La democrazia passa dalla Val Susa

Si è aperta il 14 marzo 2015 a Torino, nell’aula magna dell’Università, la sessione del Tribunale Permanente dei Popoli su grandi opere e diritti fondamentali dei cittadini e delle comunità locali

Il progetto Alta Velocità in Val Susa è partito negli anni ’90 e, da allora, è al centro di un confronto che vede l’intera comunità valsusina in una posizione di contrasto verso i principali attori istituzionali che invece caldeggiano l’opera.

Uno degli aspetti della controversia è la contrapposizione tra i rappresentanti locali dello stato (sindaci, presidenti di comunità montana, deputati) e il resto dello stato. Ed è su questo aspetto che si mostrano maggiormente i limiti democratici di quanto successo sinora. Ripercorrendo velocemente alcuni eventi, è facile ricordare i sindaci manganellati dalla polizia mentre manifestano pacificamente, l’avocazione di poteri da parte della polizia nell’amministrazione del territorio (come nel caso degli espropri), oltre a un poco chiaro comportamento dello stato nei tavoli di concertazione con gli enti locali.

Ed è proprio dall’istanza degli amministratori locali che il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) ha accettato di aprire una sessione di giudizio su grandi opere e diritti fondamentali dei cittadini e delle comunità locali. Il TPP è un tribunale d’opinione internazionale che fornisce giudizi, in maniera indipendente, in materia di violazione dei diritti umani e dei popoli. Lo scorso 14 marzo, nell’Aula Magna dell’Università degli Studi di Torino, ha avuto luogo la prima udienza relativa all’istanza presentata dal Controsservatorio Valsusa.

Il Tribunale Permanente dei Popoli ha come obiettivo riavvicinare i fatti alle narrazioni. Il TPP svolge infatti la funzione di coscienza collettiva indipendente in grado di addebitare le responsabilità agli attori concreti, per quanto in maniera simbolica, mancando esso di potere coercitivo. Il TPP è intervenuto in numerosi casi di violazione di diritti umani, siano essi individuali o collettivi, affermando il diritto delle vittime di vedersi riconosciute come perseguitate da poteri governativi o polizieschi.

E, dagli interventi realizzati nel corso della prima sessione, è emersa innanzitutto una questione relativa alla democrazia, in quanto un governo centrale incapace di concertare con la popolazione e i territori disorienta il popolo amministrato e mina la fiducia nelle istituzioni.

Ma non solo. Vi è anche un problema di narrazione, e soprattutto di lontananza tra il racconto degli eventi e i fatti. Una distanza enorme per chi è al corrente di quello che sta succedendo, ma non percepita da chi non conosce i fatti o non li sa interpretare. E quando la contraddizione tra la realtà, talmente ovvia da essere capita da tutti, e la narrazione viene scoperta, la si compensa con l’affermazione perentoria che questa è l’unica soluzione adottabile. E nel caso della linea Torino – Lione sembra che stia succedendo questo, con inverosimili progetti, capaci, ad esempio, di proporre una stazione internazionale dal costo di 52 milioni di euro a Susa (6.686 abitanti), quando Porta Susa a Torino è costata circa 70 milioni di euro e serve quasi due milioni di passeggeri annui. A fronte di queste contestazioni, spesso si rimanda a questioni tecniche, le uniche in grado di dare legittimazione al non ovvio.

L’idea del dopoguerra, durante il periodo della promulgazione delle Carte Costituzionali, era quella che l’interesse generale coincidesse con le Costituzioni, che lo stato era il garante della cittadinanza e che i deboli fossero garantiti. E le Costituzioni erano il modo materiale in cui questa tutela veniva sviluppata. L’interesse generale di oggi è il mercato, che ci dice cosa è giusto e cosa è sbagliato. Tutto ciò che è fatto per il mercato è interesse generale. Il rapporto tra la politica e i cittadini non è più diretto: è il mercato che media questo rapporto. La politica fa quello che fa perché deve creare le condizioni di libera concorrenza. E i cittadini beneficeranno delle condizioni favorevoli allo scambio che si vanno a creare. Perché, teoricamente, secondo questa lettura, il mercato che funziona regala opportunità immense. Questo è il nuovo tipo di cittadinanza.

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Ma la realtà è che questo mercato è narrato, inesistente, fantasioso. Come insegnano i vecchi economisti, “il mercato non esiste; quando qualcuno dice che lo chiede il mercato occorre chiedergli il nome e il cognome, perché c’è qualche interesse privato che si nasconde dietro l’interesse del mercato”. Sono le grandi aziende e le multinazionali che creano un rapporto strutturale tra la politica e le imprese, attraverso l’idea della libera concorrenza. Questo rapporto diventa legittimato, perché la politica fa l’interesse generale attraverso il mercato. Una narrazione sempre più palesemente in contraddizione con i fatti, salvo per le persone che non conoscono i fatti.

Questo si unisce ad una rappresentazione dello stato come inefficiente, al fine di spostare l’asse del potere dallo stato al governo, in grado di accelerare e superare queste inefficienze mediante semplificazioni normative (leggi obiettivo, sblocca italia) e decretazioni d’urgenza che alla fine divengono cavalli di Troia in grado di contenere aberrazioni incredibili.

Uno stato che amplifica, spesso inconsapevolmente, le sue funzioni riproduttive, cioè una visione dello società come sfera domestica allargata, in cui la decisione del pater familias non può essere contestata, dando spesso luogo a comportamenti di contrasto tipici del periodo adolescenziale. Da una parte il regno della violenza che serve a fronteggiare le istanze rappresentative, strutturando relazioni verticali; e ai suoi antipodi la sfera in cui risuona la sola forza della persuasione secondo il principio dell’uguaglianza artificiale tra pari. Il “facsimile di una famiglia super-umana che chiamiamo società” cancella i confini della necessità e viene assediata su scala ingigantita dalla medesima illibertà dell’oikos, dell’interesse privato.

Sin qui l’analisi. In Valsusa e a Torino i fatti. La narrazione ufficiale va brandendo per l’ennesima volta il termine “terrorismo” per distogliere l’attenzione dall’ovvio. E l’ovvio è che, ad oggi, la linea ferroviaria Torino – Lione non ha utilità, non ha sostenibilità e non ha un solo piano previsionale che si sia avvicinato alla realtà poi avvenuta. Alcuni politici, le aziende interessate, i procuratori della repubblica e i giudici torinesi nella parte del pater familias.

La democrazia passa dalla Val Susa. Il Tribunale Permanente dei Popoli, il rinvio a giudizio di Erri De Luca, l’iscrizione nel registro degli indagati del filosofo Vattimo, una prossima istanza alla Corte di Giustizia Internazionale. E’ una verifica dell’esistenza dello stato di diritto e della sua capacità a resistere alle logiche coercitive del potere assurte a ragion di stato.



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