Colonna destra: Angelo Miotto

La colonna destra dei siti mainstream italiani è il trionfo dei click e la morte del contenuto in rete. Dai castori che ballano alle anatomie dei corpi esibiti in finti servizi rubati.

Q Code Mag affronta la sonnolenza postprandiale che caratterizza alcune date clou di queste feste, o il senso dilatato delle giornate natalizie e di inizio anno, con una carrellata di consigli fra lettura, video, cinema, facezie o spunti per svuotare la scatola cranica. O riempirla di contenuti di quel bellissimo concetto dei nostri avi, che veneravano l’otium come occasione di crescita personale

di Angelo Miotto
@angelomiotto

31 dicembre 2014 – Questa colonna destra si può leggere e ascoltare tutta insieme. Oppure un brano per volta. O due su tre. Il primo, il secondo, il terzo e il primo, insomma, questa colonna destra è come vi pare. Il gioco però è chiaro: far partire subito la musica e poi leggere. Perché è lo stesso procedimento che adotterò per scrivere. Funziona? Proviamo. Alla fine del post vi dico come è andata.

1. Federico Mompou, Musica Callada, Primo quaderno.
“Una voce che tace mentre la solitudine si fa musica”

Guarda il mare dal’alto di un monte che si frantuma a scogliera. E lontano è il sole che si tuffa nell’infinito, mentre pensa al volo e alle nubi che aveva accarezzato con quelle ali novelle, felice dono di qualche dio straniero. Ma poi. Ma poi la nostalgia di mettere quei piedi per terra e le ali gettate, in volo anch’esse, fin sotto. Cadute con lui, il corpo veloce, le ali a seguire, un tuffo dentro l’acqua che sveglia di colpo come in un sogno interrotto. La riva è guadagnata e ora soltanto quella tremenda malinconia dell’aria, mentre il tramonto muore. Si rialza, corre sull’erba.

 

 2. David Lang, Child, Sweet Air, eseguiti da Sentieri selvaggi

Striscia nell’erba e poi sale su un tronco, mentre una pantera alza le zampe posteriori e graffia un tronco centenario i baffi all’aria, vibrisse che vibrano. Striscia e si alza, il serpente, e un suo simile lo ragigunge e ora in due si dimenano a ritmo e ballano, s-sinuosi, s-sinuosi, s-sempre più, ondeggiano come s-scossi da un ritmo inesorabile che non lascia via di s-s-scampo, intanto alle loro s-spalle arriva una scimmia che li guarda e si gira e chiama una sua amica che chiama un’ altra scimmia e insomma come quella volta del filo e dell’elefante, la cosa si fa interessante ed ecco che due serpenti e una pantera e tre scimmie, l’elfante è stupito e non se la fa certo scappare questa piccola festa che scuote la foresta, ma di colpo ecco un rumore di rami rotti e dal folto della foresta sta per accadere qualche cosa, tutti trattegnono un po’ il fiato, s-solo un s-serpente si ferma perché è s-sordo e l’altro vorrebbe dar di gomito, ma gomiti non ha. Il leone, eccolo, scuote la chioma e incede maestoso con la coda che si gira di qui e di là, ma nessuno è spaventato perché questa musica è forte, ragazzi, e ora due s-serpenti, tre scimmie, una pantera, un elefante e un leone che danzano di qui e di là, di qui e di là, e la musica si parge per ogni filo d’erba e passa atrtaverso le liane e i tronchi, striscia e vola e arriva anche con passo sincopato e molleggiato la gazella che saltella e fa certi voli in aria, perbacco, che anche l’avvoltoio non può non vederla e attratto da quella melodia vola in circolo, poi a otto, poi disegna un sedici e poi cade con un leggero cerchio alla testa in mezzo ai s-serpenti, alle scimmie, al leone, alla pantera e l’elefante e la gazzella salta sempre meno, i s-serpenti ora si mettono a s-s-strisciare, la pantera si cheta e il tronco lascia stare, il leone riguadagna la foresta, l’elefante s’apre un varco e il condor, ovviamente, pasa.
E così come è inziato ora tutto è dolcemente finito.

 

3. Aram Khachaturian – “Waltz” from the 1944 Masquerade Suite

 

(Tacet, poi…) Megafono bianco a strisce rosse e tutti in pista, non è un invito, signori, si balla, forza signori, un-due- tre, un-due e tre, un-due-tre, un- due e treee… siete prooonti!

Volteggia, gira la gonna, volteggia il damerino e si balla come se un domani non ci fosse e il bicchiere là ci aspetta su quel tavolino, due vodke ghiacciate da ingollare  per poi tornare qui a ballare.

Sentite me, signori, io me ne intendo, di serate così ne ho viste che voi non immaginate, di uomini e donne e uomini e uomini, e donne e donne, nascosti che volteggiano per dimenticare, per ridere e gustare e pensare che la morte potranno sbeffeggiare. Perché all’inizio, signori miei, sì sembra quasi una ricompesna delicata, questo girare e girare e girare su questa musica che ti prende e ti strizza e ti spinge e sempre di più ti pervade fin dentro all’ultimo centro nervoso che muove le tue gambe, i polpacci, le caviglie, i piedi dentro le scarpe insesorabilmente strette. Si scaldano le suole, il tacco fa scintille mentre allargo un poco il tempo per prender fiato e ricominciare a tracciare una circonferenza ormai esausta. E poi. E poi un-due-tre un-due-tre coraggio più veloci, chi vince ancora un giro poi si leva sopra il palco e potrà vicino a me danzare.

