Crimea, un anno dopo

Un anno dopo l’annessione alla Russia, dove la propaganda lavora a pieno regime

Il 18 marzo 2014 la Crimea veniva annessa alla Russia. L’operazione di riunificazione era iniziata nella notte fra il 26 e il 27 febbraio, quando militari di appartenenza non dichiarata avevano occupato i principali edifici governativi della regione. All’operazione era seguito un referendum in cui il 96,6% degli elettori aveva espresso la volontà di staccarsi dall’Ucraina e di ricongiungersi a Mosca.

E’ passato un anno, ma l’entusiasmo non è ancora sfumato. Il governo russo ha proclamato un giorno di festa nazionale in tutta la Russia, e, da San Pietroburgo alle regioni dell’Estremo Oriente russo, i cittadini hanno affollato strade e piazze per partecipare alle celebrazioni ufficiali e ricordare gli eventi che sono oggi noti nella pubblicistica russa come la primavera di Crimea. Un moto di patriottica euforia ha percorso tutto il mondo russo: sono euforici gli abitanti della penisola, che a un anno di distanza si dicono soddisfatti della scelta; sono euforici i russi che dalle loro città salutano con gaudio il ritorno in patria di un territorio legato a Mosca da secoli di storia.

Euforico e pieno d’amor patrio è evidentemente anche Andrej Kondrašov, il regista del documentario “Crimea. Il cammino verso casa”, trasmesso in Russia lo scorso 15 marzo sul canale nazionale Rossija 1, che ricostruisce i fatti della primavera di Crimea partendo dal racconto di un narratore d’eccezione: Vladimir Putin.

Il film si apre con una ripresa dall’alto della penisola: il mare, le sponde verdeggianti, il sole che le illumina. Subito dopo, il buio di Kiev: le fiamme, il fumo, la violenza. Davanti a quello squarcio di Ade, dopo una notte insonne, il Presidente e il suoi più stretti collaboratori decidono di intervenire per salvare la Crimea dall’orrore.

Il Presidente parte dagli eventi che avevano portato alla fuga di Janukovyč, in seguito alle proteste antigovernative di Kiev, e, senza perifrasi, chiama in causa l’Europa e Stati Uniti, colpevoli di aver gettato nel caos un paese già fragile come l’Ucraina. L’Europa, dice il Presidente, ha sostenuto gli oppositori di Janukovyč, ma sono stati gli USA ad agire da vero “burattinaio” della sommossa, addestrando nelle vicine Polonia e Lituania i gruppi di miliziani nazionalisti che sarebbero diventati il braccio armato dell’opposizione durante la rivoluzione.

Stando alle parole del Presidente, mentre si combatteva nelle strade di Kiev, Mosca veniva a conoscenza di un complotto dell’opposizione ucraina per eliminare Janukovyč. A quel punto Putin decideva di intervenire per salvare il presidente ucraino, sventando grazie alle intercettazioni un agguato che attendeva Janukovyč, mentre si dirigeva in Crimea da Kiev. Solo dopo aver compreso, alla luce dei fatti, che non era rimasto alcun margine di contrattazione con in nuovo governo di Kiev, Janukovyč accettava di essere portato con l’aiuto di Putin fuori dai confini ucraini.

Poco dopo, come mostra il documentario, iniziavano le aggressioni da parte dei miliziani nazionalisti ucraini nei confronti della popolazione che in Crimea si era radunata per protestare pacificamente contro le violenze del nuovo governo di Kiev. Le vittime definiscono gli aggressori “banditi”, “veri fascisti”, “pieni di odio”: con queste persone al potere – dicono – per i cittadini di etnia russa, restare in Ucraina era ormai impossibile.

La parola ritorna al Presidente che racconta la decisione di intervenire per non abbandonare i russi di Crimea a un fato che si preannunciava sinistro. Ma il suo scopo non era prendere militarmente la penisola. L’intento era quello di permettere ai cittadini di Crimea di esprimere la propria opinione su un’eventuale annessione alla Russia.

I risultati del referendum – aggiunge Putin – sono noti a tutti.
Tuttavia, perché i cittadini potessero votare liberamente, era importante garantire la loro sicurezza. A questo scopo il Presidente, come afferma nel documentario, aveva predisposto un’operazione condotta da un insieme di forze militari: corpi speciali dei servizi segreti militari, fanteria marina e truppe aviotrasportate. Ma la loro missione non era attaccare, bensì difendere i cittadini e prevenire eventuali violenze.

Non a caso, dice il presidente Putin a cui fa eco il Ministro della Difesa Sergej Shojgu, questi soldati, che non portavano insegne militari, sono stati battezzati “gli uomini cortesi”. Un quadretto idilliaco, guastato dai soliti maldicenti che insinuano che le schiere di uomini cortesi accogliessero individui dalle provenienze più disparate, compresi criminali.

Il film non tralascia la questione dei Tatari di Crimea, minoranza turcofona di religione musulmana, discendente diretta delle popolazioni che arrivarono nella penisola dall’Asia Centrale nel XIII secolo. I Tatari, deportati da Stalin nel 1944 con l’accusa di tradimento, hanno una storica avversione per Mosca, ma nel documentario non mancano testimonianze di supporto da parte dei Tatari all’annessione alla Russia.

Anzi, il regista ci offre la sua personalissima trasposizione di “Romeo e Giulietta” in chiave post-sovietica, la storia di Marina ed Enver, una russa e un tataro che si sono innamorati e sposati in soli sei giorni, facendosi beffe dei cinici che sostengono che tatari e russi non giungeranno mai a riconciliarsi.

Giunti a questo punto, è forte la tentazione di liquidare il film come un’opera dall’intento chiaramente propagandistico, degna della più ingloriosa tradizione sovietica a cui Vladimir Putin è tanto affezionato. ll documentario, fra l’altro, non rivela nulla di particolarmente sorprendente rispetto ai fatti che i media hanno raccontato e commentato un anno fa.
Tuttavia, non si può fare a meno di soffermarsi su alcune dichiarazioni che il Presidente rilascia nel corso del documentario.

Putin afferma su un canale nazionale, in prima serata e senza giri di parole che, nei giorni della primavera di Crimea, la Russia era pronta all’utilizzo delle armi nucleari in caso di escalation negativa degli eventi. Inoltre, aggiunge nel documentario, per lanciare un monito contro l’intervento esterno, Putin aveva dato disposizione di schierare una serie di sistemi di difesa missilistica visibili dallo spazio, chiaro messaggio alle forze NATO.

Nelle parole del Presidente russo, l’Occidente appare come un aperto antagonista che tenta a tutti i costi di impedire alla Russia di perseguire il proprio interesse nazionale. Ma non riuscirà nel suo scopo, perché questo, afferma con forza il Presidente, è semplicemente impossibile. Che si tratti di minaccia reale o di puro intento intimidatorio, difficile da dire; quel che è certo è che le sue prese di posizione gettano un’ombra ancor più fitta sul futuro dei territori contesi.