Rendere omaggio a Tito

Le annuali commemorazioni per la nascita di Josip Broz Tito
nel suo paese natale diventano l’occasione per riflettere sull’identità croata

di Francesca Rolandi

Kumrovec, Croazia settentrionale, 7 maggio. Anche quest’anno una folla di autobus ha portato qui alcune migliaia di persone, 7mila secondo i giornali. Sono venute a rendere omaggio all’ex presidente a vita della Jugoslavia, il maresciallo Josip Broz Tito, nel giorno della sua nascita, nel suo villaggio natale a nord di Zagabria, a pochi chilometri dal confine sloveno.

La pioggia battente, che ha concesso poche tregue durante la giornata, non ha scoraggiato un pubblico composto in gran parte di anziani, con un’apparenza semplice e, in molti casi, rurale. Sono rimasti legati a un passato nel quale avevano probabilmente vissuto meglio rispetto alla Croazia di oggi, che conta proprio tra i pensionati le maggiori sacche di povertà e disagio. Oggi cercano di rifugiarsi sotto i portici dei grandi magazzini Josip Broz Tito per difendersi dalla pioggia. Pochi i giovani, forse intimoriti dal maltempo.

Una manciata di personaggi in cerca di fotografie che si sono fatti largo tra gli ombrelli sventolando bandiere jugoslave nelle loro divise partigiane fradicie d’acqua.

A metà mattina, l’evento centrale della giornata: sul palco, i discorsi dei rappresentanti delle istituzioni antifasciste, degli enti locali e di Stipe Mesic, star incontrastata della giornata. L’ex presidente, che da sempre si è presentato come difensore dei valori dell’antifascismo, ha tenuto un discorso fortemente politico con il quale ha condannato il tentativo di una parte del discorso pubblico croato di equiparare i crimini commessi a Jasenovac (un campo di sterminio gestito dallo stato collaborazionista croato) a quelli a Bleiburg (l’uccisione dei collaborazionisti e dei civili al loro seguito da parte dei partigiani di Tito). Parole dure sono state rivolte anche alle istanze revisionistiche in Serbia e Bosnia Erzegovina e in generale ai rigurgiti fascisti del continente europeo.

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In generale, è stata una celebrazione inclusiva verso il popolo croato a prescindere dagli eccessi. Sul palco sono stati portati insieme gli eroi i partigiani, i “difensori” veterani della guerra patriottica e Franjo Tuđman. E, tra alcuni canzoni resistenziali e “Compagno Tito noi ti giuriamo”, il coro partigiano ha aperto la sua esibizione con l’inno nazionale croato “Lijepa naša”, proibito nel periodo socialista per essere stato l’inno dello Stato collaborazionista croato durante la seconda guerra mondiale.

Un filo diretto con il quale sia il partito conservatore HDZ sia quello di centro-sinistra SDP, collegano nel discorso pubblico la resistenza e la “guerra patriottica” degli anni ’90, inserendo il movimento partigiano nella lotta per la costruzione di uno stato nazionale e privandolo interamente del suo contenuto politico.

Qualcosa di simile è accaduto anche in Italia con l’idea della resistenza come secondo risorgimento che ne ha del tutto adombrato la sua natura di lotta di classe.

Tuttavia, nella memoria storica croata l’inserimento della guerra patriottica è ancora più problematico perché, durante la guerra degli anni ’90, assunsero il potere quei settori della destra croata figlia dell’anticomunismo maturato nei decenni della diaspora che gettava le sue radici nell’eredità nera dell’emigrazione politica legata allo Stato indipendente croato. In quegli anni furono migliaia i monumenti partigiani ad essere distrutti e spesso sostituiti da monumenti dedicati a chi combatteva dall’altra parte, gli alleati dei nazisti.

Agli ex-ustaša vennero anche attribuite delle pensioni che una decina di migliaia tra titolari e familiari tuttora riscuote.

Dall’altra parte, sottolineare l’inconciliabilità della guerra patriottica e della memoria antifascista significherebbe per la seconda soccombere, dal momento che nella Croazia di oggi la memoria della guerra degli anni ’90 rappresenta un fondamento dell’identità statuale che non può essere messo in discussione.

Il 2015 a Kumrovec è stato un anno particolare anche perché è stata inaugurata una mostra con i nuovi doni arrivati dall’ufficio della presidente Kolinda Grabar Kitarović, che si è di recente disfatta simbolicamente della presenza di alcuni oggetti, tra i quali l’ingombrante presenza del busto del maresciallo Tito, facendone omaggio al museo del suo luogo natale. Se il gesto di donare una collezione presidenziale a un museo dove può essere visitata dal grande pubblico può essere di per sé encomiabile, il valore simbolico del mettere alla porta le vestigia del passato jugoslavo è stato quello notato dalla maggior parte dell’opinione pubblica, che ha parlato più di uno sfratto che di un regalo.

 

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