La storia di Alen

Un documentario racconta la ricerca dei genitori da parte di un giovane bosniaco nato da uno stupro di guerra

In questi giorni i media bosniaci hanno dedicato spazio alla storia di Alen Muhić che porta alla ribalta sia gli orrori della guerra sia il coraggio per affrontare i traumi. Alen è il figlio di una di quelle violenze, dato alla luce all’ospedale di Goražde nell’infuriare degli eventi bellici da una donna vittima di uno stupro di guerra.

Per la prima volta il figlio di una violenza appare pubblicamente raccontando la sua lotta per conoscere i genitori biologici e per fare i conti con i crimini compiuti durante gli anni ’90.

In realtà Alen stesso ammette di essere più il figlio di una storia d’amore che di una violenza. E’ stata la sua famiglia adottiva a educarlo dopo aver deciso di prendersi cura di lui, nonostante avesse altri figli, nella situazione estrema di una cittadina bosniaca devastata dalla guerra. Il padre, custode dell’ospedale, era solito portare il bambino a casa dalla sua famiglia ogni sera, prima di regolarizzare la sua posizione. Oggi, a 22 anni, Alen lavora come tecnico all’interno dello stesso ospedale nel quale fu abbandonato durante la guerra.

Alen venne a conoscenza della verità sui suoi genitori da adolescente e in quegli anni la sua storia fu al centro del documentario “Dječak iz ratnog filma” [Il ragazzino del film di guerra] del regista Šemsudin Gegić, che ora è ritornato sul tema girando “Stupica nevidljivog deteta” [La trappola di un bambino invisibile], che racconta la ricerca di Alen dei suoi genitori biologici. Gegić aveva conosciuto la madre naturale del bambino che aveva ospitato nel suo appartamento a Sarajevo in fuga da Goražde dopo aver partorito.

La donna vive oggi in America e durante le riprese del film aveva fatto sapere di non essere pronta ad incontrare il figlio naturale. Tuttavia, di recente avrebbe manifestato al regista il desiderio di acconsentire all’incontro. Il padre invece vive vicino a Belgrado ed è stato condannato nel 2007 per lo stupro della madre, che fu testimone protetta, per essere poi in secondo grado assolto; in quell’occasione ha riconosciuto il figlio, ma si sarebbe trattato solo di un modo per avere una pena minore. Non incontrò mai Alen e si è negato anche nel corso delle riprese.

Sono in molti a pensare che la ricerca del suo passato da parte di Alen Muhić abbia un significato politico perché rappresenta un tentativo doloroso e commovente di fare i conti con le tragedie della guerra, in particolare quelle taciute.

Si stima che migliaia furono gli stupri durante la guerra di Bosnia dai quali nacque un numero imprecisato di bambini. Alcuni furono adottati, altri crebbero negli orfanotrofi. La maggior parte di costoro sono probabilmente cresciuti circondati da un alone di mezze verità e segreti. Di recente una ragazza, Lejla Damon, ha raccontato la sua storia.

Lejla fu portata illegalmente in Gran Bretagna dal futuro padre adottivo, un giornalista inglese che aveva intervistato la madre, ripetutamente stuprata in un campo di concentramento. Ma Alen, a differenza di Lejla, è parte della società bosniaca e la sua denuncia ha una portata molto più incisiva.

Il tema, inoltre era già stato affrontato nel film “Grbavica” [Il segreto di Esma] della regista Jasmila Žbanić, una storia al femminile che raccontava la scoperta della verità da parte di un’adolescente che credeva suo padre essere morto in guerra difendendo la città, dunque dalla parte giusta. La storia di Alen è un piccolo tassello in un processo lunghissimo di presa di coscienza del passato, compresi i suoi lati più oscuri.

 

 

 

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