Il clima del cambiamento

Da oggi fino al 2 giugno, a Trento,
va in scena l’OltrEconomia Festival

di Francesca Caprini

«A chi serve l’economia?”. Parte con questo interrogativo – da un milione di dollari – la seconda edizione dell’OltrEconomia festival, l’evento organizzato da associazioni, movimenti e realtà del volontariato sociale a Trento e in contemporanea con il Festival dell’Economia.

L’OltrEconomia festival – dal 29 maggio al 2 giugno – nasce dall’esigenza di raccontare l’altra faccia dell’economia, di andare oltre alla narrazione autoreferenziale di chi di fatto appartiene allo stesso mondo dell’economia mainstream, che attraverso incontri internazionali e grandi nomi vuole legittimare quel business as usual che nessuno, se non nei titoli, sembra voler mettere in discussione, basato su meccanismi ed obiettivi di un’economia orientata al profitto privato e alla speculazione in pubblico.

L’anno scorso la prima edizione, dedicata ai beni comuni naturali e sociali si era conclusa con il simbolico abbraccio fra Gigi Malabarba, della fabbrica recuperata Rimaflow di Milano, e Joao Stedile del Movimento Sem Terra del Brasile.

Centinaia di persone avevano preso parte ai tavoli di lavoro pomeridiani e a tutte le attività ludiche e sociali che facevano da corollario agli incontri. Cosicchè anche l’immaginario di una socialità e una solidarietà – decine i volontari e le associazioni, l’autofinanziamento, la condivisione di spazi e momenti all’interno del giardino cittadino del Parco Santa Chiara di Trento – già di per sé raccontava di un modo di stare insieme differente da conferenze frontali all’interno di palazzi.

Quest’anno l’Oef continua nella sua ricerca di costruzione attiva di un’altra economia possibile partendo dalla fotografia della realtà del nostro tempo, creando spazi di formazione e confronto che possano mettere in luce quelle pratiche e quelle politiche del comune che già disegnano una società in movimento per superare la crisi ed andare, appunto, oltre l’economia.

Il titolo dell’edizione 2015 è «Il clima del cambiamento”.

I limiti dell’economia capitalista paiono evidenti, meno le motivazioni e gli strumenti che, attraverso la finanziarizzazione e la deregolamentazione selvaggia dei mercati, continuano ad infierire sugli indici di povertà e di diseguaglianze sociali a livello globale. Il sistema economico globalizzato è egemonizzato dal capitale finanziario rispetto a quello produttivo, e pratiche come quelle del landgrabbing ed il watergrabbing ne sono un esempio. I governi nazionali sono esautorati dalle loro funzioni e non possono più controllare il valore di scambio delle proprie valute, né rispettare i dettami della democrazia, mettendo di fatto la nostra vita nelle mani dei mercati.

Parlare di crisi del sistema capitalista forse non è del tutto corretto: una crisi è di per sé un periodo breve che sfocia in una vittoria o in una sconfitta, qui siamo di fronte a dinamiche strutturali di un sistema di fatto votato alla massimizzazione del profitto e alla speculazione. Ma ci sono dei limiti: uno di questi è quello della natura, l’altro è quello della conflittualità sociale.

Ecco perché questo OEF parlerà del «Clima del cambiamento” scivolando su due grandi assi: i conflitti sociali ed ambientali.

Partiamo dal depauperamento della natura: la perdita di biodiversità e il cambiamento climatico – c’è chi parla di antropocene, ovvero l’era nella quale l’uomo attua sull’ambiente cambiamenti irreversibili – insieme alla speculazione finanziaria su acqua e cibo, creano fame e rivolte. La FAO parla di altri 100 milioni di persone condannate alla fame cronica. Il costo del cibo è volatile, lo stress idrico – che fracking e ipersfruttamento peggiorano – è spesso non gestibile, con periodi di siccità anche in luoghi della terra tutt’altro che poveri. Tutto questo non disegna un mondo di ricchi e poveri, ma di chi può stare dentro e chi starà fuori.

Le varie COP – da Copenhagen all’ultima di Lima, verso quella di Parigi 2015 – hanno portato ben scarsi risultati. Uno scenario che non lascia indenne l’Italia, che ha appena visto una grande manifestazione in Abruzzo – 60.000 persone, oltre 400 associazioni e movimenti – contro la legge del Governo Renzi Sblocca Italia, un vero attentato per ambiente, risorse e democrazia, a detta dei manifestanti, perché di nuovo privatizza servizi e beni comuni, propone un modello energetico giurassico, ovvero il ritorno al fossile, e cementifica il territorio attraverso nuovi grandi opere.

C’è poi tutto quello che sono i conflitti sociali derivanti dall’attacco al welfare e ai diritti delle classi lavoratrici. Il FMI e le politiche di austerity vanno diritte come fusi verso tagli sostanziali alla spesa pubblica e privatizzazioni di beni e servizi. Ma un capitalismo senza “clienti” non ha senso. Il premio Nobel Stiglitz stesso parla di «incorreggibili idioti ed analfabeti dell’economia», riferendosi a chi promuove le ricette dell’austerity. Eppure continuiamo ad assistere in Italia ed Europa ad un abbassamento dei salari e all’aumento della tassazione sull’80 per cento della popolazione che se ne fa carico. Ma ci sarà comunque un 20 per cento- e ancor di più un 1 per cento di quel 20 – che ne sarà favorito.

Di fronte a questo scenario i limiti stessi dell’economia neoliberista diventano gli spunti per la costruzione di un’alternativa.

Noi la vogliamo chiamare economia solidale, così come definita dal sua padre concettuale, il brasiliano Paul Singer. L’economia solidale è un modo di organizzare la produzione, la distribuzione, il consumo e la finanza, nel quale tutte le attività economiche sono possedute collettivamente. L’impresa nell’economia solidale non ha proprietari privati, si basa su logiche altre rispetto alla massimizzazione dei profitti e alla dominazione dei mercati. L’interesse dei più prevale su quella degli individui.

Questa è una visione praticabile dell’esistente: realtà autenticamente solidali in Italia e nel mondo guardano già ostinatamente, con forzata speranza, verso un cambiamento necessario per tutti. «È il momento – dice Monica di Sisto, economista referente della campagna Stop TTIP e vicepresidente di Fairwatch – di una lotta che non è più solo pratica ma politica, di uno sforzo di sintesi e di modello fuori dalle nicchie di mercato, pur solide, che le pratiche più diffuse come l’equosolidale o il biologico hanno prodotto intorno a sé, di un’autorganizzazione che guarda ai palazzi e non più solo agli orti, ai laboratori, ai mercati, un nuovo modello di autodeterminazione politica che faccia di quelle piazze, di quei mercati, della loro debolezza, una nuova forza organizzata ed autonoma».

Ecco perché l’Oltreconomia Festival: uno spazio per studiare, capire e condividere. Per capire che le politiche che non facciamo, le subiremo. Partiamo oggi, 29 maggio, dalle ore 18.00. Il programma completo e tutte le informazioni sul sito: oltreconomiafestival.wordpress.com

 

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