Dei 784 giorni durante i quali, quarantadue anni fa, si svolse scandalo Watergate, l’8 gennaio 1973 è probabilmente quello meno noto, ma più importante.
Quell’otto di gennaio, infatti, iniziò il processo agli esecutori materiali della cospirazione ai danni del partito democratico che portò alle dimissioni dell’allora presidente repubblicano, Richard Nixon.
A quarantadue anni di distanza del Watergate rimangono fatti storici accertati, rimangono le teorie politiche e ideologiche, rimane una simbologia verbale riassunta nel suffisso gate, il completamento di una parola legata a uno scandalo. Ma ciò che rimane più di tutto sono gli uomini protagonisti di quell’avvenimento: il primo nella storia degli Stati Uniti che portò alle dimissioni di un presidente e alla certezza di quella che si dimostrò essere una vera separazione dei poteri. L’esecutivo appoggiato dalla Cia, il legislativo che arrivò alle soglie dell’impeachment grazie alle indagini dell’Fbi, il giudiziario a cui l’amministrazione Nixon tentò di mettere più volte il bastone fra le ruote.
Infine il quarto potere, quello dei media, delle investigazioni giornalistiche che ebbero nei due reporter del Washington Post, Bob Woodward e Carl Bernstein, i massimi esponenti di un lavoro compiuto nella più totale autonomia e che inchiodò, di fatto, Nixon alle sue responsabilità.
Tutti gli uomini del presidente è il loro libro inchiesta scritto nel 1974 che, oltre ad aver ispirato il film vincitore di quattro premi Oscar con Dustin Hoffman e Robert Redford, ricorda la verità fondamentale sul Watergate: fu un affare di persone al pari di quanto lo fu di ideologie opposte. Gli uomini del presidente, e quelli che stavano contro il presidente, si diedero battaglia in uno scontro che anni dopo, portò lo stesso Nixon ad ammettere le sue colpe e chiedere scusa al popolo americano nell’intervista fiume con il giornalista inglese David Frost. Il Watergate fu storicamente importante per il crollo di un establishment, così come lo fu a livello costituzionale perché frutto di quanto previsto dai padri fondatori.
Ma il Watergate rimane un simbolo soprattutto perché dimostrò per la prima, e forse una delle rarissime volte, quanto il potere più alto, se corrotto, possa essere messo in crisi dal lavoro di semplici professionisti. Ecco una lista non completa di quelli che la storia di quei fatti tramanda.

Frank Wills. Era la guardia di sicurezza addetta al controllo del complesso del Watergate. Si accorse che un pezzo di nastro adesivo sulla porta fra il pozzo delle scale e il parcheggio sotterraneo dell’edifico era stato riattaccato dopo che lui l’aveva rimosso. Allertò l’FBI che arrestò i cinque plumbers (idraulici) dentro la sede del partito democratico.

I plumbers. Gli idraulici. Da sinistra James McCord, Jr. (entrato clandestinamente nel Comitato nazionale democratico), Virgilio Gonzalez (esule cubano a libro paga della CIA), Frank Sturgis (entrato clandestinamente nel Comitato nazionale democratico), Eugenio Martinez (esule cubano a libro paga della CIA) e Bernard Baker (un ex partecipante all’invasione della Baia dei Porci a Cuba nel 1961).

Howard Hunt, ex agente della Cia che insieme a George Gordon Liddy organizzò le manovre dei plumbers. Insieme agli esecutori materiali e a Liddy fu processato l’8 gennaio 1973.

George Gordon Liddy, capo operativo dei plumbers, insieme a Howard Hunt. Fu processato l’8 gennaio 1973.

John Sirica, giudice italoamericano, che obbligò l’amministrazione Nixon a consegnare i nastri incriminati: la “smoking gun”. Fu l’uomo del 1973 per il Time.
L’intervista esclusiva di Carlo Mazzarella a John Sirica (1979)

Bob Woodward e Carl Bernstein, giornalisti del Washington Post. Seguirono la pista dei soldi e in due anni inchiodarono l’amministrazione Nixon.

Mark Felt, alias “Gola Profonda”. Ex funzionario dell’FBI e fonte di Woodward e Bernstein. Rivelò la sua vera identità solo il 31 maggio 2005.

Richard M. Nixon, repubblicano. 37mo presidente degli Stati Uniti. Si dimise poco prima di subire l’impeachment
L’autodifesa di Nixon e la sua frase più famosa: “I’m not a crook” (non sono un imbroglione).
L’ammissione di colpevolezza di Nixon (1977) ai microfoni di David Frost