Morire di mafia, 23 anni dopo

Un’esecuzione mafiosa a sei giorni dal 23esimo anniversario della strage di Capaci ha tolto di mezzo Mario Piccolino, cittadino antimafia tanto “scomodo” quanto coraggioso

di Lorenzo Bagnoli

Mario Piccolino aveva 71 anni. Di mestiere faceva l’avvocato, poi si è cancellato dall’ordine per cominciare, da pensionato, a fare il giornalista d’inchiesta. Nato a Roma, si era trasferito a Formia, in provincia di Latina, da molti anni. E qui aveva cominciato un’ostinata guerra per la legalità nel Sud Pontino. L’arma, un blog: www.freevillage.it. Il 29 maggio, poco dopo le 17, un giovane adulto di bassa statura entra nello studio di Piccolino, in via della Conca a Formia. Gli apre un assistente dell’avvocato. “Non la conosco, non so chi sia”: sono le ultime parole di Piccolino. L’uomo gli spara un colpo di pistola in pieno volto.

Un’esecuzione mafiosa a sei giorni dal ricordo del 23esimo anniversario della strage di Capaci.

Nessuno ha dubbi sul movente dell’omicidio: né il sindaco di Formia Sandro Bartolomeo (amico della vittima), né gli inquirenti condotti dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma. Piccolino era scomodo: già nel 2009 era sopravvissuto a un’aggressione. Un uomo lo aveva attaccato con un cric, colpendolo in testa. Secondo gli inquirenti si trattava di Angelo Bardellino, nipote di Antonio, uno dei boss dei Casalesi ucciso nella guerra delle fazioni del 1988. Ma nonostante tutto, come tanti attivisti antimafia, Piccolino era spesso percepito come uno scassaminchia esagerato, un personaggio fuori dalle righe. Spesso nelle interviste che gli facevano diceva «quando mi avranno ammazzato». Personaggi così, in Italia, sono condannati a diventare credibili solo quando indossano un “cappotto di legno”, come cantavano gli Almamegretta.

L’antimafia fuori dalle commissioni o fuori dai grandi organi di stampa è importante solo dopo che c’è scappato il morto.

Formia, Gaeta, Baia Domizia, Fondi, Minturno, Sessa Arunca. Il sud Pontino dagli anni Ottanta è un feudo della camorra. In anni più recenti, anche la ‘ndrangheta trova spazio, soprattutto al mercato ortofrutticolo di Fondi. Uno dei maggiori settori d’interesse dei Casalesi è il gioco d’azzardo. Non a caso il Comune di Formia lo scorso anno ha approvato un nuovo regolamento per vincolare l’apertura delle nuove sale gioco. Mario Piccolino era tra i cittadini che hanno sostenuto più di tutti questo passaggio. Motivo per il quale una delle piste dell’indagine porta proprio ai ras dell’azzardo del pontino: lo stesso obiettivo delle inchieste di Piccolino.

I Casalesi dominano il mercato delle sale slot a Casal di Principe, nell’agro aversano e nel basso Lazio dalla metà degli anni Novanta. Il loro potere origina da un’azienda, la 3G di Napoli, di cui è titolare Renato Grasso. Il suo nome è legato alla fazione degli Iovine, alleati storici della famiglia Bardellino. L’imprenditore compare nell’Operazione Hermes del 2009, una delle prime a gettare luce sulle attività criminali nel gioco d’azzardo. Prima che le indagini lo toccassero, Grasso era già stato in grado di farsi affidare da Lottomatica e Sisal migliaia di macchinette in 288 Comuni della Campania, 119 nella città di Roma e nella regione Lazio e altre centinaia in Abruzzo, Toscana, Lombardia, Sicilia, Calabria e Puglia. E il settore, tuttora, è tra i più floridi dell’area.

Angelo Bardellino irrompe nelle cronache nazionali nell’ottobre del 2013, l’ultima volta. Era già noto ai magistrati: a seguito dell’indagine del 2011 Formia Connection era stato arrestato per associazione mafiosa, ma il Tribunale della Libertà aveva fatto poi cadere l’accusa. Così Angelo Bardellino era ancora a piede libero. In quell’ottobre 2013 i giornali si occupano della sua ultima creatura, l’etichetta discografica Roxyl Music Art&Show, registrata a Bucarest. L’etichetta si occupa del tour mondiale di Elhaida Dani, vincitrice della prima edizione del talent televisivo The voice of Italy.

Non è più il tempo delle primule rosse: è il tempo dei criminali da talent show.

Hanno una faccia che incute molto meno timore. E l’impressione inganna: quando serve sanno imbracciare un’arma per regolare i conti in sospeso. Come ai vecchi tempi.Di questo scriveva Piccolino, del modo in cui la camorra s’era presa il sud pontino. Nel 2010 aveva fatto un mese di sciopero della fame perché le istituzioni finalmente si accorgessero della totale colonizzazione mafiosa della sua Formia.

«Nonostante fosse in alcuni momenti una persona difficile, fino ai limiti delle provocazioni che tutti conosciamo, era una persona di un’intelligenza molto raffinata, molto profonda. Aveva una capacità di analisi dei problemi che è difficile ritrovare in genere nelle persone. Una persona con la schiena dritta, sempre pronto ad affermare le sue opinioni, anche quando impopolari e difficili da sostenere. Aveva un grande bisogno di sentire le persone vicine, il desiderio di avere tantissimi amici veri. La sua storia personale, i problemi che lo avevano riguardato facevano in lui più pressante l’esigenza di sentire le persone vicine».

«Mi dispiace sia stato talvolta considerato per quello che non era». Lo ha ricordato così il sindaco Sandro Bartolomeo al Consiglio comunale, in un incontro pubblico straordinario in sua memoria, poco prima di una fiaccolata in città.

«Nel sud Pontino lo Stato non c’è», scrive l’associazione antimafia Antonino Caponnetto. Piccolino lo diceva da anni. Paradossale che l’omicidio sia avvenuto proprio proprio quando la Commissione antimafia rendeva pubblici i nomi dei candidati impresentabili inseriti comunque nelle liste elettorali per le regionali.

 

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