Chiedimi chi era Korac

Una vecchia targa a Belgrado ricorda uno dei più grandi giocatori di basket della storia europea

di Christian Elia
@eliachr

15 settembre 2014 – Il campionato del mondo di basket va in archivio: Usa batte Serbia 129-92. La Serbia, erede di un pezzo di storia della pallacanestro jugoslava, si ferma a un passo dal sogno. Accadeva anche prima, ai tempi in cui la nazionale di pallacanestro jugoslava era una superpotenza, sempre battuta in finale, ma capace di incantare per talento e qualità di gioco. La Jugoslavia di Korac.

Il nome lo colleghi alla coppa europea di basket. La Coppa Korac, infatti, è l’equivalente cestistico della Coppa Uefa per il calcio, kermesse continentale di squadre che nella classifica dei campionati nazionali occupano le posizioni subito dietro coloro che vincono lo scudetto.

La Coppa Korac prende questo nome nel 1971. Perché? Per riscoprirlo può bastare un incontro, di quelli inattesi, come un’apparizione. A Belgrado la vita scorre veloce in Knez Mihailova, l’arteria pedonale del centro della capitale serba, polo magnetico dello shopping e dei caffè.

Un angolo, piccolo, che collega la strada principale a un crocicchio interno, è decorato da una targa. Un uomo, sorridente, con un pallone da basket in mano. Negli spicchi del pallone sono scritti i nomi di quattro città: Sombor, Belgrado, Liegi, Padova.

 

Radivoj Korac

 

Quell’uomo è Radivoj Korac, nato a Sombor, in Jugoslavia, nel 1938. Il basket come modo di vivere. Il suo nome è iscritto nella Hall of Fame del basket europeo, del quale è considerato uno dei grandi interpreti. Un talento che dopo i trionfi con BSK e OKK, due formazioni di Belgrado (con le quali ha vinto quattro scudetti e una coppa di Jugoslavia), Korac emigra in Belgio, nello Standard Liegi.

Nel 1965, durante una partita della Coppa dei Campioni, ha segnato 99 punti. Vince una Coppa del Belgio, prima di essere ingaggiato dal Petrarca Padova, formazione italiana all’epoca nella massima serie. Ma è nella nazionale jugoslava che affascina il mondo: 157 partite, 3.153 punti.

 

 

Argento alle Olimpiadi del 1968 a Città del Messico, due argenti mondiali, Brasile ’63 e Uruguay ’67, due argenti europei: Jugoslavia ’61 e URSS ’65 (oltre a un bronzo agli auropei in Polonia nel ’63).

Un eterno secondo? No, non è questo. Una storia che parla di un destino beffardo, nell’epoca degli squadron sovietivo e statunitense, la Jugoslavia trascinata da una formazione di campioni, che in Korac aveva uno dei suoi sommi poeti, terrorizzava le grandi potenze della pallacanestro. Sempre, però, inseguiti da un’ombra, un velo di malinconia, che portava per dieci anni quella squadra sempre a un passo dal sogno, capace di stare nel mezzo tra i due litiganti della Guerra Fredda, come faceva la sua guida, il maresciallo Tito.

 

radivoj-korac1

Ecco, Korac era il simbolo di quella squadra, dentro e fuori dal campo. Portando quel velo di malinconia nella sua vita privata, come un fantasma che ti segue nascosto dietro una colonna. Un fantasma che, all’improvviso, si è fatto vedere a Sarajevo, la notte del 2 giugno 1969. Apparendo di fronte ai fari dell’auto di Korac.

Una frenata, una sbandata, non si sfugge al destino. Korac muore e la federazione di basket della Jugoslavia decide che mai più nella vita si giocherà a pallacanestro in quella giornata. Da allora è finita la Jugoslavia, fatta a pezzi da conflitti sanguinosi, sono nate sette repubbliche indipendenti, ma cascasse il mondo il 2 giugno non si gioca.

Perché Korac, con i suoi tiri liberi infallibili, dal basso verso l’alto, il suo girarsi facendo perno sull’avversario, la sua tecnica superiore, erano un patrimonio condiviso, una storia jugoslava. Oggi resta una vecchia targa, per una bella storia, di quelle che a volte finiscono dimenticate. La Coppa Korac, per chi è nato dopo la tragedia di un uomo, oggi è solo un nome. Ma resta una storia malinconia e affascinante, quella di Zucko, il biondino, come lo chiamavano i tifosi.

 

 

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