Egitto, democrazia militare

Un libro di Giuseppe Acconcia, Exorma editore, sull’eredità di piazza Tahrir

di Christian Elia
@eliachr 

12 novembre 2014 – Le parole sono importanti, in particolare per coloro che fanno i giornalisti. Giuseppe Acconcia, corrispondente de il manifesto dal Cairo, collaboratore anche di Q Code Magazine, è un giornalista che le parole le scegli in base ai fatti che guarda e racconta.

In questo senso l’Egitto di oggi non può che essere raccontato attraverso un passaggio chiave: colpo di Stato. Tutte le altre sfumature tattiche, i giri di parole, gli eufemismi e le metafore, le cinquanta sfumature di grigio di certe cronache non fanno onore agli autori. Questo è stato.

Arricchito, oltre che dal gran lavoro dell’autore, da anni residente al Cairo, dalla prefazione di Sonellah Ibrahim, Egitto – Democrazia militare è un libro necessario. Raccoglie due anni di testimonianze, fatti, personaggi, stragi, arresti, elezioni, proclami e aspettative. Un viaggio, a volte non chiarissimo a livello cronologico per chi non conosce bene la storia recente dell’Egitto, illuminante su quanto accaduto in uno dei Paesi chiave del mondo arabo e islamico, nonché dell’area mediterranea, dopo il 2011.

 

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La rivoluzione, piazza Tahrir. Un’icona che sbiadisce nel tempo, sbiancata da una contro rivoluzione violenta e totalitaria. In questo libro incontrerete gli spazzini Zabalin e i rapper, i Fratelli Musulmani e i militari, le confraternite sufi e i movimenti giovanili, la paranoia contro gli stranieri e i migranti, gli operai e i marinai, i beduini e gli integralisti del Sinai.

Un affresco affascinante, che disegna un Paese complesso e contraddittorio, che non è riuscito a dare un segnale univoco alla fine del regime di Mubarak. Perché i Fratelli hanno vinto quelle che sono forse le uniche vere elezioni della storia di questo paese, ma non hanno saputo capire che non potevano stravincere, perché la sinistra ha fatto fare il lavoro sporco all’esercito, senza capire che la repressione avrebbe colpito anche loro, perché i militari hanno interessi economici troppo grandi per lasciare il paese alla società civile.

Per tutti questi motivi è un libro da leggere. Fosse solo per le vittime di Rabaa al-Adaweya, uno dei più brutali massacri recenti, dove islamisti di campagna sono stati massacrati per strada, senza che il mondo ‘civile’ muovesse un dito o dicesse nulla.

Un libro da leggere, per capire quel che succede in un Paese della cui importanza (basti pensare alla questione palestinese) la stampa mainstream e la diplomazia internazionale sembrano non rendersi conto. Un libro che invita a non dimenticare quello che è successo, perché insegna una dura lezione: se non siamo pronti a indignarci per la violazione dei diritti anche di coloro che non condividono le nostre idee, abbiamo creato i presupposti per la nostra stessa futura persecuzione.

 

 

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