Gaza, dove tutti morimmo a stento

Terminata l’operazione militare, ennesimo bagno di sangue inutile, si lavori alla pace giusta. Più di 2mila morti, perché tutto restasse come è da anni

di Christian Elia
@eliachr

 

28 agosto 2014 – Dopo 50 giorni di orrore si è conclusa l’operazione Protective Edge dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza. Il bilancio è lacerante: secondo dati raccolti da Global Voices le vittime palestinesi sono 2127. Tra loro almeno 500 bambini, non meno di 1700 civili. Tra gli israeliani sono state 67 le vittime, tra cui tre civili.

Un massacro peggiore di quello di Piombo Fuso, tra il 2008 e il 2009, quando sembrò che il confine della morale fosse stato superato in maniera inaccettabile. Invece, basta spostare la soglia della morale, ogni giorno, un po’ più in là.

Tra le macerie restano i festeggiamenti dei palestinesi di Gaza, per i quali ormai restare vivi pare diventato il senso di tutta una vita, le dichiarazioni di vittoria di Hamas e Jihad Islamica, le polemiche in Israele verso il premier Benjamin Netanyahu, accusato dai falchi di non aver terminato il lavoro.

 

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Che per alcuni falchi, pare, significa sterminare un popolo intero. Perché, come si è scritto in altre occasioni, di obiettivi da raggiungere non se ne scorgeva nessuno. L’orologio della vita nella Striscia di Gaza è stato riportato indietro nel tempo, al MedioEvo post Piombo Fuso, ma solo per la popolazione civile.

Hamas ha compattato l’opinione pubblica interna, come sempre durante e immediatamente dopo un attacco militare. Per Israele la rete dei lanci di razzi è stata danneggiata, le batterie sono arretrate, ma il pericolo non è scongiurato.

Le proposte contenute nella mediazione egiziana sono le stesse di sempre: estensione della zona marittima per i pescatori di Gaza, apertura dei valichi, permessi per la ricostruzione delle case. Bene. Ma ancora una volta, tutto questo sangue, a cosa è servito? Si tratta di misure minime di decenza, nulla di più, nulla che non potesse essere concordato e attuato senza l’ennesimo spargimento di sangue, senza l’ennesima distruzione cieca della quale nessuno chiederà conto a Israele, comprese le strutture pagate con i soldi della cooperazione internazionale.

 

NAVIGA GAZA WAR MAP, IL MULTIMEDIA CHE PORTA ALL’INTERNO DELLA DISTRUZIONE DELLA GUERRA

 

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Sempre più appare evidente che dal 2000 in poi, anno dell’avvento al potere in Israele di Ariel Sharon, l’unico progetto della classe dirigente israeliana è il congelamento dello status quo. Che finisce per legittimare l’esistenza di Abu Mazen, Fatah, Hamas e altri. Senza lasciare mai spazio alle energie della società civile palestinese.

I veri nodi gordiani dell’occupazione, quelli non si toccano mai. Questi massacri servono a rendere una tregua un risultato da portare a casa, questo sangue serve per essere imbiancato da concessioni che gli uni vendono come umane gli altri sventolano come vittorie.

Qui di vincitori non ce ne sono. E non ci saranno fino a quando non si parlerà dei confini, del muro che la giustizia internazionale ha condannato, dei profughi, del sistema di apartheid, dell’acqua, della terra, della libertà di movimento, dei prigionieri politici, della proclamazione dello stato di Palestina, della comunicazione territoriale tra Gaza e la Cisgiordania.

Oggi c’è poco da festeggiare. Perché quando restare vivi diventa il senso della vita stessa, il buio ha preso il sopravvento. Che da oggi si lavori a costruire una pace giusta, a ripristinare il diritto internazionale in una terra ferita. Tutto il resto è solo un apostrofo nero tra una bomba e l’altra.

 

 

 

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