Musicisti sotto tiro

Novanta i casi registrati dall’organizzazione Freemuse, con la Turchia che figura tristemente tra i primi tre paesi che minacciano e puniscono la libertà di espressione dei propri artisti musicali

tratto da Osservatorio Iraq

 

Che la musica possa essere un’arma potente nel denunciare gli abusi, le ingiustizie e nel criticare lo status quo lo conferma l’alto numero, ogni anno, di artisti che si trovano a dover fare i conti con attacchi, violenze, intimidazioni e arresti da parte dei vari governi o di attori non statali.

La sa bene l’organizzazione indipendente Freemuse (Il Forum mondiale sulla musica e la censura), che ogni anno si occupa di stilare una statistica degli attacchi e violazioni contro i diritti dei musicisti e contro la libertà di espressione musicale in tutto il mondo, e che nel 2014 ha registrato un totale di 90 episodi, con casi che includono: 1 musicista ucciso, 17 musicisti imprigionati, 9 attaccati e 14 perseguiti.

Al primo posto, con 15 casi in tutto, c’è la Russia, seguita dalla Cina e infine dalla Turchia, dove – “spesso con toni nazionalistici e politici” – si continua a perseguitare i musicisti “che sottolineano la preoccupante erosione della democrazia e dei diritti umani nel paese”.fr

Sono numeri in leggero calo rispetto ai numeri del 2013 (con 109 casi in tutto), ma si tratta di una cifra comunque preoccupante dato che stiamo parlando di una categoria circoscritta. Soprattutto, l’associazione tiene a ricordare che i dati raccolti non sono che la punta dell’iceberg.

La metodologia di ricerca, infatti, impone di segnalare solo i casi “confermati” di musicisti attaccati, perseguitati, uccisi, rapiti, detenuti, processati, incarcerati e censurati a causa della loro arte. “Consideriamo un caso ‘confermato’ solo se siamo ragionevolmente certi che un musicista stato preso di mira per rappresaglia diretta per il suo lavoro artistico” si legge nel report.

Basti pensare che, in paesi dove la censura governativa è estremamente forte come l’Arabia Saudita, non è stato possibile effettuare una raccolta esaustiva delle casistiche.

Impossibile, per assenza di documentazione, registrare anche i casi per quanto riguarda l’Afghanistan, in cui centinaia di musicisti vivono nella paura costante dei talebani, o in Siria, dove la musica si è fermata nelle aree controllate dall’Isis, o ancora in Mali, dove nel nord del paese le attività dei musicisti sono pesantemente colpite dalle minacce dei jihadisti.

Ancora, l’analisi di Freemuse registra come abbiamo visto, solo gli attacchi registrati e verificati su individui, eventi o luoghi, e non il clima di paura e intimidazione che si respira in molti paesi.

In Iran, ad esempio, per il 2014 si sono registrati 7 casi, ma è praticamente certo siano molti di più: “Dato che centinaia di musicisti nemmeno ci provano a ottenere il permesso di esibirsi o di pubblicare la loro musica, Freemuse non è stata in grado fare che una leggera stima degli effetti della censura“.

Si pensi anche all’Egitto, di cui Osservatorio Iraq si occupa spesso nella sua rubrica musicale: a musicisti come Ramy Essam, che in passato ha subito minacce e torture e che ha preferito lasciare il paese, o Elmanawahly che, pur restando, ha confessato di aver scritto molte canzoni che poi ha preferito non registrare o pubblicare.

O il Marocco, paese che ama rappresentarsi come uno stato moderno e moderato, ma in cui le critiche al governo e alla religione sono tabù, per non parlare della brutalità della polizia e della corruzione. Il caso del rapper del rapper El Haqed ne è un esempio.

“Come abbiamo già sottolineato – afferma Ole Reitov, direttore esecutivo di Freemuse – le statistiche ritraggono solo la punta di un iceberg. Ma a differenza degli iceberg reali, che si stanno sempre più sciogliendo per effetto del riscaldamento globale, i nostri ‘iceberg’ sembrano invece espandersi sotto la superficie delle statistiche”.

Non manca poi di richiamare i governi nazionali al rispetto degli obblighi sull’attuazione delle convenzioni internazionali sui diritti umani.

“Mettere a tacere i musicisti con la violenza, la prigionia e le intimidazioni – commenta ancora – non solo viola il diritto individuale alla libertà di espressione, ma priva anche le comunità locali e globali della gioia e delle prospettive critiche espresse attraverso la musica”.



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