Tacco punta, gira, gira e non pensare, guardala negli occhi e sorridi con quel trucco da giullare, le labbra rosse e ciglia a circonflesso mentre lei con un sorriso tutto denti e occhi cavi ti sorride, “Ma che mano affusolata che hai, cara”, dici tu e lei ride con quell’alito da tomba e le falangi ti stringono ancor più stretto con pallido riflesso osseo. Squillano le trombe, taratatàààà e leggiadri ora! Con un passo veloce, ma leggiadri, come in una promenade in bel giardino della reale reggia, quando venite da schifose topaie puzzolenti o mezze case da classe media decaduta, postriboli e casse ormai ammuffite, ma questa sera è tutta vostra , non finisce, e adesso piano, piano, poi più forte e adesso cantatela la musica che sgorga da quest’orchestra che mai si cheta e sempre suona, anche quando sembra finita la sentirete ritornare con il suo un-due-tre un-due-tre e sarà così per sempre perché siete condannati a ballare come criceti a correre dentro una ruota, ma almeno qui la musica è favolosa, fa-vo-lo-sa, signori miei, che vi stavo dicendo!

(si getta al centro della pista)

Questa non è una condanna, questo è uno stato di grazia  – dite grazie, sorrideteeee, cheeese –  e sentite questi violini come urlano, come cantano, come cedono e poi ricominciano a ondate e ora, ora cantate con me: “Contento son di stare, sempre qui a ballare e se per sempre sarà, mai mi lamenterò”. Ritornello! Bello? No? Avanti! Ancora! Con tutto quello che avete combinato nella vostra povera vita questo mi sembra davvero il minore dei mali. Fan male le gambe? Scricchiolano le caviglie, crampi al braccio per portar la dama come si conviene? Nulla da fare, non ci si siede, i bicchieri rimangono là tutti appannati dal ghiaccio di quell’amabile liquore che vi chiama e che non berrete, non ora, dicevo già cent’anni fa’. Non ora, ripetevo già mill’anni… Non ora! Non ora,  dicevo nei secula seculorum, perché io son qui da un tempo che dire un’eternità sarebbe quasi una battuta e la mia pena vo’ scontando mentre stimolo il girone. Sempre attaccato al tubo la mia voce sento miagolare e arrivare fin dentro le vostre cortesi e aguzze orecchie, e voi non vi fermate, anzi adesso gli occhi chiudete e immaginate un prato e pratoline che sbucano ai caldi raggi del sole, ma attenzione che adesso corron conglietti leggiadri e si nascondon dietro cespugli di viole, che bellezza, e piccoli uccellini cinguettanti, che cariiiini, che si posano su rami di pesco in fiore e petali che cadono leggiadri e uno stuolo e fan tappeto per la nostra cerimonia danzante e poi… ma poi, cosa si sente da lontano brontolare?

Sembra quasi come un piccolo rombo che cresce e cresce e cresce e piano poi sembra allontanarsi lontano oltre le nubi, ma eccolo che torna e ancora, ancora prepotente insiste e torna e si avvicina, i coniglietti son gelati, freddati, morti e stecchiti, le viole appassiscono rinsecchite, gli uccellini sterminati, i petali marciti e putrescenti e con un grande sospiro della vostra dama tutto il paesaggio diventa grigio e piano scompare e rimanete voi a volteggiare e io a parlare e a ballare questa musica che mai si spegne e anche quando sembra che succeda tutto immobile resterà, qui, fino al repeat!

Il  paesaggio diventa grigio e piano scompare e rimanete voi a volteggiare e io a parlare e a ballare questa musica che mai si spegne e anche quando sembra che succeda tutto immobile resterà, qui fino al Repeat! Qui, Repeat! Repeat! Il  paesaggio diventa grigio e piano scompare Repeat! Qui! E rimanete voi a volteggiare. Repeat! E io a parlare. Qui! E a ballare questa musica che mai si spegne e anche quanso sembra che succeda tutto immobile resterà, qui fino al Repeat! Qui! Repeat! Repeat!
Olé.

 

 *     *     *

 

Risultato:

Scrivere mentre la musica scorre è un vero equilibrismo: le idee vanno veloci, ma le dita, anche se abituate e fallose nella velocità (si aggiusta dopo), non reggono il flusso di pensiero che viene continuamente stimolato dalle onde sonore. La cosa è particolarmente evidente ai miei occhi per il primo esempio. Finito di leggere sono ancora a metà brano, ora che lo riascolto.

Il secondo, meglio.

Il terzo, ammetto che sedotto dal flusso di pensieri l’ho riascoltata due o tre volte, quindi è il testo che fa meno, appunto, testo.

Comunque, mi son divertito. Così spero per voi.

 


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