Ode al Brasile

… squadra del maraviglioso calcio abbattuta oggi addì 8 luglio 2014

di Bruno Giorgini

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9 luglio 2014.- Questa sera con la sconfitta catastrofica del Brasile a opera della Germania è probabilmente finita un’epoca, quella del bel calcio in nome della forza e dell’efficienza. Già la Germania del lontano 1954, se non erro – ascoltai la radiocronaca con mio zio comunista che imprecò a lungo contro i crucchi – battè la grande Ungheria di Puskas, mettendo fine al calcio danubiano. Poi fu la volta dell’Olanda di Cruyff, la grande Olanda del calcio totale a essere battuta, grande Olanda che non tornò più.

Oggi la macchina bellica tedesca ha stritolato il Brasile, quella splendida scuola di calcio cominciata almeno per me con Pelè, Didi, Vava, Garrincha, Zagalo e tutti gli altri eroi mitici del dio Eupalla, che facevano sognare toccando il pallone come fosse rivestito con calze di seta per imprimergli bellissime traiettorie improbabili che violavano le leggi della fisica nonchè le difese più solide. Non potevano farcela i calciatori brasiliani, per di più senza Neymar, l’unico fuoriclasse autentico in una squadra di onesti palleggiatori, abbattuto da un macellaio colombiano con un assalto alla schiena a ginocchia unite.

Ma la sconfitta è diventata umiliazione estrema, come quando un pugile vagola sul ring in balia dell’avversario, sperando tutti che arrivi presto il colpo del KO. Però nella boxe puoi gettare la spugna, mentre nel calcio sei obbligato a girare a vuoto un goal dopo l’altro senza più volontà nella testa e abilità nei piedi, che non puoi nemmeno metterti a piangere, ma devi rimanere in campo fino al novantesimo minuto.

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Già in questi campionati del mondo fu buttata fuori la Spagna, altra scuola di bel calcio, da parte dell’Olanda squadra di cavalloni infaticabili e corridori con taglie da boscaioli, adesso è toccato al Brasile, in modo temo più definitivo per qualche anno almeno, forse molti. Una tragedia non solo per i brasiliani ma per chiunque ami il calcio come guizzo della fantasia e composizione di movimenti per il piacere degli occhi e della mente. Rimane la speranza dell’ Argentina di Messi con le sue labirintiche imprendibili serpentine e quelle micidiali punizioni che lasciano esterrefatti i portieri più agguerriti, sperando che bastino contro gli olandesi. Altrimenti non potrò guardare la finale, Olanda Germania, un incubo di geometrie ripetitive da annoiare un elefante. Poi la Germania ha un giocatore di genio come Klose e un gatto feroce come Mueller, cui va fatto tanto di cappello, se solo non fossero tedeschi cioè incernierati dentro schemi di gioco che ammazzano qualunque immaginazione.

Il campo di gioco disegnato dal football in salsa tedesca è macchinico, totalmente determinato e deterministico, sottoposto a disciplina ferrea, di lì non si scappa, e infatti rimane tal quale da cinquant’anni a questa parte. Nel calcio non hanno inventato nulla, ma di più, il loro modo di giocare, direi il loro stesso modo di occupare lo spazio, se garantisce spesso la vittoria inibisce però sempre l’invenzione, nel loro campo non irrompe mai la novità, è impossibile strutturalmente.

E una attività umana che non ha alcuna possibilità di innovazione, di scarto rispetto ai binari codificati, è la rappresentazione della morte, seppure vincente. Come d’altra parte sempre la morte alla lunga è vincente, ma nel gioco del calcio vorremmo l’insorgere della vita e della sua improbabilità. Il lampo imprevedibile che ci rende, fosse solo per un attimo, vicini agli dei.

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