Lebanese new wave

I Mashrou’ Leila in concerto a Napoli il 9 dicembre 2014 per la rassegna “Non troverai altro luogo non troverai altro mare” nell’ambito del Forum Internazionale delle Culture. L’intervista ad Hamed e Haig.

di Alessandra Abbona e Alessandro Ingaria foto di Alessandro Ingaria

8 dicembre 2014 – Hanno interrotto le registrazioni del nuovo album a Beirut per tornare in Italia, invitati dal Forum Internazionale delle Culture che si sta svolgendo a Napoli. Martedì 9 dicembre alle ore 21 i Mashrou’ Leila saranno in Piazza del Gesù Nuovo per terminare in bellezza una fortunata serie di concerti in Italia.

QCode ha incontrato i Mashrou’ Leila a Parma, dove si sono esibiti all’interno del Barezzi Live Festival. Nata nel 2008, quando i ragazzi erano studenti dei corsi di architettura e design dell’American University di Beirut, la band era inizialmente costituita da sette componenti (Andrè Chedid e Omaya Malaeb hanno lasciato il gruppo per proseguire la carriera di architetti).
Con il passare degli anni e con la scelta di fare musica come impegno costante, il loro numero si è ridotto a 5: Hamed Sinno alla composizione e voce, Haig Papazian al violino, Firas  Abu Fakher alla chitarra e tastiere, Ibrahim Badr al basso e Carl Gerges alle percussioni.

Hanno un’età media di 27 anni, poliglotti, con la classica allure internazionale tipica della Beirut  frenetica e stimolante che li ha visti nascere.

Di loro è già stato scritto e detto molto: del fatto che Hamed, il carismatico front man, abbia fatto outing e non nasconda la propria omosessualità, del fatto che riescano a far ballare le folle da Amman a Rabat passando per Parigi e Londra, del fatto che con qualche ingenuità li abbiano etichettati come la band della Primavera Araba (etichetta che loro rifiutano, come leggerete nell’intervista).

In quest’occasione abbiamo voluto parlare in particolare della loro musica e di quello che rappresentano oggi nella variegata scena musicale mediorientale, e che cosa significano anche per noi occidentali, abituati da troppo tempo allo strapotere della musica anglosassone.

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Varrebbe la pena anche approfondire i loro testi, che sono intensi, anticonvenzionali e potenti. Alcune loro canzoni, come Wa Nueid, un inno mesmerico alla resistenza in cui la voce di piombo di Sinno riesce ad entrare nelle viscere di chi ascolta, sono davvero penetrate nel linguaggio giovanile del mondo arabo.

Possiamo tenere gli occhi aperti mentre ci gettano sabbia e vedere ancora, rifiutare di mangiarci a vicenda e dire loro che non siamo affamati, scuotere la gabbia in cui siamo finché cadrà: dimmi, di che hai paura? Di’ loro che resisteremo, che sopporteremo l’inverno, perché la primavera verrà.

Al tempo stesso i Mashrou’ Leila affermano di cantare semplicemente del pop e di parlare di esperienze quotidiane e condivisibili.
Se condivisibile può essere una canzone come “Al Hajez”, ovvero “Al check point” in cui Hamed imita il tono vessatorio dei militari che fermano i passanti: “Ehi tu stronzo, dove stai andando?”. O la struggente ninna nanna amorosa “Shim el Yasmine”, “odora il gelsomino”, dedicata ad un amore perduto, un amore omosessuale in una società non propriamente tollerante. “Odora il gelsomino, assaggia la melassa, ricordanti di dimenticarmi. Avrei voluto tenerti accanto a me, presentarti ai miei genitori, cucinare per te, pulire la nostra casa, ma tu sei in una casa ed io in un’altra.. ricordati di dimenticarmi”.

Insomma i Mashrou’ Leila creano stupore, ma le loro melodie entrano dritte al cuore di chi ascolta. Che viva al Cairo come a Torino.

