Cronache da Le Val Fourré: camminando

Stare in un quartiere come Le Val Fourré offre due grandi possibilità.

La prima puntata – Cronache da Le Val Fourré: lo spazio
La seconda puntata – Cronache da Le Val Fourré: restituire

 

Da LeVal Fourré (Mantes-la-Jolie, Francia),
testo e foto di Massimo Conte,

Agenzia Codici

 

La prima possibilità è che c’è un luogo, il centro commerciale, dove passano tutti.
Il centro commerciale non ha niente a che vedere con quelli delle nostre città. Non è un Iperqualcosa, con le gallerie pieni di negozi, un supermercato gigante e i parcheggi multipiani. Il centro commerciale della Val Fourré è uno spiazzo al centro del quartiere con delle strutture a un piano e le vetrine dei negozi che si affacciano direttamente in strada. Qui io e Fikri, il mio ospite e traduttore di fiducia, passiamo decine di volte nel corso della giornata. Oggi, appena usciti da casa ci andiamo per prendere un caffè prima del nostro primo appuntamento e incontriamo due ex compagni di scuola di Fikri di cui non faccio in tempo a memorizzare i nomi. Come nel più classico degli incontri tra ex compagni comincia subito il gioco del “ti ricordi di”. Così parte una lunga lista di nomi: chi fa il meccanico, chi lavora in banca, chi si è trasferito a Parigi, chi insegna in un liceo prestigioso. Uno dei due amici si occupa di commercio, l’altro fa l’insegnante a Versailles, ma, sottolinea ridendo, nel quartiere sbagliato di Versailles, quello povero.

Ogni nome è associato a quello della madre e ogni madre alle parole in lingua che hanno imparato da lei. Il francese è abbandonato in fretta per una macedonia di lingue: dialetti arabi, turco, wolof e pular, portoghese, creolo.

Terminati i compagni di scuola passano a ricordare i negozi del centro commerciale: la bigiotteria, la cartoleria, il negozio di abiti, le banche, la pasticceria. Ricordano anche quando un marchio francese aveva provato ad aprire un negozio che era stato saccheggiato dai ragazzi il giorno stesso dell’apertura.

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Insomma, un veloce saggio della diversità scomparsa. In questi anni, per esempio, molti dei negozi hanno chiuso e gran parte dei fondi commerciali sono ormai occupati da bar e da negozi gastronomici. L’offerta è quasi esclusivamente schiacciata su caffè, the alla menta e kebab.

Nel centro commerciale c’è anche la tabaccheria di Etienne, un quarantaduenne cristiano della Guinea Bissau. Etienne viene da una delle famiglie storiche del quartiere ed è considerato un punto di riferimento. Approfitta del nostro appuntamento per fare la pausa pranzo: un menù completo con hamburger, patatine fritte e the alla pesca.

Cominciamo a parlare dei cambiamenti del quartiere.
“Oggi ci sono meno abitanti perché hanno distrutto le vecchie costruzioni. Hanno distrutto perché c’era troppa gente e questo è dovuto agli episodi degli anni ‘90. È stata una scelta politica per scardinare la violenza e cambiare l’immagine di Mantes La Jolie. La scelta mi sembra chiara. Vogliono fare di Mantes La Jolie una specie di Saint Germain, una città chic e borghese”.

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Impossibile negare i miglioramenti portati da alcuni cambiamenti, quanto meno nella vita di chi è rimasto. Oltre gli aspetti positivi, però, ci sono conseguenze.

“C’è meno violenza, ma il lato sociale è sparito. Voglio dire che prima c’erano più educatori e animatori nel quartiere. In un quartiere come Val Fourré hanno lasciato i giovani a loro stessi e ora sono soli per strada”.

Etienne è diventato padre da poco. Ha scelto di lavorare in quartiere, ma di andare a vivere in campagna. Una scelta fatta per trovare un proprio equilibrio, avendo la possibilità di togliersi dalle dinamiche del quartiere, ma anche pensando al bambino che crescerà. La sua tesi è che le scuole di campagna siano migliori di quelle del quartiere.

“Le Val Fourré è individuata come una ZEP, una zona di educazione prioritaria, perché è riconosciuta come zona in difficoltà. Per questo motivo ci sono finanziamenti, arrivano soldi alle scuole, gli insegnanti guadagnano di più. Questa mattina sentivo alla radio un insegnante che diceva che se in una classe ci sono 20 alunni buoni e 5 cattivi è più facile che i 5 migliorino, non succede lo stesso se ci sono 20 alunni cattivi e solo 5 buoni. Anche amici che insegnano qua mi dicono che il livello delle scuole di Le Val Fourré non è lo stesso delle scuole del centro città o della campagna. Vuol dire che avrai meno alunni che riusciranno nella vita. Statisticamente è sicuro”.

