American sniper

All’indomani delle sei nomination all’Oscar conquistate
dal film di Clint Eastwood, una riflessione sulla storia
del cecchino Chris Kyle e sul «terribile amore per la guerra»

«C’è una battuta in una scena del film Patton, generale d’acciaio che da sola riassume ciò che questo libro si propone di capire. Il generale Patton ispeziona il campo dopo una battaglia. Terra sconvolta, carri armati distrutti dal fuoco, cadaveri. Il generale solleva tra le braccia un ufficiale morente, lo bacia e, volgendo lo sguardo su quella devastazione, esclama: Come amo tutto questo. Che Dio mi aiuti, lo amo più della mia vita».

In queste poche righe tratte dal libro Un terribile amore per la guerra (Adelphi Edizioni) lo scrittore e filosofo James Hillman ci mostra come tra le pulsioni primarie e ambivalenti, al pari dell’amore, ci sia «il terribile amore per la guerra». Da Omero a Tolstoj, da Foucault a Hannah Arendt, da Erich Maria Remarque a Norman Mailer, quanti scrittori si sono misurati su questo ambiguo tema che tra i primi ha interessato il cinema.

Film come L’arpa birmana di Kon Ichikawa o la Croce di ferro di Sam Peckinpah, Platoon di Oliver Stone o Apocalipse Now di Francis Ford Coppola sono estremamente critici verso questo aspetto dell’uomo, ma nel contempo non sfuggono ad un sottile fascino verso la bestialità umana.

Ed è inutile e ancor più ambiguo parlare di “guerre giuste” o addirittura di “guerre umanitarie”. La guerra è una è sempre la stessa: devi rendere inoffensivo l’avversario con qualsiasi mezzo, dalle pietre all’atomica.

Clint Eastwood (84 primavere) ci regala l’ennesimo bel film che forse non raggiunge le vette di Grand Torino, di Mystic river o del pluripremiato Million dollar baby, ma che è senz’altro una storia di guerra ben raccontata e ben interpretata, con aderenza fisica e psicologica, da Bradley Cooper. L’attore è Chris Kyle, il più famoso e letale cecchino della guerra in Iraq, cui vengono attribuiti e certificati 160 nemici uccisi (anche se più probabilmente si tratta di quasi 250).

La pellicola inzia raccontando l’infanzia del futuro eroe che viene elogiato dal padre quando, a scuola, picchia un altro ragazzino per difendere il fratello minore. Quindi, prosegue con la classica retorica del giovanotto dagli istinti violenti che, dopo aver visto in tv gli attacchi terroristici del 1998 alle ambasciate Usa in Kenya e Tanzania, spinto da un super patriottismo, corre ad arruolarsi nei Navy SEAL per «difendere la patria dai terroristi e da chi li appoggia».

 

 

Dall’arruolamento all’Iraq il passo è breve ed è proprio tra Baghdad e Falluja che Chris Kyle, incaricato di proteggere a distanza i soldati sul campo con il suo fucile di precisione, grazie alla sua mira micidiale, diventa “leggenda” per tutti i marines cui ha salvato la vita. Ad aspettarlo a casa, tra una partenza e l’altra, c’è la moglie, Sienna Miller, costretta a confrontarsi con le conseguenze del lavoro non proprio qualsiasi del marito.

Perché, la battaglia più delicata che l’american sniper deve combattere è quella con la sua coscienza e con i panni del padre di famiglia che torna a vestire ogni volta che rientra a casa.

Con il susseguirsi delle missioni (che complessivamente dureranno quattro anni), il soldato cambierà leggermente la visione del suo impegno, passando da un attaccamento molto patriottico alla causa verso un sempre maggiore affetto nei confronti dei suoi commilitoni. Un amore che, unito al senso del dovere, lo spingerà anche dopo il congedo a continuare a frequentare i suoi compagni d’armi, seguendo svariate attività di recupero per i reduci che hanno subito lesioni gravi fisiche e psicologiche. E (spoiler, n.d.r.) sarà proprio uno di questi, un ex soldato, seguendo il Fato come in una tragedia greca, ad uccidere Kyle con un colpo di pistola, nel 2013, poco prima del termine della lavorazione del film, cui lui stesso aveva partecipato come consulente.

Ad American sniper, sotto la vigile e solida regia del grande Eastwood, ha lavorato un cast tecnico composto da numerosi premi Oscar. Il cast è formidabile, dai protagonisti fino all’ultima comparsa. E l’Iraq è stato trovato in modo verosimile in Marocco, dove gran parte della pellicola è stata girata. Insomma, quella che è appena stata candidata a concorrere per sei premi Oscar è un’opera formalmente ineccepibile che, forse, non entrerà nella storia dei film di guerra come Lettere da Iwo Jima, ma che nel panorama dei film sulla guerra in Iraq riesce a dire la sua. E, soprattutto, riesce a mostrarci alcune ragioni di quel «terribile amore per la guerra» che segue l’uomo dalla sua comparsa sulla terra.

 

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