Parliamo dei vostri primi 3 album. A mio avviso il primo, “Mashrou’ Leila”, è il più cupo, notturno e con risonanze British indie; il secondo, “El Hal Romancy” è più folkeggiante, più arabeggiante, a tratti sembra più allegro. Il terzo, “Raasük”, è più morbido, si sente la produzione, è più dance ma anche con liriche piuttosto profonde. Poi avete fatto delle cover molto pop e commerciali. Dove andrete con il 4° album?

Hamed: Il nostro primo album lo abbiamo scritto quando avevamo vent’anni. Penso che suoni più serio e sobrio perché sembra più ad altre cose. Perché quando scrivi le tue prime cose cerchi di emulare artisti che ammiri. Ci sono molte influenze ovvie che richiamano altre band. Le varie canzoni hanno temi musicali diversi per ogni pezzo e ogni traccia sembra sia stato suonata in modo separato: questo perché non sapevamo ancora mettere insieme la nostra musica, eravamo in sette, ognuno scriveva la sua canzone. Per noi il primo album è quel tipo di lavoro che non ci rispecchia ancora completamente.

Il secondo album è ancora diverso: qui abbiamo cercato di trovare il nostro sound. Tra ogni album sono passati un anno o due e noi siamo cambiati molto. Ascoltiamo cose diverse, vogliamo provare cose diverse. Il secondo album è quello in cui abbiamo voluto provare a rappresentarci come eravamo e ci sentivamo. Ti  sembra più folkeggiante perché lo abbiamo registrato da soli e un po’ ovunque: in bagni, stanze da letto, in ogni luogo. È un disco un po’ selvaggio.

Con Raasük e la campagna #occupyarabpop abbiamo cercato di fare qualcosa di diverso e più grande, con una produzione e sound di alta qualità, che potesse competere con le grandi produzione e che potesse essere esportato.

Raasük è il nostro album più cupo, serio. La composizione risente della produzione. Ci siamo fermati per fare qualcosa di più serio. Abbiamo composto finalmente insieme e si sente.

Poi, come hai detto tu, cerchiamo di registrare anche delle cose più pop perché è per noi molto divertente. Ci piace suonare Toxic (una delle hit di Britney Spears, della quale i ML fanno una versione dai testi piuttosto spinti n.d.r.) e Get Lucky  (successo dei Daft Punk, che hanno recentemente riproposto in una cover molto ballabile con Nile Rodgers, nel programma tv Coke Studio in Libano, e che ha avuto una risonanza enorme anche in Occidente n.d.r.) e ci diverte e di trasformarle nella nostra lingua, avvicinarle al nostro stile. E’ un esercizio interessante.

Con il quarto album stiamo appena abbozzando idee e non sappiamo ancora dove stiamo andando. Ognuno tira in varie direzioni, a volte volgiamo al pop, altre volte al rhythm & blues, altre all’elettronica hard core. Ognuno di noi tira in una diversa direzione a seconda dei gusti, delle diverse influenze. E anche per i testi non sappiamo ancora.

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Come componete la vostra musica e i vostri testi?  

Hamed: È un diverso processo ogni volta. Può essere prima la musica o prima i testi. In questo caso, con questo quarto album viene prima la musica. Per me è un bell’esercizio perché devo concentrarmi sulla musica e sulla melodia e scrivere facendo riferimento alla musica. Normalmente io faccio dei vocalizzi senza senso su una linea melodica. Non ci sono testi all’inizio. Lavorare sulla melodia mi costringe a lavorare su una struttura. Devo tenere presente l’orecchiabilità.

Ci troviamo ogni volta che ci viene un’idea, proviamo gli accordi,e poi il suono per i vari strumenti. Iniziamo a provare, giriamo in circolo: quando qualcosa ci piace lo teniamo e qualcosa magari dopo un  po’ lo troviamo orribile e lo cambiamo. Insomma, così.

