di un romanzo sulla disabilità e autrice di due documentari: sull’immigrazione, “Chi siamo noi” e sulla Resistenza, “Diari di Guerra”.[/author_info] [/author]
22 giugno 2014 – Anche la visita del presidente Al Sisi alla vittima in ospedale ha suscitato la dura reazione di molte associazioni che si occupano di diritti delle donne: propaganda. Non c’è la reale intenzione di contrastare molestie e aggressioni, l’ennesima piaga d’Egitto, insieme a quella strana forma di democrazia che cancella i diritti dei cittadini in nome della stabilità del Paese.
Martedì scorso un video girato col telefonino, diffuso sui social e poi ripreso dalle agenzie, ha documentato al mondo il tenore delle aggressioni nelle piazza delle proteste egiziane e una delle ultime violenze avvenute contro le manifestanti di Tarhir Square, al Cairo, durante i festeggiamenti per la cerimonia del giuramento del neo presidente Abdel Fattah Al Sisi. Tra canti e fuochi d’artificio, una studentessa 19enne, completamente nuda, viene salvata dalla polizia. Poco più di due minuti di immagini in cui quegli ematomi e quelle ferite fanno male quanto vedere le difficoltà degli agenti per strapparla alla folla che reclama il suo corpo. Sette gli arresti per violenza sessuale eseguiti lunedì. Il presidente le ha chiesto scusa e promesso che farà il possibile per stroncare il fenomeno, invitando ogni egiziano a contrastare la violenza sulle donne. Lei le ha chiesto di far rimuovere il video da You Tube. Il portavoce presidenziale Ihab Badawy ha detto che l’ambasciata egiziana a Washington ha già inoltrato la richiesta e ha annunciato il lancio di una campagna nazionale per fermare le violenze, insieme all’istituzione di una commissione ministeriale permanente per esaminare la questione.
Secondo alcuni gruppi di attiviste, la vicenda potrebbe aver finalmente sensibilizzato il governo al problema delle molestie e delle violenze sessuali, aumentate nei tre anni di rivoluzione. Secondo altri, il “terrorismo sessuale” è stato ed è, nel fermento rivoluzionario, usato come strumento di lotta politica. Una strategia, un modo per manipolare la partecipazione, per colpire avversari. Le egiziane, dalla caduta di Hosni Mubarak nel 2011, hanno partecipato sia a manifestazioni e cortei di protesta quanto a festeggiamenti e celebrazioni, ma il loro contributo alla presunta nuova era democratica ha avuto un costo altissimo: tra il 2012 e il gennaio di quest’anno, 29 gruppi femministi hanno segnalato e documentato 250 casi di molestie sessuali di massa. Nove quelli di domenica (8 giugno, ndr.) , proprio pochi giorni dopo l’introduzione di un decreto che prevede condanne, per la prima volta nel Paese, per il reato di molestie a sfondo sessuale: fino a 6 mesi di carcere e multe fino a 3 mila lire egiziane. Ma non basta, se in merito ai fatti di domenica scorsa (8 giugno, ndr.) qualche autorità ha dichiarato che gli atti di violenza sono stati una cospirazione contro il presidente, definendoli “azioni destinate a rovinare la gioia degli egiziani e il loro matrimonio con la democrazia” e chiesto di individuare i mandanti. Non basta se, come fanno presente alcune attiviste, “forma inaccettabile di condotta, estranea ai principi della cultura egiziana” sono parole pronunciate dalla stessa persona che nel 2011, come capo dell’intelligence militare, autorizzò “i test di verginità” forzati per le manifestanti detenute, con lo scopo di proteggere i militari dalle denunce di stupro. La pratica del futuro presidente egiziano, denunciata da Amnesty International, si somma ai casi segnalati da Human Rights Watch, che registra “livelli endemici” di violenza sulle donne e sottolinea che “le autorità non agiscono per arrestare o indagare su questi reati, o per portare i responsabili davanti alla giustizia”.
Secondo i racconti raccolti da HRW, la scena è sempre la stessa, alle manifestazioni di piazza, ai concerti, durante i grandi raduni in occasione del Ramadan. Un gruppo individua una donna, la isola, la trascina altrove per abusarne. Se c’è molta folla, lo fa sul posto. Spesso nell’indifferenza delle stesse forze dell’ordine, o con la loro complicità. In altri casi sono stati militari e agenti gli autori delle aggressioni. Alcune manifestanti hanno raccontato di essere state picchiate con catene di ferro, bastoni, ferite con armi e coltelli. Poco importa che indossino abiti tradizionali o vestano all’occidentale.
Secondo l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite, che ha raccolto dati e testimonianze da centri di ascolto, associazioni, funzionari e operatori di ONG , l’Egitto è il paese in cui il 99,3% delle donne ha dichiarato di aver subito molestie e l’ 82% di non sentirsi sicura in strada o nei luoghi pubblici. E raccomanda un piano di sensibilizzazione congiunto tra autorità civili, scolastiche, religiose. Fino ad oggi, l’atteggiamento paternalistico delle autorità che raccolgono la denuncia, l’assenza di indagini e spesso la mancata condanna degli aggressori, unita al retaggio culturale legato alla violenza sessuale, considerata un disonore, ha indotto le donne a non parlare.
Alcuni analisti dicono che l’aumento esponenziale di molestie e violenze contro le donne in Egitto dipenda dai costi proibitivi dei matrimoni, dalla disoccupazione in crescita, dal divieto di fare sesso fuori dal matrimonio. E poi dalle dinamiche da branco, che legittima i propri istinti e li mescola al diritto di sentirsi libero e forte, fino alla più terribile delle violenze. Intanto il ministero dell’Interno ha reso noto che le aggressioni di in occasione del giuramento del neo presidente sono state così feroci che diversi ufficiali schierati per salvare le donne sono stati a loro volta feriti dalla folla. Una società in cui la violenza sulle donne non è percepita come un crimine ha un deficit culturale grave.
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