Mommy

Mommy, di Xavier Dolan, con Anne Dorval, Antoine- Olivier Pilon, Suzanne Clement. Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes 2014, ex aequo con Jean-Luc Godard.

di Irene Merli

 

6 dicembre 2014 – A 25 anni e alla sua quinta opera, l’enfant prodige del cinema canadese francofono firma un film sconvolgente, travolgente, devastante. Un pugno nello stomaco, come lo è sempre il troppo amore, ma di quelli così ben assestati che vorremmo riceverne di più, quando in sala si spengono le luci.

Die è un madre single, rimasta vedova tre anni fa, energica, eccessiva, sboccata, dal look appariscente e poco abituata a controllarsi. Il suo unico figlio, Steve, ha 15 anni ed entra ed esce dagli istituti perché soffre della sindrome da deficit di attenzione e iperattività. In pratica è sempre sopra le righe come lei, ma a un livello patologico: specie se è sotto stress, ha improvvise e incontrollabili impennate di violenza fisica e verbale.

 

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Die, la protagonista di Mommy

 

Quando l’ultimo istituto non può più tenerlo, Die decide di riprenderlo nella sua nuova casa, ma poco dopo l’arrivo del ragazzo viene licenziata e deve cercare di sbarcare il lunario tra colloqui, lavori persi e  problemi economici. Intanto i due, legati da un rapporto affettivo fortissimo anche se violento e fuori dagli schemi, conoscono una timida vicina di casa, Kyla, che soffre di una balbuzie psicosomatica.

Kyla, in anno sabbatico, si offre di aiutare Steve a studiare: forse non vede l’ora di scappare dalla sua casa silenziosa, da una famiglia che non si vede mai da dietro le finestre. E, se all’inizio sembra impossibile che una donna così remissiva possa sopravvivere al contatto con quei tifoni umani, tra i tre si crea invece una complicità di un calore immenso: si fanno forza l’un l’altro aiutandosi, chiacchierando, discutendo, ballando, bevendo e fumando. Tanto che il loro rapporto viene sigillato da un selfie, girato al rallenti.

Steve, però, è e resta il meno gestibile dei figli possibili: non sta mai fermo, salta, grida, fa smorfie,  dice un sacco di parolacce, se si arrabbia picchia e spacca tutto.

 

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Steve, il figlio di Die

 

In realtà, dietro tutta questa agitazione e questa violenza, si nasconde un ragazzo fragilissimo, che ha un bisogno esagerato della madre. Di quella  madre esplosiva, con cui comunica solo urlando tra punzecchiature e scenate, soprusi e slanci  d’amore.

La scena in cui le tappa la bocca con la mano e poi bacia il dorso di quella stessa mano che si frappone tra le loro labbra è di una forza e di un’intensità difficili da dimenticare.

Così come quella del karaoke, in cui Steve si esibisce in una stonata, ma sentitissima versione della bocelliana “Vivo per lei”‘ dedicata a Die, che però sta flirtando con un vicino di casa. Commozione, commozione pura, quei famosi pugni allo stomaco che il regista assesta da abile boxeur.

 

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Kyle, la vicina di Die e Steve

 

E fin qui non abbiamo parlato dell’ originalissimo formato del film, che è un 1:1, chiamato anche formato iPhone: si presenta come un rettangolo verticale, con un’altezza leggermente maggiore della larghezza, e non lascia vedere ai lati dell’immagine. un formato simile a una gabbia, a un letto a una piazza sola, anche se poi la fotografia di Mommy è patinata, luminosa e calda.

«Fin dall’inizio sapevo che avrei voluto girare il film in rapporto 1:1 perché e’ il formato originale del ritratto» ha spiegato Xavier Dolan.

«Volevo che lo spettatore si concentrasse sui volti, sulle espressioni, sugli esseri umani, che si evitassero le distrazioni. Volevo che fosse un film “occhi negli occhi”». Les yeux dans les yeux, come molto, molto spesso si guardano Stevie e Die. «Die – dice ancora Dolan – è una madre coraggio, un’eroina, un personaggio ricchissimo, una donna che vive un dilemma orribile con una grande forza e senza cedere mai allo scoramento». Sino a un finale tra strazio e speranza che non va rivelato neppure sotto tortura.

 

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Il selfie che celebra il rapporto tra Die, Steve e Kayla

 


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