Le piccole cose che fanno le donne

Cecilia Soncini, nata a Parma, staffetta partigiana. La sua storia confluirà nel libro Siamo tutti partigiani, che sta nascendo da una sottoscrizione popolare

 

Immagini e racconto di Centro studi movimenti

 

27 dicembre 2014 – «Al principio dell’estate 1944 Cecilia Soncini aveva quasi 32 anni, era nata nei borghi popolari della città, come tante altre donne, più o meno giovani, che come lei in quei mesi avevano preso contatti con la rete clandestina.

Scansiona - CopiaContatti per fare “piccole cose” – come tutte quelle donne hanno sempre raccontato – portare un biglietto, nascondere una pistola o qualche ricercato, cucire calze di lana e camicie, fingere di essere la moglie di qualche detenuto per poterlo incontrare ai colloqui e informarlo di quanto avveniva fuori dal carcere.

Insomma le “piccole cose” che le donne avevano sempre fatto, occuparsi degli altri, averne cura, ma che nel pieno di quella guerra diventarono cose molto più grandi, soprattutto perché animate da una scelta di campo, né naturale né scontata».

La storia di Cecilia Soncini è una delle tante che confluiranno, nel Settantesimo anniversario della Liberazione, nel libro Siamo tutti partigiani, che il Centro Studi Movimenti di Parma sta curando e producendo grazie a una sottoscrizione popolare. L’idea del progetto è costruire in modo collettivo una ricerca storica sulla guerra e sulla Resistenza nel parmense, valorizzandone anche gli aspetti etici, sociali e culturali.

 

 

«Anche Cecilia, dunque, scelse da che parte stare e molte delle sue giornate, prima o dopo il lavoro, le passò a correre di qua e di là, con biglietti infilati in fasce strette intorno alla vita, o armi nascoste sotto la frutta, in borse col doppio fondo. Era una “staffetta”, come si chiamavano allora quelle donne che pedalavano tra la città e la montagna cariche anche di informazioni, ordini, direttive e relazioni che i comandi e i comitati di città inviavano alle brigate e ai distaccamenti partigiani».

«Nell’estate del 1944 ce n’erano diverse di donne che, anche a Parma, facevano come Cecilia, che macinavano chilometri e chilometri in bicicletta e passavano intere giornate fuori casa, sole e in mezzo alla guerra.

Talvolta, poi, capitava di fermarsi in montagna anche la notte, e di dormire insieme alla banda degli uomini armati, con riguardo – certo – al pudore femminile, ma in situazioni pur sempre promiscue che non piacevano molto al sentire diffuso nell’Italia del 1944. Era meglio rincasare, una donna in mezzo a tanti uomini non stava bene, si sollevavano le voci.

Ed era meglio non raccontare troppo in casa di quello che si stava facendo, meglio non destare preoccupazioni, meglio che madri e padri non sapessero, anche perché i fascisti, quando non trovavano i ricercati, erano soliti rifarsi su di loro».

 

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«I viaggi, talvolta, erano lunghi, difficili, pesanti. In inverno, quando la neve era troppa, bisognava andare a piedi. E non era scontato che tutto filasse liscio. Ai piedi delle colline, infatti – a Pilastro o a Bannone – molto spesso bisognava superare i posti di blocco della Brigata nera e delle donne ausiliarie della Rsi – “quelle della morte”, come venivano chiamate per il teschio che portavano in effigie sull’uniforme – che a volte perquisivano da capo a piedi.

E addosso si aveva sempre qualcosa, armi, vestiti, bigliettini e anche lasciapassare partigiani che servivano per attraversare le zone controllate da distaccamenti o brigate diverse. Il movimento partigiano, infatti, era cresciuto, in molti avevano preso la via della montagna e non tutti più si conoscevano…»

La storia di Cecilia continua, insieme a molte altre, nel libro Siamo tutti partigiani, in uscita ad aprile 2015.

 


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