In Fabula / Il cane e il lupo

Una rubrica per non dimenticare il valore del patrimonio narrativo mondiale, tra fantasia e attualità

«Ogni immagine esteriore corrisponde un’immagine interiore che evoca in noi una realtà molto più vera e profonda di quella vissuta dai nostri sensi. Questo è certamente il senso
dei simboli, dei miti e delle leggende: ci aiutano ad andare al di là, a guardare oltre il visibile.
Questo è anche il valore di quel capitale di favole e di racconti che uno mette da parte da bambino e a cui ricorre nei momenti duri della vita, quando cerca una bussola o una consolazione. Di questi miti eterni, capaci di far strada all’anima, in Occidente ne abbiamo sempre meno».
Tiziano Terzani

Il cane e il lupo

Un lupo spelacchiato, scheletrico e un po’ malandato, ma fiero e integro nel suo comportamento, passeggiava per un bosco. A un certo punto, sotto un bella quercia, incontrò un cane, tutto pulito e decisamente in forma.

Il lupo, che riconobbe in quell’animale il suo vecchio cugino, gli si avvicinò e, dopo averlo salutato, gli chiese: “Dove l’hai trovato tutto questo cibo per esser così in forze?”

E il cane, tutto fiero, gli rispose: “Me lo dà il mio padrone in cambio della mia guardia. Ogni notte, io controllo che nessun ladro entri nella sua proprietà, e poi lui di giorno mi ricompensa con cospicue quantità di cibo, una cuccia calda dove dormire, tanti giochi con cui intrattenermi e anche qualche soldo per andarmi a comprare ciò che più m’aggrada”.

Il lupo, curioso, gli disse che anche lui avrebbe voluto trovarsi in una simile condizione di agio. Così, il cane lo invitò a seguirlo, dicendogli che lo avrebbe presentato al suo padrone, che di certo sarebbe stato contento di avere due guardie invece che una soltanto.

Ma mentre camminavano, il lupo improvvisamente si fermò.

Notò che il cane camminava zoppicando, stanco e affaticato, e che sul collo il pelo era tutto scorticato, come anche la pelle. Notò anche che gli occhi di quel suo lontano cugino erano spenti e non riusciva a trovare in loro la fiamma accesa dei suoi fratelli selvaggi.

“Ma che hai fatto alle zampe? Perché zoppichi? E al tuo collo, che è successo? E che fine ha fatto la luce che prima brillava viva nei tuoi occhi?”, gli domandò allora il lupo, non riuscendosi a trattenere.

“Oh, non è niente, caro cugino, non preoccuparti.

La zoppia è solo dovuta alla stanchezza di dover star sveglio tutta la notte per servire il mio padrone in cambio di cibo e a qualche calcio che ogni tanto ho preso per essermi comportato male, mentre il collo è malandato a causa del collare con cui egli mi lega poi durante il giorno per tenermi vicino casa. Per quanto riguarda la luce di cui parli, non so a cosa ti riferisci.”

“Stanchezza? Collare? Non ricordi? Ma di cosa parli?”

“Non temere, non è nulla di così terribile, è solo qualche piccolo compromesso che bisogna affrontare per avere cibo, riparo e qualche guadagno”.

“E a che pro? A che mi servono i guadagni, se tanto il mio padrone mi tiene legato durante il giorno, o mi distrae con degli stupidi giochi? A che mi serve il cibo, se poi non sono libero di utilizzare a mio piacimento le energie che mi dà? Dove giace la bontà del mio padrone, se tutto quello che fa in verità è tenermi chiuso in un’esistenza che non è vita e malmenarmi se non mi comporto come dice lui?

E ciò che è peggio è che queste cose che si chiamano libertà e giustizia brillano negli occhi di tutti coloro che vengono al mondo e poi vengono dimenticate, come l’hai dimenticate tu, in nome di agi che pensiamo siano libertà e giustizia, e che invece sono solo schiavitù e controllo”.

Ma il cane, ormai troppo avviluppato nella sua realtà, non capiva o, peggio, non voleva capire, troppo impaurito di ammettere di aver sbagliato per così tanto tempo, o ormai troppo avvelenato dai suoi agi per trovare il coraggio di farne a meno.

“Ma cosa dici, cugino lupo. Che senso ha la vita senza tutto questo? Ma soprattutto, come pensi possa esserci una vita diversa da questa? Ormai è così che funziona, ormai è così che vanno le cose. E poi, il collare è d’oro!”

“Caro cugino cane, preferisco cento volte un cibo che mi devo procacciare con fatica e pochi agi in cambio di libertà e uno sguardo vivo, che annullarmi opacizzato con il collo appeso a un collare e una vita controllata da qualcuno che non sono io. Preferisco mille volte trovare un modo alternativo, che arrendermi a quella che mi dicono essere l’unica via”.

Fedro

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