Srebrenica, le memorie disunite

Il governo olandese finanzierà la ricostruzione dell’edificio nel quale stavano i caschi blu olandesi durante il conflitto. Diverrà area museale. Per allestire la mostra si stanno raccogliendo, per la prima volta, non solo le testimonianze dei sopravvissuti ma anche quelle dei soldati olandesi. Contrarie le associazioni delle vittime

di Rodolfo Toè, da Osservatorio Balcani Caucaso

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8 ottobre 2014 – L’Olanda ritorna a Srebrenica, nell’ambito della seconda fase di realizzazione del Memoriale di Potočari. E lo fa proponendosi di ristrutturare i luoghi che ospitarono la base dei propri caschi blu, che fallirono nel compito di proteggere l’enclave quando, l’11 luglio 1995, le truppe di Ratko Mladić presero possesso della città massacrando circa 8.000 ragazzi e uomini bosgnacchi.

Il piano prevede il restauro dell’ex quartiere generale del Dutchbat e di due delle sue torri di osservazione. La stessa costruzione, in un secondo momento, verrà adibita a Memoriale, sull’esempio di quanto fatto in Olanda con il campo di Westerbork che, durante la Seconda guerra mondiale, fu un lager nazista ed oggi è stato restaurato e aperto al pubblico.

La vecchia fabbrica di accumulatori usata dal Dutchbat come quartier generale

La vecchia fabbrica di accumulatori usata dal Dutchbat come quartier generale

Attraverso il materiale informativo ufficiale è possibile capire meglio cosa preveda il progetto in questione. All’interno della struttura restaurata verranno ricostruite alcune stanze (tra cui quella del comandante del battaglione, Karremans) e organizzata un’esposizione permanente “sulla presenza internazionale a Srebrenica nel periodo tra il 1993 e il 1995” (quello che la città trascorse con lo status di enclave protetta sotto lo scudo dell’ONU). Vasto spazio sarà riservato “al rapporto particolare che si è sviluppato tra l’Olanda e Srebrenica dopo il 1995” oltre che “alle foto e alle dichiarazioni” dei veterani del Dutchbat (i quali avranno così un ruolo attivo nella realizzazione del progetto).

Gli ex caschi blu olandesi, questo si legge nella presentazione, “pensano sia importante che le proprie storie siano ascoltate e, molto spesso, si sentono ignorati. Anche se i sopravvissuti di Srebrenica possono avere una diversa visione riguardo a determinati eventi, la maggior parte di loro è convinta che le storie e le informazioni dei veterani del Dutchbat siano importanti, per ottenere una ricostruzione completa di quanto avvenne a Srebrenica”.

“Le vittime abbiano il controllo”

La maggior parte dei sopravvissuti di Srebrenica non nasconde remore e perplessità nei confronti del progetto, il cui scopo sarebbe dichiaratamente quello di “sviluppare, per quanto possibile, una narrativa comune” sulla caduta dell’enclave. Il rischio, secondo le associazioni delle vittime, è che questo possa rivelarsi l’anticamera per la riabilitazione del ruolo dei caschi blu. Secondo i portavoce dei familiari delle vittime esiste una sola versione di quanto accadde a Srebrenica nel luglio 1995, e in questa versione non c’è spazio per alcun tipo di revisionismo nei confronti dei militari olandesi.

Un concetto che è stato espresso con veemenza all’incontro di presentazione del progetto, il 12 settembre scorso. E che Munira Subašić, la rappresentante dell’associazione Madri delle enclave di Srebrenica e Žepa, ribadisce a Osservatorio: “Non abbiamo ancora preso visione di tutti gli elementi del progetto”, dichiara, “ma se esso deve essere un pretesto per un’apologia anche parziale dell’operato di Karremans, dei caschi blu o del governo olandese, noi non possiamo sostenerlo in alcun modo. Siamo disposti a collaborare, certamente, ma ciò non toglie che le vittime devono essere i soli controllori di quello che verrà realizzato nel corso del programma”.

Memorie divise

Certo l’idea di raccontare l’esperienza dei caschi blu nell’edificio che fu il loro quartier generale a Srebrenica, per quanto ambiziosa, rischia di esporsi facilmente a critiche e controversie. Ne è più che consapevole Dion van den Berg, che lavora in qualità di esperto al centro ‘Pax’, che dovrebbe essere tra i principali curatori della mostra: “Ci dissero che il progetto era stato approvato e fin dal primo momento siamo stati consapevoli che la nostra sarebbe stata un’impresa ardua”, confessa.

“L’Olanda si è costantemente impegnata per preservare il ricordo di quanto accaduto a Srebrenica”, ricorda Dion. “Un milione di euro è già stato investito in passato nella realizzazione del memoriale di Potočari, e un altro milione verrà impiegato per il progetto in questione”. E fornisce i dettagli della spesa, che non sono citati nei documenti della presentazione ufficiale: 750.000 euro verranno affidati al Potočari Memorial Center per ricostruire i locali del Dutchbat. Altri 250.000 verranno invece utilizzati per l’esposizione permanente.

“Al giorno d’oggi, non è facile parlare del ruolo che i soldati olandesi ebbero nella caduta dell’enclave”, riconosce Dion.

Non è certo semplice sostenere la loro estraneità ai crimini compiuti dalle milizie serbe nel 1995, e il fatto che – proprio anche attraverso il lavoro di Pax – si sia arrivati a scoprire una fossa comune all’interno del compound olandese non aiuta a perorare la causa dei caschi blu.

“Ma al tempo stesso”, secondo van den Berg, “occorre riconoscere che quanto avvenuto a Srebrenica è stata una catastrofe anche per l’Olanda, un trauma dal quale la nostra opinione pubblica non si è mai ripresa”.

Il governo olandese presentò le proprie dimissioni nel 2002, dopo che un’inchiesta dell’Istituto per la documentazione dei conflitti dei Paesi Bassi provò le responsabilità delle proprie truppe: male preparate, non equipaggiate a sufficienza e abbandonate sia dall’ONU che dal proprio governo. E molti veterani dovettero fare ricorso agli psicologi, per superare i fantasmi di quel luglio del ’95.

“Oggi parecchi ex soldati olandesi fanno abitualmente ritorno a Srebrenica, sono legati a questi luoghi e ai familiari delle vittime. Dal punto di vista personale, non c’è alcun problema, nessun rancore. Il fatto è che la questione della loro responsabilità ha molteplici livelli – individuale, militare, politico – e inevitabilmente finisce per essere controversa. Noi lavoriamo stabilmente con i veterani del Dutchbat, e spesso le due necessità – quella della riconciliazione e quella della giustizia – confliggono. Da questo punto di vista, per esempio, la sentenza che ha riconosciuto la responsabilità del governo olandese nel massacro di Srebrenica è stata un passo indietro. Molti veterani hanno smesso di collaborare con noi, alcuni di loro ora sono più restii a rivelare delle informazioni che potrebbero essere usate contro il proprio paese. Ma proprio per questo il nostro lavoro sarà ancora più prezioso: cercheremo di ricreare un dialogo tra veterani e sopravvissuti”. Creare una narrazione comune, riunire due memorie divise. “Sarà una bella sfida”, conclude Dion.

 

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