La Croazia d’Europa

La Croazia è nell’UE da poco più di un anno. Tra piani di riduzione delle spese, privatizzazioni e disoccupazione galoppante

di Bruno Giorgini

 

23 luglio 2014 – Poco più di un anno fa la Croazia entrava nella UE, con fanfare e grancasse. Alle recenti elezioni europee ha votato il 25% degli aventi diritto, un cittadino su quattro. Su questo scarso insieme di votanti, il 41% e rotti ha scelto la coalizione di destra e nazionalista, mentre il centrosinistra maggioritario alle ultime elezioni politiche, attualmente al governo, ha subito una sconfitta secca fermandosi al 29,9%. Bella sorpresa il neonato partito dei verdi OraH (Sviluppo sostenibile della Croazia) fondato tra gli altri dall’ex ministro dell’ambiente Mirela Holy, col 9,42% di preferenze.

Il 15 luglio a Dubrovnik è sbarcata la cancelliera Merkel per presenziare all’annuale meeting del Brdo – Brijuni Process dei Paesi balcanici, Albania, Bosnia, Croazia, Kosovo, Macedonia, Montenegro, Serbia, Slovenia. Cominciando da quest’ultimo evento, la cancelliera è intervenuta a lungo dettando l’agenda e i doveri per l’entrata nella UE dei Paesi ancora fuori, nonché i compiti da espletare per i Paesi già dentro, Slovenia e Croazia.

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Dal metodo per assicurare stabilità e risolvere le controversie, per esempio quella in corso tra Croazia e Slovenia per i diritti di pesca nell’Adriatico, o quella tra Grecia e Macedonia, passando per le infrastrutture da costruire, soprattutto vie di comunicazione, all’energia – si era portata appresso l‘apposito commissario CEE Gunther Oettinger – per arrivare ai doveri di pareggio di bilancio e rigorosa amministrazione, con il contorno di riforme, le solite: tagli della spesa pubblica, privatizzazioni e regolamentazione del mercato del lavoro, la cancelliera non si è fatta mancare niente, stabilendo così di fatto e fin quasi di diritto, una sorta di protettorato tedesco sugli interi balcani.

Protettorato che rappresenta un punto d’arrivo, sia pur parziale, del percorso cominciato quando la Germania in solitudine, cioè senza gli altri Paesi europei, riconobbe il 23 dicembre 1991- riconoscimento che diventa esecutivo il 15 gennaio ’92 – l’indipendenza di Slovenia e Croazia dalla Federazione Jugoslava, e dopo verrà la guerra civile dispiegata, nonché sanguinosissima. Protettorato ampiamente ripreso e amplificato come grande successo dalla tivù di stato croata che si è sbracata nel riprendere Merkel sotto tutti gli angoli, così come del resto si era spampanata nel filmare i festeggiamenti tedeschi a Berlino per la vittoria germanica nel mondiale di calcio.

Né il parlamento croato a maggioranza di centrosinistra si è fatto attendere, approvando proprio il 15 luglio la legge sul lavoro proposta dal governo. Il job act in salsa croata prevede tra l’altro un orario di lavoro ordinario tra le cinquanta (50) e sessanta (60) ore settimanali, a seconda dei contratti collettivi, e l’obbligo di fornire ore straordinarie su comando dell’azienda fino a duecentocinquanta (250).

Tutti gli emendamenti delle opposizioni sono stati respinti, compreso quello proposto dal fronte femminile per i diritti sociali e del lavoro, volto a vietare il lavoro notturno per le donne in gravidanza, per le madri che allattano e/o che hanno partorito da poco, a meno che non fosse da esse stesse richiesto, e in subordine che il lavoro notturno per queste categorie fosse sottoposto a controllo sanitario. Mentre in fila per tre e in riga per due i disciplinati deputati socialisti votavano la legge, le militanti del fronte si sono messe a cantare l’Internazionale dal palco riservato al pubblico, qualcuno della maggioranza definendole “infantili”. I sindacati per ora non hanno reagito se non a parole, annunciando una generica volontà di indire una raccolta di firme per un referendum abrogativo della legge.

Intanto il governo sta mettendo a punto il piano per la riduzione delle spese sanitarie e le privatizzazioni. A forte impatto simbolico è la preannunciata concessione per trent’anni a privati della nave su cui viaggiava Tito, il Galub (il Gabbiano), un piroscafo di costruzione italiana che ai tempi dei Paesi non allineati ospitò i capi di stato di mezzo mondo. Ci saranno ristoranti, sale da gioco, discoteche su tremila metri quadri, mentre mille dovrebbero diventare un museo. In modo più sostanzioso sarà messo in vendita il 20% delle azioni del porto di Ploce e il 3.3% delle azioni della Telecom croata, già per il resto quasi interamente di proprietà della Telecom tedesca.

