Colonna destra: Enrico Sibilla

La colonna destra dei siti mainstream italiani è il trionfo dei click e la morte del contenuto in rete. Dai castori che ballano alle anatomie dei corpi esibiti in finti servizi rubati.

Q Code Mag affronta la sonnolenza postprandiale che caratterizza alcune date clou di queste feste, o il senso dilatato delle giornate natalizie e di inizio anno, con una carrellata di consigli fra lettura, video, cinema, facezie o spunti per svuotare la scatola cranica. O riempirla di contenuti di quel bellissimo concetto dei nostri avi, che veneravano l’otium come occasione di crescita personale.


 

Nella tiepida letizia diffusa dei festeggiamenti natalizi, mentre siete sulle piste da sci o avete comode le gambe sotto l’ennesima tavola imbandita, voglio parlarvi della morte.

Bene, ora che a leggermi siete rimasti in due, possiamo cominciare.

morteProbabilmente lo sapete già, ma rispetto alla morte abbiamo in sostanza due strade possibili: far finta che non ci sia (e fino a un certo giorno sarà effettivamente così) oppure tenerla a mente in ogni momento, come fa il nuotatore incerto con la boa che segnala l’inizio del mare aperto. La maggior parte di noi (anche solo di noi tre, adesso, qui su questa pagina) sceglie in genere una soluzione intermedia, una sintesi squisitamente umana che di solito consiste nel riporre la morte in un cassetto del subconscio, da aprire solo in certe situazioni molto tristi, oppure nel gestirla sbeffeggiandola con le superstizioni o superandola d’anticipo con l’esercizio (o il rifiuto) di una qualche fede.

Comunque sia, il nostro approccio dipende anche dalle persone che incontriamo o perdiamo e -in certe fortunatissime circostanze- persino dall’arte. Quest’ultimo è di fatto il mio caso: in un dicembre nemmeno tanto remoto, sprofondato nella solitudine gloriosa e muta della capitale morale fredda e cangiante di troppo cielo, il mio atteggiamento nei confronti della morte, o meglio del terrore cieco che ne avevo, mutava infatti quasi improvvisamente grazie a un libro, a un’installazione video e a un disco.

luniversoeleganteDei primi due parlerò magari in occasione di altre festose vacanze o allegre ricorrenze religiose; per ora ai fini del discorso basterà dire che il libro era L’universo elegante di Brian Green (la fisica è un ottimo promemoria sia della nostra piccolezza che della nostra grandezza) e l’installazione era The Reflecting Pool di Bill Viola (in cui il videoartista americano trasforma la sorpresa straniante della sua sospensione a mezz’aria in una metafora potentissima della dissoluzione e ricomposizione dell’anima).

 

 

Parliamo piuttosto del disco, che era The Disintegration Loops di William Basinski.

Disintegrationloops-600È d’obbligo una piccola premessa: The Disintegration Loops non è propriamente un disco. Certamente ne ha la forma (è appunto un disco, anzi una serie di dischi, di vinile nero o di plastica trasparente a seconda della versione) e certamente contiene un gruppo di brani che hanno tutti gli elementi tipici delle composizioni musicali (melodia, struttura armonica, dinamica, silenzi), ma è di fatto tutt’altra cosa: è la testimonianza della vita che si spegne diventando silenzio, che è l’eco dolcissima della morte. Se pensate che stia diventando eccessivamente enfatico, leggetemi fino in fondo (o provate ad ascoltare subito The Disintegration Loops) e poi mi direte.

Altra premessa: William Basinski, compositore d’avanguardia texano classe 1958, nei dischi e nelle esibizioni live non usa strumenti musicali ma tape deck, cioè registratori a nastro. In pratica, prende dei nastri preincisi (da lui, da altri) e sceglie dei frammenti musicali che poi taglia e unisce nei cosiddetti loop, cioè anelli di nastro che riproduce a ripetizione e modifica/miscela in tempo reale attraverso un mixer e un computer. Ciò che ottiene sono composizioni basinskiche hanno solo un’apparenza ripetitiva ed eterea, ma che in realtà sono in continuo movimento e in progressiva rivelazione. Grazie a questo processo unico la musica che fa Basinski è ambient, è concreta, è improvvisata, è fluida, è immobile, è immutabile, è sempre diversa, è primordiale, è modernissima.

