Signore di strada

Gesù è morto per i peccati degli altri è il film documentario di Maria Arena che racconta le vite delle prostitute di Catania

Catania. Corso Sicilia è un ampio viale di alberi e palme, risplende di banche e negozi, collega via Etnea alla stazione e poi al mare, è il cuore nuovo della città. C’è un budello, però, alle sue spalle, di viuzze e vecchie case. Poche centinaia di metri, una strada più grande e qualche traversa sopravvissute allo sventramento del quartiere che si chiamava San Berillo. Ci lavorano da decenni Franchina, Meri, Alessia, Marcella, Wonder, Santo e Tonino. Sono un gruppo di prostitute transessuali e sono le loro vite che intende svelare la macchina da presa che si muove come una carezza tra i tetti e i portoni di quelle case antiche.

Gesù è morto per i peccati degli altri è un film documentario di Maria Arena, ma è soprattutto un viaggio nell’intimità delle sue protagoniste. Non l’intimità pruriginosa dei loro incontri sessuali, delle dicerie sui clienti o dei luoghi comuni sulla vita delle trans, bensì quella del loro sentire, delle ragioni profonde che hanno spinto ognuna di loro a diventare quello che è oggi, a costruire una vita come quella che vive, a desiderare un futuro e a sognare un avvenire come quello che sogna.

Non un reportage giornalistico e neanche un documentario storico sul vecchio quartiere, bensì un lavoro sullo sguardo che si avvicina senza mai oltraggiare, che ricompone senza mai forzarne il senso, agli ossimori di un angolo semi nascosto della città e alle contraddizioni delle vite che lo popolano.

Chi sono “le belle” che si raccontano davanti agli occhi dello spettatore? Mary un tempo era un aiutante cuoco ma quando i colleghi si accorsero che era gay cominciarono ad isolarlo finché perse il lavoro. Fu un susseguirsi di impieghi e licenziamenti finché non si decise per il mestiere più vecchio. Prostituirsi era l’ultimo modo che restava per sopravvivere, proprio come per Marcella e Wonder, che altre possibilità non ne hanno mai trovate. Franchina è del gruppo la più spirituale e delicata: ““Io rifarei tutto nella mia vita – dice – perché so che c’è un uomo che mi ama più degli altri: Gesù Cristo”.

Senza compiacersi della sua libertà di circolare liberamente tra i letti e i marciapiedi, gli sguardi e le conversazioni, una libertà che gli è stata concessa solo dopo mesi e mesi di conoscenza reciproca, lo sguardo di Maria Arena svela, racconta, fa luce su qualcosa che non sapevamo. San Berillo, prima di tutto, o meglio quel che ne resta, era il quartiere storico di Catania, ci vivevano artigiani, commercianti ma anche borghesi (per esempio la famiglia della scrittrice Goliarda Sapienza) ed era già, da sempre, il quartiere delle case di tolleranza. Poi fu abbattuto e risanato, a parte quel piccolo cuore vivo raccolto tra una manciata di strade.

Negli anni ottanta fu il teatro della prostituzione delle ragazze nigeriane e nel 2000 ecco che di nuovo fu “ripulito” dalle forze dell’ordine. Rimasero dunque solo alcuni proprietari, una comunità senegalese e loro, le transessuali che da allora ci continuano a ricevere clienti.

Cosa c’è dietro le maschere che indossano ogni giorno quando comincia la loro giornata? Lo sguardo passa dall’una all’altra, ricostruisce il loro passato, le ragioni della loro scelta di “transito” verso l’altro genere, i motivi spirituali della Fede che sostiene alcune di loro. Colpisce il senso di carità che si sprigiona da chi, forse, ne avrebbe più bisogno, perché troppo spesso mortificato dalle parole degli altri. Colpisce la solidarietà, la forza dei rapporti tra le abitatrici di questo luogo, la semplicità con cui la loro vita si snoda scena dopo scena. Le seguiamo, insieme alla videocamera, mentre fanno la via Crucis, mentre l’una insegna all’altra a guidare dentro un parcheggio, mentre si svolge la festa della patrona Sant’Agata, mentre una fa gli esami del sangue, mentre chiacchierano all’inizio di una giornata, mentre frequentano un corso per diventare badanti proposto dal Comune (ma senza sbocchi lavorativi) e persino mentre due uomini in motorino derubano e picchiano una di loro. Ci fa male. Marcella intanto si prostituisce sotto la tangenziale perché da un giorno all’altro ha ricevuto uno sfratto, ha 65 anni e comincia il lavoro dalle sei del mattino, pioggia o sole che ci sia.

Il dialetto catanese è protagonista tanto quanto loro e, con tanto di sottotitoli in inglese, ci immerge anima e pancia dentro quei vicoli e finiamo per preoccuparci noi stessi di quello che accadrà a queste coraggiose signore di strada: aleggia nell’aria il progetto di risanare anche quell’ultimo trancio di San Berillo.

Siamo a distanza, mai guardoni ma neanche passanti, siamo in ascolto perché il film ha la capacità di immergerti e portarti proprio vicino, dentro un mondo così geograficamente minuto che mai lo si sarebbe conosciuto. Le donne di San Berillo sono ancora lì, nelle loro case, dietro ai loro portoni, mentre il film scorre nelle sale (per ora al Beltrade di Milano e al King di Catania). Maria Arena, che si è autoprodotta il film insieme a Gabriella Manfré (Casa di Produzione Invisibile Film), non sa assolutamente quello che accadrà nell’immediato futuro di questo squarcio di Catania. Si augura certamente che il luogo non sia distrutto, si augura che la storia, qualunque essa sia, non vada persa. E perché accada, è necessario anche andare a vedere questo film. A Milano tornerà ad aprile.

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