Haig: Cosa è cambiato dal primo album ad oggi? All’inizio arrivavamo con idee e accordi diversi. Arrivavamo con idee di base, con semplici accordi e cercavamo di capire dove andare. Oggi lavoriamo più insieme.

Hamed: Spesso cerchiamo il mood di una melodia. Troviamo qualcosa che ci piace in qualche canzone che sentiamo alla radio. E vogliamo provare a prendere qualche cosa da questa canzone e trasportarlo nella nostra melodia. Sette anni dopo siamo in evoluzione, stiamo cambiando. Ci sono molte persone coinvolte. Non possiamo stare fermi. Siamo cambiati, siamo molto più flessibili.
Haig era a Londra per il master, Ibrahim era a Zurigo per lavoro. Abbiamo lavorato molto via e-mail e abbiamo dovuto usare molto di più il software per la scrittura, ci sentivamo così,  scambiandoci le idee e tutto è diventato più digitale. Così nasce il  nuovo sound.

La vostra musica contiene qualcosa di déjà vu, familiare, che raggiunge ogni audience. È il vostro segreto? Ne siete coscienti? Le vostre melodie rimangono in testa appena le senti. Sono semplici, ma arrivano direttamente. Che ci dite in proposito?

Hamed:  Sì, ce ne rendiamo conto: anche se all’inizio per noi era una sorpresa, per esempio questa primavera quando abbiamo suonato a Firenze con il pubblico c’era un feeling incredibile. Ma alla fine siamo coscienti che cerchiamo di fare della musica semplice, non è un déjà vu, ma un modo  di scrivere della musica che sia legata ad un’immagine che abbiamo in mente; ci creiamo una visione, con un certo tipo di motivo, di strumentazione, che per noi è comprensibile e che ha un rimando in chi ci ascolta. Non è solo emulare qualcosa, ma è quello di usare pastiche con riferimenti a certe situazioni, certe sensazioni, intervalli di accordi simili, altri esperimenti musicali.

Haig: E inoltre possiamo ispirarci e imparare da tantissimi artisti, c’è un archivio enorme di musica che è stata scritta dall’inizio della storia a cui attingere: dalla classica alla contemporanea fino al pop, al folk rock, all’underground. Noi cerchiamo di sezionare alcune canzoni o melodie che ci piacciono. E vedere come funzionano, e quale è il loro segreto. All’inizio, nel nostro primo album, non eravamo consci di questo fatto, di come la gente fosse attratta dalla nostra musica. O di come reagisse. Ma con gli album successivi abbiamo capito cosa funzionava in certe canzoni o nelle performance, e come le versioni diverse che ne facciamo dal vivo possano suscitare diverse reazioni e emozioni.

Hamed: Ci sono due fattori. Primo, noi siamo ancora molto giovani come musicisti. La maggior parte dei musicisti sono cambiati negli anni, e ci sono voluti anni per capire come funzionava la musica.

La seconda cosa: noi siamo sempre stati d’accordo sin dall’inizio che volevamo fare musica pop. Certo volevamo farla in modo diverso, non volevamo essere una boy band, ma volevamo fare musica pop. Ovvio, anche quando sembra grunge, dark, o heavy , è sempre pop. Ecco, questo è quanto. Insomma non vogliamo fare musica alla Stockhausen. Non siamo interessati a fare musica così.

Con questo nuovo album vogliamo essere persino più pop che nei precedenti, perché per noi è più divertente. E più registriamo, più iniziamo a fare cose più pop, ma al tempo stesso meno accessibili di quanto abbiamo fatto prima: sia negli arrangiamenti, sia nei testi, nel tipo di suono. Ma si tratta di un processo strano: una parte più pop e una più difficile. Sembra che si vada in due direzioni opposte.

 

video a cura di Alessandro Ingaria

 

I vostri background diversi hanno influenzato la vostra musica, cosa c’è di diverso e cosa di simile tra voi?