Nell’estate del 2001 accade una cosa. Basinski decide di trasferire su CD una serie di vecchi loop degli anni Ottanta che ha ritrovato per caso. Lo fa per preservarli, perché sono in pessime condizioni e rischiano di andare perduti per sempre. Su un nastro magnetico, infatti, le informazioni sono memorizzate sul sottile strato di ferrite che è applicato al nastro e questo strato col tempo e l’usura va inesorabilmente distrutto. A ogni passaggio sulla testina magnetica, una porzione di metallo si sbriciola (e con essa si perde un frammento di musica) e affiora la sottostante striscia in materiale plastico (non registrabile, non riproducibile, acusticamente equivalente al silenzio). Nel suo studio di Williamsburg Brooklyn a New York, dalla cui terrazza si vede il World Trade Center, Basinski monta i loop in pericolo sui tape deck e inizia a digitalizzarli, ma non acquisisce un solo ciclo, cioè una sola riproduzione, bensì lascia scorrere i nastri fino alla loro completa distruzione. Vuole catturarne la lenta disintegrazione, la trasformazione ineluttabile in silenzio. È così che nascono i Disintegration Loops: la leggenda narra che l’intero processo si svolga in sei notti, l’ultima delle quali è quella tra il 10 e l’11 settembre 2001. Al mattino, Basinski si sveglia e mentre riascolta il risultato del suo lavoro vede cadere le Torri Gemelle.

loops3Se vi state chiedendo come suonano i Disintegration Loops, sappiate che suonano come una creatura che muore. Ma muore senza alcuna sofferenza. Si tratta di 9 “movimenti” di durata variabile (dai 12 ai 63 minuti) suddivisi in 4 volumi in cui il cambiamento è lentissimo e quasi impercettibile, eppure risulta sempre incredibilmente netto e irripetibile. Ciò che si arriva ad ascoltare al termine di ciascun Disintegration Loop è sempre tutt’altro rispetto a ciò che era quando è iniziato, pur trattandosi della stessa frase musicale ripetuta centinaia, migliaia di volte. Parafrasando Brian Eno (“repetition is a form of change”), si potrebbe dire che nel caso di Basinski è proprio nella ripetizione che sta il cambiamento. A ogni passaggio qualcosa si perde per sempre, e al suo posto affiora, dapprima timida e poi dirompente, un’alternanza ritmica tra i pochissimi e chiassosi frammenti della musica sopravvissuta, veri e propri picchi emozionali, e l’imperfetto silenzio meccanico sottostante.

Questo silenzio per sottrazione, potentissimo, è un’esperienza che definirei spirituale. È il trionfo della quiete sul rumore, della plastica sul metallo, della morte sulla vita. È l’esibizione, per espansione e raschiamento, di un midollo che c’è sempre stato ma non si vedeva. È la divulgazione di un segreto importantissimo. In quest’ottica, tutta l’esperienza di ascolto dei Disintegration Loops finisce per essere dolce, rassicurante e universale. È, finalmente, la pace.

Se avete venti minuti a disposizione, e intendo subito, provate a spegnere la luce, indossare delle cuffie e far partire il mio Disintegration Loop preferito, quello che ascolto anche in autobus e si chiama “d|p 4”, e forse capirete cosa intendo.

Ma c’è di più, e qui si sconfina nella storia simbolica del nostro secolo giovane. Il primo dei Disintegration Loops, intitolato “dlp 1.1”, il più lungo dei “movimenti”, è stato montato da Basinski su un video che egli stesso ha girato dalla sua terrazza l’11 settembre 2001: un’inquadratura fissa del tramonto sul rogo del World Trade Center. In questo caso l’esperienza risulta ovviamente meno pacificante, perché le immagini àncorano per sempre la musica alla reale sofferenza e morte di migliaia di persone, eppure la sensazione permanente è soprattutto di sospensione, di limbo, più che di disperazione. Insomma, c’è qualcosa nei Disintegration Loops che sempre rende la morte una presenza amica, o perlomeno non ostile, anche nella circostanza più emblematicamente drammatica della nostra storia recente.

Come è facile immaginare, sin dalla sua pubblicazione l’alchimia perfetta tra quelle immagini e l’incedere pastorale del loop “dlp 1.1” è diventata il tributo elegiaco per antonomasia alle vittime delle Torri Gemelle, al punto che in occasione del decimo anniversario dell’attentato, una versione del loop appositamente trascritta in partitura da Maxim Moston (uno dei Johnsons di Antony and the Johnsons) è stata eseguita dal vivo dalla Wordless Music Orchestra presso il Temple of Dendur del Metropolitan Museum. La partitura riproduce fedelmente, anche se in versione ridotta, l’erosione del nastro e il progressivo alternarsi tra picchi e silenzi. È un momento di musica contemporanea di incredibile bellezza.

 

Ho dimenticato tutti i dischi che m’illudevo mi avessero cambiato la vita quando William Basinski me l’ha cambiata per davvero. Ecco perché la mia speranza è che anche tu, unico dei due lettori originali arrivato fin qui, abbia il coraggio e la voglia di avvicinarti a The Disintegration Loops.

Perché è a te che auguro il più prezioso dei regali: la pace.

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