Il ritorno di Šešelj

Serbia: torna a Belgrado il leader dei radicali, sotto processo all’Aja per crimini di guerra

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/06/Schermata-2013-06-15-alle-20.39.17.png[/author_image] [author_info]di Francesca Rolandi. Storica, ha portato a termine un dottorato in Slavistica e si occupa di studi sulla Jugoslavia socialista. Ha vissuto a Belgrado, Sarajevo, Zagabria e Lubiana e ha provato a raccontarle per PeaceReporter, Osservatorio Balcani Caucaso, Cafebabel e Profili dell’Est. Attualmente vive tra Fiume e Milano [/author_info] [/author]

19 dicembre 2014 – Uno spettro che ritorna da un passato, questo sembra Vojislav Šešelj, capo del Partito radicale serbo scarcerato dal Tribunale dell’Aia, dove è sotto processo per crimini di guerra e contro l’umanità, per motivi di salute a metà novembre.

Il cancro che lo sta consumando non gli ha tolto la combattività e Šešelj ha fatto irruzione sulla scena politica serba come un ciclone, riportando alla luce l’estremismo grande-serbo e i miti guerrafondai degli anni novanta e rivendicando le azioni delle milizie paramilitari serbe durante le guerre di Croazia e Bosnia Erzegovina.

A pochi giorni dal suo ritorno ha riempito piazza della Repubblica a Belgrado per un comizio davanti a circa 5mila persone in cui ha gridato al vittimismo – il tribunale dell’Aia ha condannato solo serbi –, al tradimento – dell’attuale governo diventato schiavo degli americani – all’alleanza con la madre Russia.

La presenza scomoda di Šešelj in Serbia ha immediatamente avvelenato i rapporti con i vicini, portando all’annullamento di una visita del presidente croato Milanović in Croazia e a dichiarazioni allarmate in Bosnia Erzegovina, raggiungendo proprio gli scopi che il vecchio agitatore si era proposta.

 

 

Ma anche le relazioni con l’Unione Europea, in altri contesti premurosamente coltivate da Vučić – che addirittura si era pochi mesi prima assunto la responsabilità di assicurare un normale svolgimento del Pride a Belgrado per contentare Bruxelles – stanno attraversando un momento di crisi. Agli appelli del Parlamento Europeo indirizzati sia al Tribunale dell’Aia di rivedere la scarcerazione di Šešelj, sia al governo serbo di prendere le distanze dalle dichiarazioni di Šešelj, Vučić ha replicato piuttosto aggressivamente, sostenendo che tali richieste offendevano la Serbia e negando alcun filo conduttore tra le dichiarazioni del leader del partito radicale e la politica governativa.

E il problema è stata infatti la mancanza di reazione alle dichiarazioni incendiarie dell’ex rais serbo. Sebbene quest’ultimo non sia stato affatto tenero con i suoi ex sodali. Anzi, uno dei suoi primi obbiettivi dichiarati, tornato dall’Aia, erano Vučić e Nikolić, rispettivamente primo ministro e presidente della Serbia, accusati di essere dei traditori per aver traghettato il Partito radicale, del quale erano militanti storici, dalle posizioni estremiste delle origini fino a una collocazione di centro-destra, il che fu una premessa per la loro conquista del potere nel 2012.

In un’intervista rilasciata alla stampa il secondo giorno dal suo arrivo in Serbia, Šešelj ha raccontato, nel suo macabro stile, di avere ribattezzato con i nomi di Vučić e Nikolić le metastasi del suo fegato e di non avere alcune intenzione di tornare all’Aia di sua spontanea volontà; piuttosto, ha aggiunto, si sarebbe goduto lo spettacolo di vedersi arrestato e consegnato da coloro che furono i suoi più stretti collaboratori nei crimini di guerra e contro l’umanità di cui è imputato.

L’irruzione di Šešelj sulla scena politica serba ricorda che la distanza che ci separa dagli anni ’90 non è poi così ampia. Tuttavia, quanto la regione sia ancora avvelenata dallo sciovinismo nazionalista è dimostrato forse ancora più da un piccolo episodio che ha sollevato un polverone, di cui è stato protagonista il noto presentatore serbo Ivan Ivanović.

Ivanoviv, durante una trasmissione, ha fatto dell’umorismo sulla presunta precocità delle gravidanze tra le adolescenti bosniache, una frase che è subito rimbalzata sui media bosniaci richiamando gli stupri subiti dalle donne bosniache durante il conflitto. Il presentatore, che ha alle spalle un discreto curriculum di battute xenofobe, ha impiegato cinque giorni, durante i quali è stato aperto un procedimento dall’Agenzia regolamentatrice per le comunicazioni bosniaca, per scusarsi, sostenendo di essere stato frainteso. Quanto Šešelj parla ormai agli estremisti, tanto Ivanović rappresenta la banalità dello sciovinismo, quello del vicino di casa, che per questo è ancora più inquinante.

 

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