L’antifascista volante

La storia di Lauro de Bosis, l’aviatore che sfidò i fascisti sui cieli di Roma. Un libro ne racconta le gesta

di Marco Todarello

Lo ripudiò il fascismo, perché aveva osato sfidarlo a viso aperto, ma la sua storia passò in sordina anche attraverso la Resistenza e la Repubblica, con poche eccezioni, fino a non considerarlo degno di entrare nel lungo elenco degli eroi-simbolo dell’antifascismo.
Fu un oppositore isolato Lauro de Bosis, marchigiano, chimico e poeta, liberale e monarchico, vicino a Gaetano Salvemini e a Benedetto Croce ma anche ai cattolici e alla destra liberale, e tuttavia mai schierato né con gli uni né con gli altri.
Contro il regime di Mussolini non impugnò le armi ma la penna, e la sua esigua produzione letteraria fu tutta votata al riscatto dalla tirannia: dalla traduzione dell’Antigone di Sofocle, ad esempio, a Icaro, sua unica opera poetica, una personale lettura del mito greco in cui Icaro è un poeta che sacrifica la sua vita per la libertà.
Un’opera che si rivelerà una profezia ed è da lì che comincia Il poeta volante (Villaggio Maori edizioni, 13 euro), un testo per il teatro in atto unico con cui Angelo Ruta, illustratore e autore teatrale, omaggia una delle figure più affascinanti del primo Novecento. E lo fa prendendo spunto dal fatto che segnò il punto più alto della sua lotta e la fine della sua storia: il volo su Roma del 3 ottobre 1931.

poeta_copertina

La copertina de Il poeta volante, Villaggio Maori edizioni

 

Aveva trent’anni, Lauro de Bosis, quando decollò da Marignane, nei pressi di Marsiglia, con un piccolo aereo monomotore alla volta di Roma. Riempì il velivolo di carburante e lo caricò con quattrocentomila volantini.

Un testo era diretto al Re («gli italiani soffrono la vergogna di essere bollati come un gregge servile, non sanno se Voi siete con loro o con gli oppositori. Maestà, scegliete[…]») e un altro, intitolato Roma – Anno VIII dal delitto Matteotti, agli italiani («Chiunque tu sia, tu certo imprechi contro il fascismo e ne senti tutta la servile vergogna. Ma anche tu sei responsabile colla tua inerzia. Non cercarti una illusoria giustificazione col dirti che non c’è nulla da fare. Non è vero. Tutti gli uomini di coraggio lavorano in silenzio per preparare un’Italia libera»).
L’impresa era stata pianificata da tempo e de Bosis, che aveva acquistato il Klemm KL25 da turismo spacciandosi per un inglese di nome Morris (per non insospettire gli agenti della polizia fascista all’estero), non era un pilota professionista e aveva solo sette ore di volo.

Dopo cinque ore sul Mediterraneo arrivò sul cielo della capitale che era già buio, e cominciò a lanciare i manifestini sul Quirinale, poi su Palazzo Venezia, infine a palazzo Chigi e per le vie del centro. L’incursione di de Bosis sorprese tutti, compresa l’aviazione fascista guidata da Italo Balbo, che ci mise del tempo prima di inviare dei caccia, decollati da Ciampino, all’inseguimento del monomotore.

De Bosis intanto aveva riguadagnato quota ed aveva lasciato la costa italiana, con il mare sotto e il buio intorno, sapeva di non avere abbastanza benzina per il ritorno in Francia e che i caccia di Balbo sarebbero stati presto sulle sue tracce, ma ormai la missione era compiuta: «andiamo a Roma per diffondere in pieno cielo quelle parole che, da ormai sette anni, sono proibite come delittuose», e poi «se cado non sarà per errore di pilotaggio, il mio aeroplano non fa che centocinquanta chilometri all’ora, quelli di Mussolini ne fanno Trecento», scrisse in Storia della mia morte, il memoriale in cui racconta i preparativi, gli obiettivi e i grandi rischi che l’impresa portava con sé.
Probabilmente il monomotore con «la groppa rossa e le ali bianche» di de Bosis si inabissò al largo dell’isola d’Elba, ma né l’aereo né il suo corpo furono mai ritrovati. Ci fu anche chi disse che era tornato negli Stati Uniti, o che fosse finito «a fare la bella vita in Costa Azzurra» protetto da qualcuno.
A Balbo e a Mussolini servivano le prove per dimostrare che era morto colui che aveva osato sfidare il fascismo a viso aperto e senza armi, ma quelle prove non le ebbero mai.
Come il suo Icaro, nel cielo, De Bosis aveva trovato la fine. «Tu non temi la morte? / – Non mi tocca. / Finché c’è vita si combatte; e poi… / pace! Il mio fato, quale sia, io voglio!» (L.De Bosis, Icaro)

«Non volevo scrivere uno spettacolo agiografico – spiega Ruta – ma volevo che questa storia partisse dal presente per arrivare a quella sera del 1931. Credo che sia importante agganciarla al presente perché il tema al centro di questa vicenda è la libertà ferita: De Bosis sceglie di volare su Roma perché il fascismo aveva spento la libertà di espressione, e anche oggi la nostra libertà è sempre sotto minaccia. Se ci facciamo caso la nostra è spesso una libertà apparente: di qui la necessità di raccontare questa storia».
Nel libretto di De Ruta compaiono tre protagonisti, autori di tre brevi monologhi: l’aviatore, l’impiegato e il domestico, che rappresentano tre livelli temporali e narrativi diversi: il primo è l’alter ego di De Bosis, ritratto negli ultimi anni della sua vita e alle prese con la preparazione del volo su Roma; il secondo è un uomo del nostro tempo, un impiegato comunale che in un soporifero pomeriggio d’estate si imbatte in uno dei volantini di 85 anni prima; il terzo è uno dei domestici di casa Savoia, con cui l’autore ha voluto dare un’idea della distanza tra il dinamismo di De Bosis in volo sul Quirinale e l’inerzia dei regali che lo guardano sconcerti dalla finestra, ignari e quasi alienati dalla realtà.

Qui l’autore non rinuncia all’ironia, e colpisce il fatto che la sua immaginazione potrebbe avere colto anche la realtà, come la bella immagine dei volantini che si incagliano sui fili del tram, si fermano sui tetti delle case e nei giardini, con la polizia fascista che si affanna per farli sparire, per fermare quelle parole che hanno la forza di aprire varchi nelle menti di un popolo oppresso.

«Con il volo su Roma, De Bosis ha scritto il suo nome nella storia molto di più di quanto non avesse fatto con la poesia, dove secondo me non eccelleva – sottolinea Ruta – soprattutto se lo confrontiamo con le opere migliori uscite in quegli anni, da Gli indifferenti di Moravia ai capolavori di Pirandello fino alle raccolte di Ungaretti. De Bosis aveva uno stile aulico, retorico, dannunziano, con accenni futuristi, e dunque era un poeta minoritario».
Un poeta minore ma un eroe di libertà, sostenuto tanto dai monarchici e dalla destra liberale come da Sandro Pertini e da don Luigi Sturzo.
«Lauro De Bosis è inclassificabile, e per questo la sua storia è passata in sordina – conclude Ruta – non era esponente di nessun partito e nessuno ebbe intenzione di farlo suo. E questo in un certo modo ha tenuto intatta la cifra del personaggio: l’unico partito che potrebbe mettere la sua bandiera su De Bosis è il partito della poesia».

Sosteneteci. Come? Cliccate qui!

associati 1

.



Lascia un commento