Haig: Certo, abbiamo avuto educazioni diverse, diverse culture e influenze, ma avendo passato sette anni insieme siamo diventati più vicini l’uno all’altro, ognuno di noi ascolta musiche diverse e ora condividiamo molto, ci suggeriamo cose da ascoltare, sentiamo molte cose e ne parliamo. Funziona così: questo ci ha influenzato molto.

Hamed :  Per certi versi siamo persone molto diverse tra noi. E lo vedo ogni volta che scriviamo. Il nostro ideale estetico è diverso, qualcuno pensa che io faccia cose troppo arabe con la mia voce, ma questo dipende dal fatto che sono cresciuto in una famiglia musulmana, nel mio quartiere si sente la preghiera cinque volte al giorno. Siamo diversi, ma ci somigliamo molto anche se le origini sono molto diverse. Siamo diversi, ma portiamo i nostri contributi, variazioni sullo stesso tema. Lo vedo anche nella nostra musica, lo vedo nella mia voce, nel violino: è un processo altalenante. Però io non sono “ il musulmano” per  la mia voce o lui è “l’armeno” con il violino!

Avete avuto una formazione musicale?

Hamed: Alcuni di noi sì. Per esempio Haig ha frequentato il conservatorio per alcuni anni. Gli altri hanno preso lezioni private. Io non ho studiato musica, ma sono stato corista in un coro. Ad  oggi è l’unica cosa che ho fatto, sono indietro con la teoria, sto cercando ora di rifarmi, provo a suonare, a fare degli accordi.

Ora siete visti come un fenomeno esotico e originale: in qualche modo in Occidente rappresentate qualcosa di positivo che viene da una parte del mondo dove i media occidentali dipingono solo guerra, conflitto, violenza e dal quale riceviamo solo notizie negative. Ne siete coscienti?

Hamed: E’ una cosa complicata. I media occidentali semplificano il Medio Oriente e spesso vengono fuori con definizioni molto riduttive su cosa è il mondo arabo. É persino ridicolo come ci definiscono come la voce della Primavera Araba, non capisco perché semplifichino così. La Primavera Araba è un fenomeno complicatissimo. Non ha senso prendere una band araba e definirla così. E succede specialmente per il mondo arabo, nessuno si sognerebbe prendere per esempio Beyoncè e definirla la voce dell’America no? Non è così. Ma succede agli europei, agli americani.
Non ci piace ed è imbarazzante. Ma al tempo stesso siamo anche grati a questa celebrità. Facciamo in modo che la gente veda anche altri lati della medaglia, ma non siamo gli unici, c’è pieno di gente che fa cose in Medio Oriente, la maggior parte sono persone moderate, non sono quelli che si fanno saltare per aria come fanno vedere in tv. È importante che la gente veda questo, ma al tempo stesso non possiamo parlare a nome di una intera regione.

 

 

Quando influenzate la cultura giovanile della vostra regione, e come la vostra cultura vi influenza?

Hamed: Credo che sia impossibile, specialmente con la musica, non essere influenzati dalla propria cultura. La musica ha una relazione con il rumore, come si definisce il rumore è molto parte della propria cultura.
Gli stessi rumori di un bar di Beirut non sono quelli di un bar italiano. I suoni delle strade sono diversi e questo si relaziona anche a diversi tipi di musica. Non puoi staccarti dalla tua cultura. Siamo cresciti in un certo luogo, in un certo tempo e in diverse famiglie. Quando scriviamo musica è un’estensione di come siamo noi. Non si sfugge da questo. Siamo un prodotto della nostra cultura.

In riferimento al cambiare le cose, non è solo la musica, ma ogni tipo d’arte che incide. Ogni modo di interpretare la realtà, ogni modo di reagire alla vita di tutti i giorni, alla politica: tutto questo sviluppa cambiamenti. La musica è parte di questo processo, ma ogni tipo di attività avrebbe la stessa influenza.

 

 

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