Il buio oltre la Siria

Da quattro anni infuria una guerra feroce,
ma un rimosso collettivo l’ha cancellata dai media

La Seconda Guerra mondiale è durata, circa, sei anni. La Prima Guerra mondiale è durata, circa, quattro anni. La guerra nella ex-Jugoslavia, alla fine degli anni Novanta, è andata avanti tre anni, più la drammatica appendice del Kosovo. La guerra in Siria, oggi, inizia il suo quinto anno.

Solo che della guerra in Siria le nostre coscienze si sono liberate da tempo. Perché questo è accaduto. Un’operazione di spoliazione dell’umanità, come un uomo che, anno dopo anno, lascia cadere un velo, fino a restare nudo. La foto satellitare di un Paese al buio ci mostra un luogo dell’abbandono.

Personalmente rievoca certe case abbandonate, che le guardi e ti senti smarrito, perché ti chiedi quale storia, quali vite siano passate da quel fabbricato. In Siria lo sappiamo bene quali vite sono andate perdute. Quelle dei 220mila morti, quelle dei 4 milioni di profughi. Lo sanno coloro che hanno avuto la fortuna di visitare la Siria prima della catastrofe, lo sanno anche quelli che in Siria non ci sono stati mai.

Perché per incontrare quelle vite, oramai, puoi essere in un centro per rifugiati a Stoccolma o a Copenaghen, al mezzanino della stazione di Milano, su un molo in Sicilia, in un porto turco o egiziano, in un campo profughi giordano, nelle foreste della Bulgaria, su un pullman che dalla Serbia raggiunge l’Ungheria.

Nessuno può dire di non sapere. Eppure, mentre ogni giorno, da cinque anni, si spegne una luce in Siria, guardiamo altrove. Si guarda ad Assad, prima dittatore, poi utile partner per la pace in Medio Oriente, poi di nuovo dittatore, ora di nuovo sdoganato come male minore. Si guarda alla Russia, all’Iran, al Qatar, all’Arabia Saudita, all’Ue, agli Usa.

E intanto si guardano i video di Daesh, studiati ad arte per essere guardati. Perché lo scopo principale è stato raggiunto: guardate noi, questo futuro possibile. Allora meglio tornare alla sana vecchia dittatura, quella senza caos. Dove una decapitazione non avveniva in streaming globale, ma dove si torturava al sicuro, lontani da occhi indiscreti, nelle segrete dei palazzi del potere.

 

Il teaser del servizio di Amedeo Ricucci e Paolo Carpi, in onda stasera su Rai1 alle 23.40

 

Si guarda a tutto, tranne che a quelle luci che si spengono. Si discute di ‘male minore’, per il ‘bene del popolo siriano’, e magari lo fanno gli stessi che non si curano di occhi nella notte, famiglie intere che si nascondono nei boschi, in fuga per arrivare in Europa. Loro non sono un problema.

Oggi ci saranno alcune manifestazioni, organizzate da coloro che chiedono che non si smetta di parlare dei siriani, delle persone, non della Siria come argomento da sessione di geopolitica della domenica. Che si parli di persone, non di numeri.

Perché non guardando la Siria, ma parlandone, si diventa strabici. Ed ecco che un caso di cronaca nera diviene strumento di una squallida polemica sui rifugiati. «Si dichiarano tutti rifugiati!, «prendono 42 euro al giorno, mentre un pensionato italiano non arriva a 500 euro al mese», «è un’invasione».

La verità è documentata: altri sono i Paesi che sopportano il peso maggiore dei popoli in fuga, non certo l’Italia, i fondi non sono italiani, ma europei, e vengono gestiti da chi riceve gli appalti per i rifugiati, non da loro, la protezione internazionale è un obbligo, non una scelta. Ma i fatti non portano voti.

Neanche la memoria. Quella che servirebbe per dire cosa è stata questa rivoluzione nel suo primo anno di vita, quanto un primo gruppo di insorti ha lottato per tenersela stretta. La memoria che servirebbe per ricostruire i curricula di questi gruppi armati, le differenze tra di loro, i conflitti interni che segnano le anime delle formazioni. Ma la memoria, come detto, non porta voti. La complessità non è di questa terra, meglio semplificare, portando tutto al bianco e al nero.

Al punto che si riesce a restar turbati più per dei monumenti (preziosi per l’umanità, sia chiaro) che per delle vite umane. Turbati più per la morte di un gruppo di ostaggi che per migliaia di persone. Come se il diritto di vivere perdesse significato quando il numero delle vittime supera una certa cifra.

Uno strabismo sempre più grave, come se il campo visivo si allargasse a dismisura, lasciando nel centro un buco nero, dove si spengono tutte le luci, precipitando nel buio pesto la nostra umanità, rendendoci ciechi di fronte al dolore di luci sempre più labili, lontane. Spente.

 

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