La seconda possibilità offerta da un luogo come Le Val Fourré è che praticamente non ci sono mezzi di trasporto pubblico che lo attraversino. Per andare in qualunque posto bisogna camminare e, camminando, si è costretti a guardare, a prendere nota del mondo intorno.

In questi giorni io e Fikri abbiamo camminato tanto, a volte seguendo le strade ufficiali, altre volte tagliando per scorciatoie note solo a chi è cresciuto nel quartiere. I nostri giri sono stati spesso così poco lineari che non ho ancora sviluppato un vero senso dell’orientamento.

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Andando a incontrare alcuni cantanti del quartiere faccio una considerazione a voce alta. Non ci sono graffiti, se non quelli del passato e conservati integri, non ci sono tag, non ci sono sticker, non ci sono volantini appesi ai muri. Insomma, per tutto il quartiere non c’è nessuno di quei segni che fanno parte del modo in cui i giovani si appropriano e riscrivono lo spazio pubblico. Ho l’impressione che nello spazio pubblico ci sia solo la scrittura dell’urbanistica della ristrutturazione, una scrittura che ha reso asettico il paesaggio del quartiere. Ma, allora, se i giovani non fanno sentire la propria presenza lasciando un segno del proprio passaggio in quali altri modi lo fanno?

Due ragazzi che hanno lasciato molti segni di sé sono i due che incontro in sala prove. Sono Toxic e Qalam (vuole dire piuma in arabo classico) e sono due dei principali esponenti della scena rap di Mantes La Jolie.

Qalam mi fa subito una piccola lezione sul rap francese e mi aiuta a capire come si collocano loro due all’interno della scena.

“Il rap francese è una scuola di testi, tutti i grandi gruppi a cui ci riferiamo lavorano sui testi e sull’impegno sociale. Certo, il successo commerciale è altro, perché stiamo sempre parlando di capitalismo. Preferiscono farti muovere che farti pensare. Quello che provo a insegnare ai ragazzi più giovani è ad avere un minimo di ricerca personale e di spirito di rivendicazione. Non è facile, perché anche in Francia le grandi stelle dell’hip hop fanno l’apologia dei soldi facili e del capitalismo. Molti ragazzi hanno l’idea di fare soldi facili facendo rap,ma in tutti questi anni sono stato io a pagare il rap”.

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Con loro parliamo di cosa abbia significato crescere a Le Val Fourré.

“Crescere qua è stato complicato e gioioso al tempo stesso, mi dice Qalam, ma noi non ce ne rendevamo conto perché eravamo dentro. Quando ne siamo usciti e abbiamo visto gli altri ci siamo resi conto di quello che avevamo vissuto e ci siamo detti che eravamo stati fortunati e che Dio è con noi. Non è facile vivere in un ghetto, pensa che anche il Primo Ministro qualche giorno fa ha chiamato questo apartheid. Per noi era normale vedere una macchina bruciare, considerare normale quello che non è normale”.

Per Toxic si cresce tristemente. Gli chiedo perché usi proprio questa parola.

“Siamo cresciuti tristemente perché ci hanno abbandonato e messo da parte, in un clima di segregazione. Noi a cercare un lavoro, ma sei hai una faccia da immigrato te lo puoi scordare, come ti puoi scordare di affittare una casa o di avere un luogo per fare musica. Siamo gente del ghetto, viviamo in una zona di non diritto e tutto questo è triste”.

Entrambi sono convinti che molto dipenda dal fatto che sono sempre stati considerati stranieri e che, alla fine, essere stranieri è il loro destino.

“Siamo francesi, dice Qalam, ma non ci considerano francesi. Il problema è che quando siamo in Francia mi considerano un marocchino e quando sono in Marocco mi considerano un francese. È come avere il culo su due sedie, si sta scomodi”.

Arriviamo a parlare di islam e dell’attacco dell’8 gennaio alla sede di Charlie Hebdo. Qalam si espone.
“Noi qui subiamo la pressione. Se non diciamo anche noi Je sui Charlie siamo considerati persone cattive. La libertà di espressione per me è poter scegliere se essere o non essere Charlie. Io non sono Charlie, ma condanno tutti gli assassini perché il rispetto della vita umana è il valore più importante. E non sono Charlie perché non condivido le loro pubblicazioni blasfeme, offensive non verso i musulmani, ma verso qualsiasi religione. Oggi sei obbligato a essere Charlie, e allora dov’è la libertà di espressione?”.

Prima di salutarci ci regalano un pezzo. In realtà, sulla base tagliano e cuciono pezzi di canzoni di entrambi, doppiandosi, riprendendosi, facendosi reciprocamente i cori. Cantano e ognuno di loro lo fa con il proprio stile. Toxic, preciso e metrico sul beat, sembra quasi scomparire mentre canta. Quando doppia Qalam lo fa togliendosi dalla scena. Qalam balla, con il corpo occupa tutto lo spazio, cerca gli sguardi di chi ha intorno. Dice cose pesanti, ma lo fa quasi sorridendo. Felice di comunicare.

 

 



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