In Fabula / La caverna

Una rubrica per non dimenticare il valore del patrimonio narrativo mondiale, tra fantasia e attualità

«Ogni immagine esteriore corrisponde un’immagine interiore che evoca in noi una realtà molto più vera e profonda di quella vissuta dai nostri sensi. Questo è certamente il senso
dei simboli, dei miti e delle leggende: ci aiutano ad andare al di là, a guardare oltre il visibile.
Questo è anche il valore di quel capitale di favole e di racconti che uno mette da parte da bambino e a cui ricorre nei momenti duri della vita, quando cerca una bussola o una consolazione. Di questi miti eterni, capaci di far strada all’anima, in Occidente ne abbiamo sempre meno».
Tiziano Terzani

La caverna

C’era un tempo, e forse c’è tutt’ora, una caverna. Una caverna profondissima e buia, dove decine e decine di uomini siedono prigionieri, incatenati per le gambe e per il collo, costretti in una posizione che non permette loro di voltarsi, destinati a guardare in un’unica e forzata direzione.

Alle loro spalle arde un fuoco, che questi non possono vedere e del quale non sospettano nemmeno l’esistenza. Forse, in tempi lontani e ormai andati, si chiesero da dove venisse quella luce alle loro spalle, ma con il passare degli anni le catene li hanno resi stanchi e arrendevoli e la loro realtà, ora, ha finito per sopraffarli come l’unica realtà esistente e degna di valore.

Davanti a loro si erge poi alto un muro, che i loro occhi fissano da mattina a sera, tutto il tempo, incessantemente. Sono occhi abituati al buio, occhi che si sono adattati.

Tra il fuoco e i prigionieri corre una stradina in salita, lungo la quale è stato eretto un altro muretto, su cui alcuni uomini trasportano oggetti, piante e altre persone. Questi generano ombre che si proiettano sull’alto muro di fronte agli incatenati, attirandone l’attenzione. E quando gli uomini che trasportano questi oggetti parlano, nella caverna si forma un’eco, che i prigionieri pensano provenire dalle ombre proiettate sul loro muro.

Non si tratta di una realtà voluta o meno dai reclusi. Non c’è una colpa che giace da qualche parte. Non vi è alcun discorso che preveda volontà.

È così e basta. E in questa realtà essi vivono dal giorno in cui nacquero. E così sono cresciuti, semplicemente convinti che quella fosse l’esistenza, con quelle dinamiche e quelle situazioni. Perché non si può pensare ciò che secondo la propria mente non esiste e quand’anche ci fosse un accenno di dubbio, spesso è molto più facile aggettivarlo come impossibile e scansarlo, che accettarlo ed esplorarlo.

Ma un giorno, uno dei prigionieri riuscì a liberarsi.

Alzatosi in piedi, finalmente si volse e per prima cosa i suoi occhi vennero accecati da una luce così forte e così abbagliante da togliergli la vista tanto quanto il buio e da provocargli talmente tanto dolore che poco ci mancò che non si rigirasse e si accucciasse nuovamente vicino ai suoi compagni.

Coraggioso e imperterrito, l’uomo attese che il dolore passasse senza muoversi. E quando gli occhi un poco si abituarono a quella luce, egli si rese conto che essa proveniva da un’apertura in fondo alla grotta. Si guardò intorno e vide quelle che lì per lì gli sembrarono delle buffe sagome che portavano in mano dei surrogati di oggetti molto simili alle ombre proiettate sul muro. E non c’è da stupirsi se, in quel primo momento, quegli uomini e quegli oggetti gli parvero meno reali delle ombre a cui era abituato.

I dubbi lo cominciarono ad assalire, che non fosse meglio girarsi di nuovo e ritornare nella propria zona di sicurezza, ma di nuovo il coraggio lo invase e decise di dare una possibilità a tutto, anche se gli pareva impossibile, improbabile e fin troppo pieno di dolore.

