Anniversari di muri

Da quello di Berlino che ha diviso il mondo per anni alla barriera dell’odio costruita fra Israele e Palestina. Una riflessione

Poche settimane fa è stato celebrato con grande enfasi il venticinquesimo anniversario della
caduta del muro di Berlino. L’evento, che ha visto la Germania come protagonista, ha assunto una risonanza mondiale. In stridente contrasto, un altro anniversario legato a un altro muro è, invece, passato sotto totale silenzio. Quasi undici anni fa (il 9 luglio 2004), la Corte di Gustizia Internazionale ha emesso il proprio parere legale rispetto alla costruzione della barriera di separazione nei Territori Palestinesi Occupati.
In uno dei passaggi della sentenza si legge che “la Corte […] non è convinta che lo specifico percorso scelto da Israele per il muro sia necessariamente legato a obiettivi di sicurezza. Il muro, lungo il percorso scelto, e il regime di restrizioni e permessi a esso associato, infrangono gravemente una serie di diritti della popolazione palestinese che risiede nei territori occupati da Israele; tali conseguenze negative sui palestinesi, risultanti dal percorso del muro, non possono essere giustificate dalle esigenze militari israeliane, o da necessità connesse alla sicurezza nazionale e all’ordine pubblico”.

Come esito della propria inchiesta, la Corte di Giustizia Internazionale ha chiesto che il muro fosse immediatamente smantellato; pochi giorni dopo, una larga maggioranza di membri delle Nazioni Unite ha votato una risoluzione che ha dichiarato la necessità che Israele si attenesse alla sentenza delle Corte, smantellando la barriera.

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Nonostante ciò, Israele ha ignorato la sentenza della Corte di Giustizia Internazionale e, da allora, la costruzione della barriera è continuata. La lunghezza totale del muro, per come progettato, è di oltre 700 chilometri, più del doppio della lunghezza della Linea Verde, che misura circa 320 chilometri (per Linea Verde si intende la linea di confine tra Israele e Territori Palestinesi tracciata alla fine della guerra arabo-israeliana del 1948-49, e riconosciuta internazionalmente come confine dello Stato di Israele). Solo per il 15% del proprio tracciato il muro corre lungo la Linea Verde, mentre, per la restante parte si inoltra – talvolta anche molto in profondità – all’interno dei Territori Palestinesi Occupati. Una volta che il muro sarà completato (a oggi ne è stato costruito circa il 60%), circa il 10% del territorio della Cisgiordania (ivi compresa l’intera Gerusalemme Est) si troverà dal lato israeliano, cosa che determinerà, de facto, l’annessione di queste aree a Israele – all’interno di tali aree si trova un numero significativo di risorse naturali (fonti d’acqua, terre agricole, zone archeologiche), oltre che la totalità di Gerusalemme Est e della Città Santa. Secondo le stime delle Nazioni Unite, circa 170 comunità palestinesi (per un totale di circa 500.000 persone) subiranno gravi conseguenze negative dirette legate alla costruzione del muro.

La cronaca quoditiana – ivi compresi alcuni terribili eventi dell’ultimissimo periodo, tra cui l’attentato terroristico contro i fedeli di una sinagoga di Gerusalemme il 18 novembre 2014 – non ci permette di dimenticare l’urgenza di fare ogni sforzo possibile per trovare una soluzione giusta per il conflitto israelo-palestinese.

In quest’ottica, il muro rappresenta una questione cruciale. Da un lato, la barriera (insieme al regime di controlli e restrizioni a essa associato) è considerata da Israele indispensabile alla sicurezza dei propri cittadini, strumento prioritario nel fermare gli attacchi terroristici. Dall’altro, i palestinesi lo considerano un ulteriore elemento dell’occupazione israeliana, l’ultimo di una serie di strumenti attraverso i quali Israele consolida il proprio controllo sulla Cisgiordania e annette territorio palestinese. La domanda cruciale a cui tentar di dar risposta è, a tal proposito, la seguente: è possibile conciliare esigenze di sicurezza israeliane e rispetto dei diritti della popolazione palestinese? Il tema è dibattuto e le posizioni in proposito sono variegate; politici, ricercatori, giornalisti, attivisti partecipano al dibattito, ciascuno fornendo una propria risposta – spesso in aperto contrasto con altre – a tale domanda. In questo quadro, compito del ricercatore dovrebbe essere quello – come già ribatito a suo tempo da Max Weber – di offrire alla discussione politica e civile un insieme accurato di fatti e di evidenze empiriche, indipendentemente dal loro significato e uso politico. In questo senso, ciò di cui si sente estremo bisogno, oggi, sono dati e evidenze empiriche sugli effetti e le conseguenze del muro, frutto di meticolose ricerche sul campo. Queste ultime, tuttavia, sono a oggi piuttosto rare. UNRWA (l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati palestinesi in Medio Oriente) ha per un certo periodo fornito un contributo importante in questa direzione, attraverso la Barrier Monitoring Unit (BMU), un’unità di ricerca il cui scopo era lo studio degli impatti della barriera. Sfortunatamente, un paio di anni fa BMU è stata chiusa per mancanza di fondi. È in questo quadro che WALLPAPER – una piattaforma online per la condivisione di ricerche sulla barriera nei territori palestinesi – può rappresentare un punto di riferimento importante per la ricerca accademica sul muro e sui suoi effetti – e in particolare per chi vuole approcciare il tema in modo rigoroso, il più possibile scevro da pregiudizi e preconcetti.

*Francesco Chiodelli è ricercatore presso il Gran Sasso Science Institute (L’Aquila), dove insegna nel dottorato in studi urbani. Si occupa in particolare della dimensione territoriale del conflitto israelo-palestinese, tema su cui ha pubblicato il libro Gerusalemme contesa. Dimensioni urbane di un conflitto (Carocci, Roma), oltre a numerosi saggi su riviste scientifiche nazionali e internazionali.È promotore di www.wallpaper.polimi.it, una piattaforma
online per la condivisione di ricerche sulla barriera nei territori palestinesi.

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