Egitto, libero Alaa Abdel Fattah

Esce su cauzione, dalla prigione all’attivismo politico, una vita contro il regime

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/05/foto_Papers.jpg[/author_image] [author_info]di Giuseppe Acconcia, dal Cairo. @stradedellest. Giornalista professionista e ricercatore specializzato in Medio Oriente. Corrisponde dal Cairo per il Manifesto e fa ricerca per l’Università di Pavia. È laureato in Economia politica all’Università Bocconi di Milano con tesi sul movimento riformista iraniano. Ha conseguito un Master in Middle Eastern Studies alla School of Oriental and African Studies (Soas) di Londra con tesi sul ruolo dell’esercito in politica in Medio Oriente. Ha insegnato all’Università americana del Cairo e lavorato nella cooperazione euro-mediterranea. Ha pubblicato saggi, è autore de La primavera egiziana (Infinito, 2012) e Un inverno di due giorni (Fara, 2007).[/author_info] [/author]

17 settembre 2014 – L’attivista egiziano Alaa Abdel Fattah, insieme al fotoreporter Mohammed al-Nubi e a Wael Metwally, è stato rilasciato su cauzione. Il giudice ha dichiarato non valida una prova video, addotta dall’accusa come evidenza inconfutabile della sua partecipazione ad una manifestazione anti-governativa. Il video era stato duramente contestato iun aula dal suo avvocato, l’attivista per i diritti dei lavoratori, Khaled Ali.

Alaa, blogger e attivista socialista, è stato condannato a una pena di 15 anni di reclusione e al pagamento di una multa pari a 100 mila ghinee (11 mila euro) per aver partecipato a una manifestazione nel novembre scorso in violazione della legge anti-proteste. Alaa ha iniziato lo sciopero dopo aver fatto visita in ospedale al padre Ahmed Seif al-Islam, anziano avvocato che dirigeva il centro per la difesa dei diritti umani Hisham Mubarak, morto due settimane fa per una malattia cardiaca. Alaa appartiene ad una famiglia di noti attivisti egiziani di sinistra, inclusa la zia, la scrittrice Ahdaf Soueif, le sorelle Mona e Sanaa, quest’ultima in carcere dallo scorso giugno con le stesse accuse, e la moglie Manal, con la quale Alaa ha animato un blog sin dai primi giorni delle rivolte del 2011, raccontando le proteste dal basso.

Alaa è stato detenuto tre volte dall’inizio delle rivolte nel gennaio 2011 e ha spesso denunciato gravi episodi di tortura in carcere, a cui ha assistito direttamente. Allo sciopero della fame di Alaa si sono aggiunti il fondatore del movimento, messo fuori legge, 6 Aprile, Ahmed Maher, gli attivisti Mohamed Adel e Ahmed Douma. Allo sciopero della fame dei principali attivisti in prigione, si si sono unite oltre 130 persone, tra cui 15 giornalisti per chiedere la cancellazione della legge che impedisce ogni contestazione. Anche sette partiti politici, tra cui il liberale Dostour, Corrente popolare dell’ex candidato Hamdin Sabbahi, Alleanza popolare socialista, e il movimento 6 aprile hanno aderito alla protesta.

 

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L’attivista ha sempre stigmatizzato la politicizzazione del sistema giudiziario egiziano. In un’intervista, rilasciataci dopo l’arresto nel gennaio 2012, Alaa diceva: «La mia detenzione è parte della strategia repressiva dell’esercito». «Lo scopo dei militari è normalizzare l’uso della violenza, e insieme discreditare gli attivisti. È successo a me, succede a “6 Aprile”, agli attivisti per i diritti umani, ai socialisti, a chiunque appoggi la contestazione», continuava Alaa.

Un nuovo movimento di protesta «Dank» (in arabo avversità) aveva lanciato nei giorni scorsi una serie di proteste contro la legge che impedisce le contestazioni in tutto il paese. Il governo ha subito accusato il movimento di essere affiliato ai Fratelli musulmani. Il Qatar ha espulso nei giorni scorsi sette leader della Fratellanza, in esilio nel paese, dopo le pressioni esercitate da alcuni governi del Golfo.

Ma segnali di una lotta più pacata agli islamisti moderati sono emersi nelle ultime settimane in Egitto. Sono state commutate in ergastolo, o a venti anni di detenzione, le sentenze di condanna a morte per i principali leader dei Fratelli musulmani, in carcere dopo la strage di Rabaa al Adaweya, che lo scorso anno ha messo fine a un anno di presidenza islamista. Tuttavia, l’ex presidente Mohammed Morsi, in carcere dal luglio 2013, sarà processato, insieme ad altre decine di esponenti del movimento islamista moderato, anche per l’accusa di spionaggio con il Qatar, dopo le accuse di aver rivelato segreti di stato ad Hamas e all’Iran.

È ancora in carcere invece l’attivista, vicina al movimento operaio, Mahiennur el-Massry, condannata dalla Corte di Alessandria a due anni di reclusione, in seguito ridotti a sei mesi. Come se non bastasse, a conferma che nel mirino sono principalmente i movimenti giovanili, il ministero dell’Educazione ha annunciato la messa al bando di ogni attività politica all’interno degli atenei. La censura delle associazioni universitarie entrerà in vigore con l’avvio dell’anno accademico.

La Rete araba per i diritti umani (Anhri) ha duramente criticato la decisione definendola «una grave violazione dei diritti umani, delle libertà di espressione, a detrimento della partecipazione politica». I campus egiziani sono stati al centro delle proteste contro il colpo di stato militare del 3 luglio 2013. In particolare il dormitorio dell’Università al-Azhar, a due passi da Rabaa al Adaweya, è stato teatro degli scontri più cruenti tra islamisti e polizia.

Ma anche nel campus dell’Università di Ayn Shams si sono registrati duri scontri, morti e feriti negli ultimi mesi. Proprio piazza Nahda, dove sorge l’Università del Cairo, era stata scelta dagli islamisti per uno dei sit-in a sostegno della legittimità dell’ex presidente Mohammed Morsi, deposto dai militari ormai più di un anno fa. Per limitare il dissenso, gli atenei erano stati chiusi durante le elezioni presidenziali del maggio scorso che hanno incoronato Sisi nuovo presidente.

 

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