Americhe

11 aprile 2015. Storico incontro Castro Obama, stretta di mano. Senza perdere di vista il contesto.
Era ora che io fossi qui a parlare per Cuba. Un Raul Castro in gran forma gioca con le parole appena finisce un lungo applauso che aveva seguito l’annuncio, per la prima volta, di un discorso del presidente di Cuba a un vertice delle Americhe, dove la presenza della Isla era sempre stata isteggiata dagli Usa.
Ho preparato un discorso di otto minuti, sforzandomi di starci, ma dal momento che mi dovete sei vertici, cui non siamo stati invitati, allora 6×8 48… Ride l’asssemblea, ridono i capo di stato e i primi ministri. È la prima volta di Cuba al vertice delle Americhe.
È il primo incontro a due fra Castro e Obama.


(qui la sintesi in italiano del Granma, l’organo ufficiale di Cuba)

Barack Obama ha ripetuto in tutte le occasioni di incontro, plenaria e a due, la volontà di aprire nuovi tempi, confermare una fine avvenuta da tempo della Guerra Fredda, essere pronti a discutere su tutto. Castro ha ‘assolto’ il presidente a stelle e strisce dai peccati – mortali – dei dieci presidenti precedenti. Alla fine, di fronte alla stampa, convenevoli, ma anche sostanza, come leggiamo dal resoconto del Boston Globe. Castro sottoscrive le dichiarazioni di Obama, ma invita anche a essere pazienti, molto pazienti. Sano realismo.

Confronto onesto, leale, vero spirito di incontro, stretta di mano e sorrisi.
Volendo forzare un accostamento si può sottolineare che per pura casualità lo storico incontro avviene a Panama, mentre papa Francesco emette la bolla del Giubileo della misericordia. Giusto ricordare quanto si sia speso il pontefice argentino nell’opera di mediazione diplomatica che l’11 di aprile del 2015 ha permesso questa, la foto che sarà sui libri di Storia.

Il contesto, che viene sottolineato nei commenti degli esperti, è particolarmente interessante per capire anche quando avviene la svolta storica.

Pagina 12, per esempio, giornale progressista argentino scrive a proposito del Patio trasero, il cortile di casa come è stata chiama l’America latina ai tempi delle politiche golpiste e dei presidenti fantoccio che vedevano un’instancabile attività diretta degli Stati Uniti.
E la parola che ritorna, non solo per la cronaca degli utlimigiorni e settimane, è Venezuela.
Anche il presidente Maduro ha parlato di mano tesa per cambiare lo stato delle relazioni, i Paesi dell’Alba hanno difeso le posizioni di Caracas rispetto alle ultime prese di posizione statunitensi e non è un segnale che risponde solo al comune sentire politico, ma anche al fatto che dal Venezuela sgorga petrolio, da raffinare, ma tanto petrolio e che questo, nella carente gestione del dopo Chavez, rappresenta un punto irrinunciabile che schiera la difesa, in maniera più pragmatica, insieme a una rivendicazione ideale della rivoluzione bolivariana.

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Stati Uniti e Cuba si riavvicinano e marciano verso fine embargo e riapertura sedi diplomatiche, in ordine inverso, mentre FMI e Banca Mondiale decretano negli statement dei propri advisor un netto calo della produttività e ricchezza a livello emisferico. I dati che cita El Pais – 167 milioni di poveri in 20 paesi con una crescita che non sale più come un tempo, anzi con una previsione dell’1,3% che è dimezzata dal risultato ottenuto in precedenza.
Il Brasile scosso dalla corruzione – in ogni caso Obama e Rousseff sembrano aver seppellito il caso delle spy ops ai danni della Presidentessa – Argentina e Brasile alle prese con difficili situazioni economiche, dai tratti differenti ma difficili, la Colombia che sta affrontando un passaggio delicato con un processo di pace che regge e dà risultati quindi che dovrà aprire a cambiamenti, con Russia e Cina che inquietano il coté statunitense per la capacità di andare a prendersi fette di mercato, investimenti o giocare di sponda rispetto alle grandi crisi internazionali dell’energia e delle sfere di influenza.

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Lo scacchiere è complesso, le mosse fra Washington e l’Havana sono una buona nuova e vanno celebrate per il valore storico che hanno. Poi, però, non resta che stare a vedere come saranno le mosse e le contromosse delle diplomazie che giocano sugli interessi di mercato, finanziari e energetici una difficile partita, dove diritti umani e petizioni di principio vengono spesso utilizzate come elementi di propaganda. E dove l’ingerenza della diplomazia statunitense non ha mai abbandonato il subcontinente, pompando dollari e aiuti militari dove più conviene.
Festeggiamo, quindi, senza dimenticare.