Nelle fila degli Shabaab

Anche molti giovani keniani tra gli assalitori dell’università di Garissa

Si dice Shabaab, si legge Kenya. Secondo quanto sta emergendo dalle testimonianze degli studenti sopravvissuti alla strage, nessuno degli assalitori parlava somalo, bensì inglese e swahili, quest’ultimo idioma nazionale in Kenya e parlato in vari paesi dell’Africa orientale. Una circostanza che conferma come sempre più gli Shabaab stiano prendendo piede nel paese africano dove da anni hanno dato vita ad un massiccio reclutamento nelle baraccopoli e nelle periferie più povere delle grandi città. Nonostante i dati ufficiali delle organizzazioni internazionali parlino di poche centinaia di guerriglieri arrivati da paesi diversi dalla Somalia, le associazioni e organizzazioni che lavorano sul campo dicono tutt’altro. Per esempio dai quartieri Eastleight, Pangani e Uruma di Nairobi, dove la presenza di musulmani è massiccia, stime ufficiose parlano di 5mila ragazzi anche minorenni partiti per la Somalia. Alcuni sono ancora lì ad addestrarsi, altri sono tornati perché pentiti oppure proprio come kamikaze.

Arrivava da Garissa, la città dove ha sede l’università assaltata ieri, uno dei terroristi che nel settembre del 2013 ha partecipato all’attacco al centro commerciale Westgate a Nairobi, dove 67 persone sono state uccise. Così come erano kenyani alcuni degli attentatori che, nel luglio del 2010, mentre la città era ferma per guardare i mondiali di calcio in tv, hanno attaccato bar e ristoranti a Kampala, in Uganda, paese anch’esso colpevole secondo i qaedisti di supportare la guerra contro gli Shabaab.

Reclutamenti che avvengono a volte dietro compenso: 1.400, 1.500 dollari per partire; aiuti alle famiglie; dieci o 15mila dollari ai parenti per il funerale se il combattente muore sul campo.

Queste le cifre di cui parlano i ragazzi che sono tornati. Molti di loro prima di partire non erano neanche musulmani: passano 6 mesi, un anno, in scuole islamiche spesso sconosciute alle autorità, dove imparano l’arabo e i testi del Corano.
Il Kenya nell’ultimo anno ha chiuso almeno quattro scuole islamiche con l’accusa che all’interno vi si reclutavano terroristi. Quando è avvenuto a Machakos, cittadina a 60 km da Nairobi sono andata lì per parlare con l’imam del posto. “Io non mi sono mai accorto di nulla – mi raccontò Alì Abdallah – il punto è che non possiamo controllare tutte le persone che girano in moschea. Se avvenivano reclutamenti di certo non erano alla luce del sole. Si tratta di persone che vengono, parlano con i ragazzi ma poi li portano in madrasse clandestine che noi non controlliamo. C’è bisogno che il governo ci aiuti con l’intelligence perché noi siamo i primi ad essere contro la violenza e se iniziano a chiudere con la forza le moschee e le scuole islamiche le cose andranno sempre peggio”.

Ma come un brand che si rispetti gli Shabaab usano anche la pubblicità on line. Negli ultimi anni su youtube sono stati pubblicati decine di video dove gli Shabaab invitavano i musulmani di tutto il mondo ad unirsi alla loro guerra santa.

In uno pubblicato dopo l’attentato del Westgate i guerriglieri cantano addirittura in Swahili. Una strategia volta a raggiungere quante più persone possibili in Kenya, ma in fondo in tutto il mondo, visto che i video sono anche sottotitolati in inglese.

Dopotutto anche Mohammed Emwazi, meglio noto come Jihadi John, il tagliatore di teste dell’Isis, nel 2009 è stato fermato in Tanzania mentre tentava di raggiungere la Somalia per addestrarsi con gli Shabaab e per unirsi ad una guerra che ha radici nel corno d’Africa ma che ormai viene combattuta sempre più da stranieri.

 

 

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