La presenza germanica visibile nel turismo e nelle banche sta dilagando a macchia d’olio, fin nelle piccole cittadine troviamo filiali di banche tedesche, e quelle nominalmente croate sono di fatto a capitale tedesco, così come lungo la costa incontriamo hotel dove la prima lingua è il tedesco, la seconda a bocca storta l’inglese e buon terzo il croato, parlato soltanto dal personale di “basso rango”. Va aggiunto che per ora l’Italia è il principale partner commerciale della Croazia, ma la Germania sta correndo svelta in particolare nei settori tecnologici di punta, preparandosi al sorpasso. Siamo quindi alla macroeconomia.

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Per il rapporto deficit-PIL la Croazia sta al 5,4%, in crescita e la CEE ha aperto una procedura di infrazione – il rapporto non dovrebbe superare il famoso 3%. Per il rating cosidetto, Standard and Poor’s, poi anche Moody’s eccetera, cioè le famigerate agenzie angloamericane, hanno deprezzato quello della Croazia da BB+ a BB, cioè a quasi spazzatura. Tra parentesi, una delle notizie più importanti, passata quasi inosservata, è la decisione presa da Cina e Russia di affrontare la gigantesca guerra finanziaria in corso creando una propria agenzia di rating – cosa aspetti la UE per fare lo stesso non si sa, oppure si sa fin troppo bene.

Per il debito, guarda caso si è impennato proprio nell’anno di entrata della Croazia nella UE, passando dal 56% del PIL nel 2012 al 67% nel 2013 (perché appena entri in Europa o sei lì per, cresca in modo quasi esponenziale il tuo debito pubblico lo hanno spiegato tra gli altri da noi Luciano Gallino e in Francia Daniel Cohen – diciamo in sintesi: la finanza globalizzata apre la stagione di caccia al fagiano).

Per farla corta, secondo l’Economist quella croata è una delle peggiori dieci economie del mondo, assieme a Cipro, Ucraina, Libia, Costa d’Avorio ecc. E c’è da crederci, con pensioni mensili dell’ordine di 1400 kune, in euro duecento, mentre i prezzi aumentano sulla spinta dell’allineamento a quelli europei; con una disoccupazione attorno al 22%, che per i giovani straborda ben oltre al doppio, se non più – giovani che se ne vanno a sciami per cui l’adesione alla UE significa soprattutto la possibilità di andarsi a cercare una buona università e/o un lavoro e/o un ruolo sociale all’estero, meta privilegiata manco a dirlo la Germania. Ma quelli che qua restano, che fanno, come vivono, che dicono.

Senza alcuna pretesa di scientificità né tantomeno di completezza, ecco alcuni esempi. La mia padrona di casa, oltre ad affittare alcune stanze nei mesi estivi, coltiva anche pomodori, patate, peperoni, zucchine, cipolle, quindi l’uva e poi viene la stagione delle olive, e quasi ogni settimana prepara due pacchi di queste derrate alimentari spedendoli tramite la posta ai suoi figli, uno ingegnere a Rijeka (Fiume), l’altra architetta a Zagabria, e ne hanno bisogno, mi dice, non pensare che voglia intromettermi nella loro vita, ne hanno proprio bisogno.

Ho l’impressione che questo tipo di sostegno ai figli non sia un caso isolato, così come ai distributori di benzina si viene avvicinati da giovani ragazze che corrono a lavarti i vetri, e basta parlarci due minuti per scoprire studentesse di legge o medicina, maestre elementari, diplomate in belle arti che si guadagnano così qualche soldo con le mance.

Una mia giovane amica che lavora nel cinema, ha già ottenuto alcuni premi prestigiosi per i suoi cortometraggi, eppure occupazione pagata non ne trova, se non a giornata o, quando va bene, a settimana muovendosi in qua e in là per la Craozia da Rijeka a Zagabria, poi a Pola quindi a Dubrovnik e via cercando. Un altro amico, architetto di trentanni si vende, come dice lui, a giornata da uno studio all’altro quando hanno bisogno, sempre in nero è ovvio, e intanto fa progetti per concorsi che lo vedono arrivare regolarmente secondo, il primo è ammanicato. Perché la corruzione, il clientelismo e il nepotismo sono fenomeni onnipresenti nella vita pubblica, la permeano da capo a piedi.

Un altro amico più maturo, già migrante in Italia, ha inaugurato un bar “clandestino” nella stalla della casa colonica che suo padre gli ha lasciato. Apre dopo la mezzanotte e chiude all’alba, si beve quel che c’è – grappa e vino locali, birra e qualche coca cola per chi abbia gusti esotici – alla luce della luna, così sbarcando egli per l’appunto il lunario.

Senza raccontare altri episodi minuti, ci sarebbe ora da dire come questa difficile, a dir poco, situazione politica e sociale sia – in assenza di una decente sinistra – un brodo di cultura per il nazionalismo, che galleggia oscuro sul fondo della società, lo stesso nazionalismo che fu uno dei fattori dell’ultima guerra balcanica finita ufficialmente nel 1996, i cui segni e ferite sono ancora presenti, ma sarà per una seconda puntata. Essendo già stato troppo lungo, dal villaggio di Drace in Dalmazia, vi saluto.

 

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