Cominciò a muovere i primi passi verso la luce in fondo alla caverna. Mano mano che avanzava, dubbi e dolore lo perseguitavano sempre di più, e quando improvvisamente il prigioniero venne scaraventato fuori dalla caverna da quelle buffe apparizioni che aveva visto appena si era voltato, la luce del sole lo inondò e un senso di rabbia e paura fortissimo lo invase.

Voleva assolutamente tornare nel suo buio, voleva assolutamente ritrovare i suoi compagni, perché sotto quella luce così accecante si sentiva perso e abbandonato. Perché nella sua mente non c’era possibilità di vivere in tutta quella luce. Nella sua mente, tutta quella luce era orribile e pericolosa. E maledisse con tutto se stesso il momento in cui si era liberato.

“Non può essere. Non può essere”, si ripeteva l’uomo disperato.

Ma così accecato, non sapeva più come ritrovare il suo buio e così rimase lì, immobile, incapace di prendere alcuna decisione, nel caos della sua nuova realtà.
Con il tempo, i suoi occhi finalmente cominciarono ad abituarsi e il mondo cominciò a delinearsi in maniera sempre più chiara e meno dolorosa.

Ovviamente, in un primo momento, l’uomo rifiutò quella nuova condizione con tutte le sue forze:

non poteva essersi sbagliato per tutta una vita, non poteva aver preso per buona una realtà che invece era fittizia, non poteva essere che fosse tutto così profondamente diverso da quello che aveva profondamente creduto fino ad allora. Cercò un modo per incolpare ciò che gli stava attorno e non sé stesso per non essersi mai reso conto di tutto. Senza capire che non era affatto una questione di colpe, ma semplicemente di consapevolezza. Senza capire che l’aver vissuto nel buio per tanto tempo non faceva di lui uno stupido o una persona peggiore, ma un illuminato. Senza riuscire a godere delle mille possibilità che la nuova realtà gli offriva, troppo preso dal flagellarsi per non averle viste prima e aver vissuto nel buio tutta la sua vita. Troppo impaurito che qualcuno gliene volesse, che qualcuno lo oberasse di colpe. Provò anche a prendersela con il dolore che gli era costato arrivare a tutta quella luce e provò a convincersi che una cosa che causa così tanto dolore non può affatto e per nessuna ragione essere buona.

Poi, finalmente, capì.

Vide la bellezza di ciò che lo circondava e delle mille possibilità che ora aveva. Vide il sole e ne capì la potenza. E nel suo nuovo buio, scoprì le stelle. Comprese che non c’era nulla da temere, ma tutto da guadagnare. E si stupì che nessuno gliene volesse per aver vissuto nell’ombra per così tanto tempo.

Perché tutti, sotto quel sole, a differenza di quello che lui pensava, sembravano capaci di amare e collaborare senza pregiudizi o colpe.

Così, tutto contento, si precipitò nella grotta per andare a liberare i suoi compagni e portare anche loro sotto quella luce.

Ma proprio quando stava per varcare la soglia, un vecchio saggio lo fermò e lo mise in guardia: “Attento, ragazzo! La tua voglia di illuminare gli occhi dei tuoi compagni ti fa onore, ma sii cauto e non farti strane illusioni. Sarà difficile per te convincerli di quello che gli racconterai, perché essi non conoscono altra realtà che quella in cui sono nati e mettersi in dubbio è ciò che fa più paura agli esseri umani.

E non ti basteranno cento testimoni, se qualcuno non vorrà comunque crederti. Per molti il dolore iniziale non vale la pena e anzi, ti potrebbero aggredire, perché si sentirebbero minacciati da qualcuno che propone loro qualcosa di così diverso da quello a cui sono abituati.

Non ti stupire se ti vedranno come un nemico cattivo e pericoloso. E in ultimo, proteggi te stesso. Ti ci potrebbe volere molto tempo per convincere anche solo uno di loro a seguirti e in tutto quel tempo i tuoi occhi potrebbero ricadere nell’ombra e tu potresti perderti un’altra volta. Dunque, non dimenticarti mai del sole”.

Platone

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