L’inganno dei Green Bond

Il colosso francese dell’energia GDF Suez ha estratto dal cilindro un coniglio da 2,5 miliardi di euro. Sono i green bond, obbligazioni emesse nei mercati finanziari per permettere di realizzare progetti energetici e infrastrutturali rispettosi dell’ambiente.

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/07/Schermata-2014-07-23-alle-16.18.12.png[/author_image] [author_info]di Tancredi Tarantino. Coordinatore del programma Acqua presso l’associazione Re:Common, ha vissuto diversi anni in America Latina, lavorando nella cooperazione internazionale al fianco dei movimenti indigeni e contadini. Co-autore del libro La guerra dell’acqua e del petrolio, Edilet 2011, scrive di America Latina, multinazionali e grandi opere inutili e imposte in un continente in costante movimento.[/author_info] [/author]

articolo tratto da Re:common

30 luglio 2014 – L’obiettivo è quello di attrarre capitali da investitori attenti alla sostenibilità ambientale e sociale dei progetti finanziati. Ma cosa si intenda per “verde” non è dato sapersi. E così, tra le opere da finanziare con le obbligazioni green, Suez inserisce anche la diga di Jirau, un’opera mastodontica situata sul fiume Madeira, nello stato brasiliano di Rondonia.

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Il Paese sudamericano, impegnato in questi ultimi mesi a rafforzare l’alleanza dei BRICS – Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica – e a collocarsi tra le maggiori economie globali, ha fame di energia, e l’idroelettrico è certamente uno dei comparti su cui punta il governo guidato da Dilma Rousseff.

Con una potenza installata di 3.750 megawatt, 50 turbine e 47 torri alte quattrocento metri, il mega-sbarramento di Jirau proverà a far fronte a questo crescente bisogno di energia. Il progetto, insieme a quello per la costruzione della diga Santo Antonio, si inserisce in un più ampio programma regionale che dovrà rendere navigabili oltre 4mila chilometri del fiume Madeira, il principale affluente del rio delle Amazzoni.

Quando nel 2016 si concluderanno i lavori di costruzione, la diga di Jirau sarà la quarta più grande del Brasile. Ma è molto difficile sostenere che l’opera sia green. Al contrario, l’impatto sulle popolazioni locali e sul fragile ecosistema amazzonico sarà devastante.

L’elettrodotto lungo quasi 2mila chilometri attraverserà zone incontaminate e territori indigeni. Oltre 100 chilometri di terre fertili verranno inondate mentre la pesca si ridurrà sensibilmente a causa degli sbarramenti in cemento che impediranno ai pesci di migrare dal rio delle Amazzoni al Madeira e viceversa.

Saranno almeno 2.500 le famiglie contadine e indigene costrette ad abbandonare le proprie case. A rischio è anche la sopravvivenza di quattro popoli non contattati, gruppi indigeni che da sempre vivono quei territori rifiutando ogni contatto con la civiltà occidentale. Vivono di caccia e di pesca, sono seminomadi e l’Amazzonia occidentale, al confine con la Bolivia, è la loro casa.

Proprio dalla Bolivia è arrivata a più riprese una richiesta di sospensione dei lavori. Già nel 2006 il governo del paese andino inviò una nota ufficiale al Brasile, manifestando le preoccupazioni per la costruzione della diga.

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Ma da Brasilia non giunse nessuna risposta soddisfacente, tanto che l’anno successivo La Paz prese una posizione molto più netta. “Siamo in possesso di una serie di indizi che indicano la probabilità di gravi impatti ambientali ed economici per il nostro paese”, fu la nota divulgata dal ministero degli Esteri nell’agosto del 2007.

La grande opera, finanziata dalla Banca brasiliana di sviluppo BNDES, costerà oltre 8miliardi di dollari e sarà realizzata dal consorzio Energia Sustentável do Brasil, guidato appunto da Suez. Per far fronte a una situazione economica non proprio florida, nel 2013 l’azienda transalpina cedette il 20% delle sue azioni alla giapponese Mitsui, mantenendo comunque il 40% delle quote e, di conseguenza, il controllo sull’opera.

I green bond da 2,5 miliardi sono un ulteriore tentativo della corporation francese di far cassa con lo sbarramento sul fiume Madeira. Un tentativo maldestro che prova a travestire di verde un progetto energetico fortemente invasivo, in perfetto stile greenwashing.

 

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